Richard Bertie nacque il 25 dicembre 1516 in una famiglia di origini piuttosto modeste: era figlio di Thomas Bertie, capomastro e capitano ad Hurst Castle e figlio di uno scalpellino, Robert Bertie; e di sua moglie Aline Say. Ciononostante, riuscì a frequentare l'Oxford College, e nel 1555 successe a suo padre come capitano[1].
Nel 1533, conobbe e sposò la famosa cortigiana Catherine Willoughby, XII baronessa Willoughby de Eresby e duchessa vedova di Suffolk, a detta di tutti un matrimonio d'amore e ben al di sopra delle possibilità di Bertie, che all'epoca serviva come Maestro di stalla e Gentleman Usher[1]. Catherine era nota per essere stata la quarta moglie di Charles Brandon, I duca di Suffolk, un matrimonio giudicato scandaloso per molteplici motivi: Catherine era in precedenza sua figlioccia e fidanzata con suo figlio Henry, ma Brandon, più che cinquantenne, decise di sposarla lui stesso quando non aveva ancora quindici anni, fra l'altro pochi mesi dopo essere rimasto vedovo di Maria Tudor, sorella minore del re Enrico VIII. Rimasta vedova con due figli che morirono bambini a poche ore di distanza l'uno dall'altro, Catherine fu presa in considerazione dallo stesso re, all'epoca sposato con Catherine Parr, come sua settima moglie, e solo la morte gli impedì un nuovo divorzio e matrimonio[2].
Bertie e Catherine erano ferventi seguaci della riforma anglicana, motivo per cui, alla salita al trono di Maria I, figlia di Enrico VIII e Caterina d'Aragona e fermamente decisa a restaurare il cattolicesimo in Inghilterra, furono costretti a rifugiarsi all'estero, prima a Cleves e poi nel Commonwealth polacco lituano. Le loro proprietà furono confiscate quando rifiutarono l'ordine di rientrare in patria per essere processati. Durante l'esilio, ebbero una figlia e un figlio. Rientrarono in Inghilterra nel 1559, quando salì al trono Elisabetta I, sorellastra minore di Maria, figlia di Anna Bolena e, al contrario della precedente regina, fermamente anglicana. Le loro terre furono restituite e la loro vicenda registrata nell'edizione del 1570 del Libro dei martiri di Foxe, pubblicato dallo stampatore John Day[1]. È probabile che fu Bertie stesso a scrivere il resoconto[1].