Sinallagma carcerarioLa locuzione sinallagma carcerario indicherebbe un rapporto di reciprocità contrattuale fra due entità legate da un nesso sovraordinato all'istituzione totale. StoriaLa locuzione "sinallagma carcerario" si può rintracciare in un testo del 1999[1] e, in data antecedente, in una sentenza della Corte Costituzionale del 1993 in cui si afferma che "[...] il Tribunale rimettente sostiene che con la norma impugnata non si è fatto buon uso del cosiddetto sinallagma carcerario, che consente di modulare la pena detentiva in funzione della personalità del condannato, della sua attuale pericolosità e delle possibilità di reinserimento sociale [...]".[2] CaratteristicheSostanzialmente, tra un soggetto (ad es. detenuto o utente o ospite) e un'autorità preposta (ad es. penitenziario o comunità o OPG o RSA) si pattuisce un vincolo, consistente in uno scambio di disponibilità ad accettare ed impegnarsi in un percorso rieducativo da parte del soggetto, in cambio della concessione di benefici premiali, assistenza, cura e riabilitazione. Disciplina normativa italianaCon l'entrata in vigore della legge n. 354 del 26 luglio 1975, di riforma dell'ordinamento penitenziario, viene definito un corpus normativo che si orienta maggiormente verso una pena di tipo rieducativo.[3] In questa nuova prospettiva trova ampio spazio la psicologia giuridica e forense: “un settore della psicologia applicata che si occupa di tutte le problematiche psicologiche che insorgono nella pratica giudiziaria e, in particolare, dei casi in cui risulta indispensabile l'accertamento dell'integrità psichica del reo”[4]. In sostanza, con il "patto trattamentale", il detenuto si impegna formalmente, con la sottoscrizione di detto documento alla presenza del Direttore dell'Istituto, a dare la propria collaborazione e a seguire responsabilmente il progetto concordato, avendo compreso il significato delle offerte trattamentali che gli sono state proposte dagli operatori, relativamente a:
Note
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