Torre di Capodiferro
La torre di Capodiferro fu una torre costiera edificata lungo le coste del Mar Tirreno, presso il fiume Garigliano, nel X secolo, distrutta nel XX. StoriaFu edificata su preesistenti fondazioni romane in opus reticulatum[1] sulla sponda sud del Garigliano dal principe di Benevento Pandolfo Capodiferro |tra il 930 e il 960. Fu anche identificata nelle antiche mappe come "Turris ad Mare". La fortificazione serviva a sorvegliare la foce del fiume da eventuali attacchi dei Saraceni.[2] Faceva parte di un articolato sistema di torri simili edificate lungo tutta la linea di costa e nell'immediato interno, che attraverso l'accensione di fuochi o segnali acustici avvertivano le genti delle città interne della presenza o meno di eventuali truppe ostili. I Saraceni erano stati scacciati dall'area nel 915 da una coalizione guidata da papa Giovanni X. Erano arrivati presso Traetto nell'881 e qui erano rimasti per circa quarant'anni, da qui partivano per devastare e saccheggiare mezza Italia. La torre di avvistamento a pianta quadrata era alta circa 25 metri e circa 13 metri di lato. Il principe Capodiferro per costruirla fece prendere gran parte dei materiali costruttivi e decorativi dalle rovine della vicina città di Minturnae. L'edificazione della torre da parte del principe Pandolfo è attestata da due cippi ora murati nel campanile del duomo di Gaeta[1]. Il presidio entrò nel 1066 tra i possedimenti dell'abate di Montecassino. L'atto di donazione di Riccardo e Giordano, principi di Capua, attesta che il sito era divenuto un piccolo borgo fortificato, con un nucleo di case e una chiesa, circondate da mura.[3] Fu usata anche come faro a partire dal XVII secolo. La torre sorgeva sulla sponda campana del Garigliano, quasi di fronte al tempio edificato sulla sponda laziale, dove gli Italici prima ed i Romani poi veneravano il culto della ninfa Marica.[4] Alle spalle della torre si estendeva un bosco sacro dedicato a questo culto. La presenza di opus reticulatum fa pensare ad un preesistente edificio di culto per la dea. Nel 1929 il ministro della pubblica istruzione Pietro Fedele, la restaurò e ne fece un museo,[5] tuttavia durante la seconda guerra mondiale la torre fu minata, insieme al Ponte Real Ferdinando, dalla Wehrmacht in ritirata dall'avanzata degli anglo-americani e fatta brillare nel dicembre 1943, e la collezione che custodiva finì depredata e dispersa,[6] anche se nel 1985 furono ritrovati una statua di Artemide e la tabula patronatus rubate al museo e poi riesposti in Sessa Aurunca nel 2007.[6] Il museoNel Museo della Civiltà aurunca Fedele riunì un grosso numeri di reperti di varie epoche e la sua biblioteca personale. Formavano la raccolta incentrata su pezzi databili tra l'VIII secolo a.C. e il 1936, centinaia di monete d'oro, d'argento e di bronzo delle età romana e medioevale, vasellame ausone, etrusco ed egizio, opere del periodo borbonico, documenti autografi di Mazzini e di Garibaldi e[senza fonte] due reperti trafugati dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale e rimpatriati nel 2007: la Tabula patronatus di Flavio Teodoro e un'Artemide acefala (marmo di età imperiale)[6]. Note
Bibliografia
Voci correlate
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