Deor
Deor (o Il lamento di Deor) è un antico poema anglosassone presumibilmente risalente all'VIII secolo, trascritto nel X secolo nel codice di Exeter. Consiste in 42 versi senza rima scritti in metro allitterativo. Titolo e collocazione letterariaNel testo il poema non ha titolo, come era d'uso nella letteratura alto medievale, ma il nome Deor è citato nel poema come quello dell'autore, e viene normalmente usato come titolo. Collocare il poema in un genere letterario è senza dubbio complesso. Si può parlare di un poema dell'ubi sunt, per le sue meditazioni sulla transitorietà, ma si può trattare anche di una lamentazione, o di un poema di consolazione. Quest'ultima interpretazione trova anche riscontro nella letteratura religiosa (vedi Boezio, con il De consolatione philosophiae), che mette a confronto le proprie miserie con quelle del mondo, traendone appunto consolazione. Queste collocazioni tuttavia esulano dall'ambiente anglo-sassone. I medievalisti inglesi che lo hanno inserito nel novero della letteratura antico-inglese lo hanno definito un "poema di supplica", vale a dire l'opera di un poeta girovago mendicante che non ha un posto stabile presso una corte di nobili. C'è da dire che simili composizioni sono molto rare, e cercare di definire un genere da questi pochi esemplari viene spesso considerato eccessivo. Altre ipotesi collocano il Deor fra i poemi malinconici, alcuni dei quali si trovano nello stesso Libro di Exeter, ad esempio The Seafarer e The Wanderer. Lingua e contenutoPer quanto riguarda la poesia, il verso possiede una forza straordinaria. La lingua usata è molto bella ed elaborata, e possiede una grande quantità di sfumature. Anche per questo una traduzione, sia pure in inglese moderno, è estremamente difficile, nel ricreare la tensione espressiva che pervade le poche ma dense parole del poema. La poesia elenca una serie di figure mitologiche o leggendarie, ben note al pubblico dell'epoca, e ogni strofa termina con il ritornello "Þæs ofereode, þisses swa mæg!" ("quello è stato superato, possa esserlo anche questo!"). Fra le miserie e i destini sfortunati che Deor elenca troviamo le storie di Teodorico il Grande, di Ermanarico re dei Goti e del fabbro mitologico Weyland (Welund nel testo). Ognuno di loro va incontro ad una fine sfortunata e immeritata, e in ogni caso il poeta ripete il ritornello; ma solo nell'ultima strofa veniamo a sapere a cosa si riferisce Deor. Solo alla conclusione, infatti, Deor ci racconta di essere stato poeta (o menestrello) di corte presso gli Eodeninghi (presumibilmente una stirpe o famiglia germanica), finché il suo posto non è stato attribuito a Heorrenda, un artista più dotato, costringendolo a un destino errante. Dire "il mio nome era Deor" implica quasi la perdita della personalità, che però non viene imputata al nuovo cantore (uomo che ben conosce il canto), né al Signore degli Heodeninghi (il protettore dei guerrieri); sono queste alcune delle frasi che contribuiscono a farci sentire dal vero la grande disgrazia sofferta dal poeta, e che rendono Deor un notevole esempio di letteratura dell'Alto Medioevo. Poema con traduzione
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