Editto di Rotari

Editto di Rotari
Titolo originaleEdictum Rotharis Regis
Illustrazione in un manoscritto dell'editto
AutoreRotari
1ª ed. originale643
Lingua originalelatino

L'editto di Rotari (in latino Edictum Rotharis Regis[1] o Edictum Rothari) fu la prima raccolta scritta delle leggi dei Longobardi, promulgato a Pavia[2] nel palazzo Reale[3] alla mezzanotte tra il 22 novembre e 23 novembre 643 da re Rotari.

L'editto, scritto in latino con frequenti parole d'origine longobarda, è uno dei principali documenti per lo studio dell'evoluzione della lingua longobarda e raccoglie in modo organico le antiche leggi del popolo longobardo, pur con aspetti derivati direttamente dal diritto romano.

Stando al principio della personalità della legge, l'editto fu valido solo per la popolazione italiana di origini longobarde; quella romana soggetta al dominio longobardo rimase invece regolata dal diritto romano, codificato a quell'epoca nel Digesto promulgato dall'imperatore Giustiniano I nel 533.

L'editto fu la codificazione scritta (con aggiornamenti) della precedente tradizione orale. Il testo può essere considerato il primo abbozzo di storiografia nazionale longobarda: da un editto legislativo iniziò la storiografia longobarda.[4]

Con la romanizzazione dei Longobardi, che in sostanza coincide con il tasso di cristianizzazione effettiva di quel popolo, l'editto di Rotari perde le proprie caratteristiche di diritto personale e nel 700 viene esteso anche ai Romani.[5]

Contenuti

L'editto inizia con un richiamo ai re precedenti a Rotari, partendo da Agelmundo, primo re storico.

L'editto di Rotari è un insieme di codici atti a ricomporre le vertenze tra i cittadini sostituendo le faide con risarcimenti pecuniari (guidrigildo). Il principio del guidrigildo è un risarcimento di denaro che varia a seconda del valore e della dignità di chi commette il reato e a seconda di chi lo subisce. Manifesta come la società longobarda fosse notevolmente stratificata. Particolarmente significativa la differenza di pena per l'uxoricidio: se commesso dalla consorte verso il marito, avrebbe portato alla condanna a morte o alla lapidazione della donna; viceversa era punito con una pena pecuniaria. Tuttavia la somma da pagare era al di fuori della portata dei più, e gli uxoricidi erano condannati dunque ai lavori forzati.

Tra gli istituti contemplati dall'editto figuravano il mundio, cioè la potestà dell'uomo sulla donna la quale non aveva alcun diritto, e l'ordalia, consistente, nei casi dubbi, nella prova dei carboni ardenti per l'imputato.

Redazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Codex Sangallensis 730 e Codex Vercellensis.

Secondo alcuni studiosi[6] l'editto di Rotari sarebbe stato forse materialmente redatto nello scriptorium di Bobbio sotto il quarto abate, san Bobuleno, e poi promulgato a Pavia. A testimoniare comunque il legame con il monastero bobiense e san Colombano, la data di entrata in vigore dell'atto, ossia il 23 novembre, giorno in cui si festeggia il santo a un anno esatto dalla sua canonizzazione.

Sono pervenuti sino ai giorni nostri soltanto due copie manoscritte dell'editto. Il primo, il Codex Sangallensis 730, è conservato presso l'abbazia di San Gallo, in Svizzera, ed è probabilmente il più antico, poiché contiene unicamente il testo dell'editto stesso. Il secondo, il Codex Vercellensis, si trova nella collezione di manoscritti della Biblioteca Capitolare di Vercelli e non è esposto al pubblico. Quest'ultimo è probabilmente successivo al manoscritto sangallese, poiché contiene anche le integrazioni all'editto che, negli anni successivi, vi furono apportate dai re Grimoaldo e Liutprando.

Note

  1. ^ Historiae patriae monumenta edita iussu regis Caroli Alberti. Edicta regum Langobardorum (TXT), su archive.org.
  2. ^ Piero Majocchi, Pavia capitale del regno longobardo: strutture urbane e identità civica, p. 7. URL consultato il 2 marzo 2019.
  3. ^ Rotari, su treccani.it.
  4. ^ Paolo Diacono, Introduzione: La società longobardica del secolo VIII e Paolo Diacono storiografo tra romanizzazione e nazionalismo longobardico, in Antonio Zanella (a cura di), Storia dei Longobardi, Vignate (MI), BUR Rizzoli, p. 21, ISBN 978-88-17-16824-3.
  5. ^ Antonio Padoa Schioppa, Storia del diritto in Europa, pp. 47-48.
  6. ^ Michele Tosi, "L'Edictus Rothari nei manoscritti bobiensi", in Archivum Bobiense, 4, 1982, pp. 11–72. Vedi tuttavia anche Claudia Villa e Francesco Lo Monaco, Cultura e scrittura nell'Italia longobarda, in W. Pohl et al. (a cura di), Die Langobarden. Herrschaft und Identität, 2005, nota 76 a p. 521 ([epub.oeaw.ac.at/0xc1aa500d_0x000f9ab0.pdf testo on-line] (PDF)), che propone di ridimensionare l'attività scrittoria dell'abbazia di Bobbio in epoca longobarda.

Bibliografia

  • Il testo completo tradotto è disponibile in Gianluigi Barni, I longobardi in Italia, pp. 391-444.
  • Adriano Cavanna. Nuovi problemi intorno alle fonti dell'Editto di Rotari, 1968.
  • G. P. Bognetti, Frammenti di uno studio sulla composizione dell'Editto di Rotari, 1968.
  • G. Astuti, Influssi romanistici nelle fonti del diritto longobardo, 1975.
  • Michele Tosi, "L'Edictus Rothari nei manoscritti bobiensi", in Archivum Bobiense, 4, 1982, pp. 11–72.

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