Eros
Eros (in greco antico: Ἔρως?, Érōs) è, nella religione greca, il dio dell'amore fisico e del desiderio[1], in latino conosciuto come Cupido. Nella cultura greca antica l'eros è ciò che fa muovere verso qualcosa, un principio divino che spinge verso la bellezza[2][3]. In ambito greco, quindi, non vi era una precisa distinzione tra «la passione d'amore e il dio che la simboleggiava»[4]. EtimologiaIl greco ἔρως, che significa "desiderio", deriva da ἔραμαι "per desiderare, amare", dall'etimologia incerta. R. S. P. Beekes ha suggerito un'origine pre-greca.[5] Culto e rappresentazioneEros appare in antiche fonti greche sotto diverse forme. Nelle prime fonti egli è una delle divinità primordiali coinvolte nella venuta all'essere nel cosmo. Ma nelle fonti successive, Eros è rappresentato come il figlio di Afrodite, i cui maliziosi interventi negli affari di dei e mortali fanno sì che si formino legami di amore, spesso illecitamente. In definitiva, nei successivi poeti satirici, è rappresentato come un bambino bendato, il precursore del paffuto Cupido rinascimentale, mentre nella prima poesia e arte greca, Eros era raffigurato come un maschio adulto che incarna il potere sessuale e un artista profondo.[7][8] In un frammento di una tragedia perduta di Euripide, da lui scritta prima del 422 a.C., Stheneboia (Σθενέβοια) si sostiene che esistano due Eros[9]. Così come nella sua Ifigenia in Aulide (406 a.C.) compaiono due ambiti del dio Eros e, per la prima volta, l'immagine del dio armato di arco e di frecce: «Avventurato chi prova fa Uno degli Amori provoca la sophia, ovvero la conoscenza, mentre l'altro distrugge l'anima dell'uomo[10]. Dio primordialeSecondo Esiodo (700 a.C. circa), una delle più antiche fonti greche, Eros (il dio dell'amore) fu il quarto dio ad essere creato, dopo il Caos, Gaia (la Terra) e il Tartaro (l'Abisso o gli Inferi).[11] Il De Melisso Xenophane et Gorgia, erroneamente attribuito ad Aristotele, vide nel mito di Eros il primo esempio di una nascita dell'essere dal non-essere, quindi in violazione del principio per il quale niente può essere generato dal nulla (ex nihilo nihil fit).[12] Omero non menziona Eros. Tuttavia, Parmenide (circa 500 a.C.), uno dei filosofi presocratici, fa di Eros il primo di tutti gli dei a nascere.[13] I Misteri Orfici mostravano Eros come un dio delle origini, ma non del tutto primordiale, poiché era il figlio della Notte (Nyx).[7] Aristofane (circa 400 a.C.), influenzato dall'orfismo, racconta la nascita di Eros: «All'inizio c'erano solo Chaos, Notte (Nyx), Oscurità (Erebus) e Abisso (Tartarus). La Terra, l'Aria e il Cielo non avevano esistenza. In primo luogo la Notte oscura posò un uovo senza germe nel seno delle profondità infinite delle Tenebre, e da questo, dopo la rivoluzione dei lunghi secoli, scaturì il grazioso Amore (Eros) con le sue scintillanti ali dorate, rapide come i turbini della tempesta. Si accoppiò nel profondo Abisso con il caos oscuro, alato come lui, e così nacque la nostra razza, che fu la prima a vedere la luce.» Figlio di Afrodite e AresNei miti successivi, era il figlio delle divinità Afrodite e Ares, e fratello di Anteros, Imero, Deimos, Fobos e Armonia. È l'Eros di questi miti successivi che diviene uno degli eroti. Eros era associato con l'atletismo, con statue erette nei gymnasia[15] e "era spesso considerato il protettore dell'amore omosessuale tra gli uomini".[15] Eros è stato spesso raffigurato come colui che porta una lira o un arco e una freccia. Era anche raffigurato accompagnato da delfini, flauti, galli, rose e torce.[15] «[Hera rivolta ad Athena] Dobbiamo avere una parola con Afrodite. Andiamo insieme e chiediamo a lei di persuadere il suo ragazzo [Eros], se è possibile, di lanciare una freccia alla figlia di Aeetes, Medea dei tanti incantesimi, e farla innamorare di Giasone...» «[Eros] colpisce il seno delle domestiche con calore sconosciuto, e ordina agli stessi dei di lasciare il paradiso e dimorare sulla terra secondo forme prese a prestito.» «Una volta, quando il figlio di Venere [Eros] la stava baciando, la sua faretra penzolava, una freccia sporgente, a sua insaputa, le aveva sfiorato il seno, spingendo via il ragazzo, infatti la ferita era più profonda di quanto sembrava, anche se inizialmente non percepita [e lei divenne] rapita dalla bellezza di un uomo [Adone].» «Eros ha fatto impazzire Dioniso per la ragazza [Aura] con la deliziosa ferita della sua freccia, poi curvando le sue ali ha volato leggermente verso l'Olimpo e il dio vagava sulle colline flagellato da un fuoco più grande.» La nozione di Eros in Omero e nei liriciLa prima apparizione della nozione di Eros è nelle opere attribuite ad Omero. In tale contesto Eros non viene personificato, quanto piuttosto come principio divino corrisponde all'irrefrenabile desiderio fisico come quello vissuto da Paride nei confronti di Elena: (GRC)
«ἀλλ' ἄγε δὴ φιλότητι τραπείομεν εὐνηθέντε (IT)
«Ma ora andiamo a letto e facciamo l'amore: o ancora lo stesso desiderio provato da Zeus nei confronti di Era: (GRC)
«Ἥρη δὲ κραιπνῶς προσεβήσετο Γάργαρον ἄκρον (IT)
«Era raggiunse rapidamente la cima del Gargano, o, infine, ciò che rende tremanti le membra dei proci di fronte a Penelope: (GRC)
«τῶν δ' αὐτοῦ λύτο γούνατ', ἔρῳ δ' ἄρα θυμὸν ἔθελχθεν, (IT)
«Ed ecco i ginocchi dei proci si sciolsero, furono sedotti da amore (ἔρω) Tale desiderio irrefrenabile si spiritualizza nei lirici greci del VII/VI a.C. ma presenta comunque delle caratteristiche crudeli e ingestibili. Manifestandosi improvvisamente, Eros agita in modo cupo le sue vittime: «Ma per me Eros non dorme (GRC)
«Ἔρος δηὖτέ μ' ὀ λυσιμέλης δόνει, (IT)
«Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente: «Eros tremendo, le Follie ti furono nutrici: «non è Afrodite, ma il folle e insolente Eros che come fanciullo gioca, In Anacreonte questo vissuto viene presentato come colui che colpisce violentemente: «Ancora Eros m'ha colpito: Il dio Eros e il suo cultoNell'opera teogonica di Esiodo sono due i passaggi che riguardano Eros qui attestato per la prima volta come quel dio primordiale in grado di domare con la passione sia gli dèi che gli uomini: (GRC)
«Ἦ τοι μὲν πρώτιστα Χάος γένετ᾽, αὐτὰρ ἔπειτα (IT)
«Orbene, innanzitutto venne all'esistenza lo Spazio beante[17], poi a sua volta A tal proposito Ilaria Ramelli e Carlo del Grande evidenziano come: «La Teogonia Esiodea sembra riflettere la dottrina teogonica dei sacerdoti di Apollo delfico. In origine sarebbe stato il Χάος, il "vuoto primordiale" e poi αῖα, la Terra, ed Ἔρως o amore, come attrazione reciproca e principio di unione ed armonia» In un secondo passaggio Esiodo evidenzia Eros come quel dio che, insieme ad Himeros, accompagna Afrodite appena nata[19]: (GRC)
«Τῇ δ᾽ Ἔρος ὡμάρτησε καὶ Ἵμερος ἕσπετο καλὸς (IT)
«L'accompagnò Eros e il bel Desiderio[20] la seguì Connesso all'opera di Esiodo vi è il richiamo nella Biblioteca di Apollodoro dove, riferendosi a Io: «Esiodo e Acusilao affermano che era figlia di Pirene. Io era sacerdotessa di Era, e Zeus la violentò. Scoperto da Era, toccò la fanciulla, la trasformò in una bianca giovenca e giurò che non si era unito a lei. Perciò Esiodo dice che i giuramenti fatti per amore (ἔρωτος) non attirano l'ira degli dei.» Un culto di Eros esisteva nella Grecia pre-classica, ma era molto meno importante di quello di Afrodite. Tuttavia, nella tarda antichità, Eros era adorato da un culto della fertilità a Tespie. Ad Atene, condivideva un culto molto popolare con Afrodite, e il quarto giorno di ogni mese era sacro per lui. Il culto di Eros a Tespie è attestato da Pausania: «Il dio che i Tespiesi onorano fin dai tempi antichi e più di ogni altro dio è Eros e di Eros hanno una statua antichissima, costituita da una pietra grezza. Chi abbia istituito presso i Tepiesi l'usanza di anteporre Eros a tutti gli dei, io non so.» L'origine mitica di tale culto, culto forse di origini preistoriche[21], è così spiegata da Conone: «A Tespi, in Beozia (la città non è molto lontana dall'Elicona), c'era un ragazzo di nome Narciso, molto bello, ma che disdegnava Eros e i suoi amanti. Tutti quelli che l'amavano finirono per rassegnarsi, a eccezione di Amenia che si ostinava a corteggiarlo. Ma Narciso non cedeva alle sue preghiere e perfino gli inviò una spada. Amenia allora si uccise davanti alla porta di Narciso, implorando la vendetta del dio. E Narciso, vedendo il proprio viso e la propria bellezza riflessi nell'acqua di una fonte, divenne, stranamente, amante di se stesso: il primo e l'unico. Alla fine spinto dalla disperazione e avendo compreso che soffriva giustamente per aver respinto l'amore di Amenia, si uccise. A seguito di ciò gli abitanti di Tespi decisero di onorare e di servire Eros, e di rendergli sacrifici sia in pubblico che in privato. E la gente del paese pensa che il fiore del narciso è nato dal loro suolo, laddove fu versato il sangue di Narciso» Pausania riporta anche di un altare ad Eros posto di fronte all'ingresso dell'Accademia: Tuttavia, come nota Gerard Krüger[24]: «a questa venerazione mancano realmente la piena dignità ed il valore di un servizio religioso: Eros non è un dio del culto statale.» Tanto che così ci si lamenta nell'Ippolito di Euripide[25]: «Invano, invano, sull'Alfèo, Eros nelle teogonie orficheEros possiede un ruolo fondante in alcune teogonie orfiche. Questo emerge già nella teogonia di tipo "parodistico", ma di derivazione orfica, presente in Aristofane (V-IV secolo a.C.) negli Uccelli (vv. 693-702)[26]:
Tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo»[27]. Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose e Eros al terzo posto: «La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intelligibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genealogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intelligibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione.» Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da una sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi una totalità rappresentata da Phanes (Φάνης, Luce, "vengo alla Luce", anche Fane, Protogono Πρωτογόνος, Erichépaio Ἠρικεπαῖος) androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso ma dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso che, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto. E «Primo nel governare il mondo, Fane-Protogono-Erichépaio si chiama anche Eros»[28]. Eros filosofoIl tema di Eros/Amore è citato in Parmenide (V sec. a.C.)[29] ma in Empedocle (V sec. a.C.) acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" (ριζώματα), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: Φιλότης (Amore) e Νεῖκος (Odio, anche Discordia o Contesa); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" (σχεδύνην δὲ Φιλότητα «Amore che avvince»[30]), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero (Σφαῖρος), immobile (μονίη) uguale a sé stesso e infinito (ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος 〈ἑοῖ〉 καὶ πάμπαν ἀπείρων[31]). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite (Ἀφροδίτη)[32], o con il suo appellativo di Kýpris (Κύπρις)[33], indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»[34]. Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto. Con Platone (V-IV sec. a.C.) si compie il fondamentale passo filosofico e teologico inerente a Eros. Nel Fedro[35] l'anima (ψυχή, psyché) umana decade dal mondo perfetto e intelligibile nel corpo fisico, durante il suo esilio prova un'irresistibile nostalgia per la condizione perduta. Nel Simposio[36] Eros è un demone figlio di Indigenza (Πενία Penia, la madre) e Espediente (Πόρος , Poros, il padre). Povero come la madre, Eros aspira alla ricchezza del padre: Eros è quindi anche una tendenza, una mania (μανία), uno stato emotivo provocato dalla bellezza terrestre che stimola il ricordo di quella perfetta e intelligibile, celeste, da cui l'anima è caduta[37]. Non è tuttavia la "bellezza" l'oggetto del desiderio dell'anima ma la sua fecondità[38]. A questo punto il filosofo ateniese individua due tipi di Eros: l'amore sensuale (πάνδημος ἔρως, pandemos eros) attratto dalla bellezza dei corpi provocante la fecondità fisica, e l'amore celeste (ουράνιος ἔρως , oruanios eros) attratto dall'amore spirituale e provocante la fecondità spirituale[39]: «E malvagio è quell'amante che è volgare e ama il corpo più dell'anima»[40]. Il vero amante si eleva quindi per sei gradi di attrazione che lo conducono dall'attrazione fisica alla realizzazione spirituale[41]: amore per un corpo bello; amore per la bellezza fisica in sé; amore per la bellezza delle attività, delle condotte; amore per la bellezza del sapere; amore per la Bellezza in sé: «È questo il momento della vita, o caro Socrate -disse la straniera di Mantinea-, che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un uomo, ossia il momento in cui un uomo contempla il Bello in sé. E se mai ti sarà possibile vederlo, ti sembrerà ben superiore all'oro, alle vesti, e anche ai bei ragazzi e ai bei fanciulli [...] Che cosa, dunque, noi dovremmo pensare -disse- se ad uno capitasse di vedere il Bello in sé assoluto, puro, non affatto contaminato da carni umane e da colori e da altre piccolezze mortali, ma potesse contemplare come forma unica lo stesso Bello divino?». Il filosofo ed esegeta di Platone, Plotino (III sec. d.C.), continuatore coerente dell'opera del filosofo ateniese, riprende, nelle Enneadi, le conclusioni dello stesso inserendo tuttavia tra le tre entità/persone da lui indicate con il termine di hypostasis (ὑπόστᾰσις): Hen (ἕν, l'Uno), il Nous (νοῦς, l'Intelletto) e la Psyche (ψυχὴ, Anima) una relazione di "processione" (πρόοδος). Dal che l'unica "realtà" consiste in queste tre hypostasis che procedono una dall'altra: dall'Uno (il Bene, il primo, inconoscibile e ineffabile mistero dell'unità, intuibile solo per mezzo dell'esperienza religiosa) procede l'Intelletto (altro dall'Uno, è la prima molteplicità che "pensa", il mondo eterno delle Idee, è il logos dell'Uno che contempla l'Uno e da questa contemplazione deriva la sua generazione delle Idee), dall'Intelletto procede l'Anima universale (Afrodite celeste) che intermedia fra l'essere costituito dalle tre hypostasis e il mondo sensibile. Se l'Uno rende conto dell'unità del reale, e l'Intelletto della sua intelligibilità, l'Anima universale rende conto della vita e del movimento contemplando l'Intelletto con la sua parte superiore, mentre rende conto delle forme sensibili con la sua parte inferiore (Afrodite terrestre). Al di fuori di queste tre ipostasi eterne tutto il resto, quindi il mondo sensibile, è privo di realtà, è pura apparenza, inganno e non-Essere. Dall'Anima universale (Afrodite celeste) procedono l'Anima del mondo (Afrodite terrena) e le anime individuali dei viventi. Ma se l'Anima del mondo essendo vincolata al corpo dell'universo con un legame non dissolubile risulta eterna nelle sue caratteristiche sensibili, le anime individuali sono in qualche modo destinate a "ribellarsi" alle leggi dell'universo, oppure ad armonizzarsi alle stesse. Nel primo caso sono destinate alla corruzione, trasmigrando di esistenza in esistenza, cambiando corpi fisici ma potendo, se lo vogliono, riconquistare la condizione dell'unità perduta. Nella teologia plotiniana ciò che è relativo ai sensi non solo riguarda quell'ambito, ma rimanda sempre alla realtà intellegibile da cui procede. Quindi ciò che è "bello" per i sensi rimanda sempre all'"Idea" del Bello assoluto di cui l'arte ne è una rivelazione. Quindi l'artista non produce da sé, ma rivela l'Essere di cui intuisce la portata. Chi contempla l'opera d'arte esce da sé per vivere l'esperienza dell'opera solo apparentemente, in realtà è l'opera stessa con la sua bellezza che lo mette in contatto con la sua vera natura, con l'anima che è in lui. Allo stesso modo nella vita affettiva il bello corporeo può avere la funzione di rivelare ciò che è vero in noi stessi. Ne consegue che se l'uomo ricerca i beni o le bellezze sensibili lo fa innanzitutto perché questi lo richiamano all'Uno, al Bene, alla sua vera natura di cui sono immagine. Così Eros è sia una divinità che aiuta l'uomo a ricongiungersi al Bene, sia un diverso essere, un demone, che lo spinge a mischiare l'anima con la materia. Essendo molteplici gli Eros delle anime, Plotino li intende come Eroti (Erotes). Il filosofo tardo platonico Proclo (V sec. d.C.) è, tra l'altro, autore di un inno ad Afrodite che riassume poeticamente la teologia platonica sul tema: (GRC)
«῾Υμνέομεν σειρήν πολυώνυμον ’Αφρογενείης (IT)
«Cantiamo la stirpe onorata di Afrogenia PitturaNote
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