Quattro ProvincePer Quattro Province si intende una porzione dell'Appennino ligure compresa nelle province italiane di:
Il toponimo Quattro Province ha origini recenti e si rintraccia in alcuni studi etnologici e musicali effettuati a partire dagli anni settanta del Novecento in poi. Tale denominazione fu coniata e impiegata per identificare un territorio, quale quello convergente nei quattro suddetti distretti amministrativi, accomunato dalle medesime tradizioni musicali, in particolare strumenti e danze tradizionali. A partire dagli anni 2000 il nome è stato esteso a concetti storici e geografici atti a rimarcare una precisa identità culturale dell'area in oggetto[1]. Tuttavia le popolazioni di questi luoghi non hanno mai attribuito un nome particolare o univoco alla zona.[2] Storicamente zona di transito per commercianti, eserciti, pellegrini e viaggiatori, vi passavano antiche percorrenze come la via Postumia (tracciata da Aulo Postumio Albino nel 148 a.C.) che collegava Genova ad Aquileia, la via Francigena, (che durante il Medioevo portava i pellegrini dalla Francia a Roma e da qui a Gerusalemme). I cambiamenti socio-economici hanno totalmente cambiato i modi di vita tradizionali. L'inurbamento e il conseguente spopolamento delle campagne, la difficoltà di mantenere in vita usanze non più indispensabili alla vita sociale dei piccoli nuclei, l'innegabile fascino del nuovo che va a soppiantare un vecchio che portava con sé ricordi e richiami ad una vita povera e difficile, ne hanno notevolmente ridotto la superficie. GeografiaSi deve all'opera del fiume Trebbia e dei torrenti Scrivia, Aveto, Borbera, Boreca, Curone, Lavagna, Staffora, Tidone l'aver scavato vallate impervie nelle quali la difficoltà di comunicazione e le strade tortuose - unite alla tenacia dei montanari - hanno contribuito a preservare dal rischio di estinzione una fetta importante del patrimonio culturale locale. StoriaMolte sono le testimonianze[3] della presenza dei Liguri fin dall'età della pietra (villaggio neolitico a Travo, val Trebbia piacentina) e nell'età del ferro (castelliere, villaggio fortificato, di Guardamonte nell'Alessandrino).[senza fonte][4] Ben documentata anche la presenza dei Romani: molti i toponimi, i ritrovamenti archeologici (resti della città di Libarna in val Scrivia) e la documentazione storica (Tabula alimentaria traiana del municipio di Velleia del II secolo d.C.). Secondo lo storico Polibio, nel dicembre del 218 a.C., Annibale inflisse una pesante sconfitta al console romano Tito Sempronio Longo nella battaglia della Trebbia. Alcuni toponimi della val Trebbia e della val Boreca, come Zerba sembra rechino traccia dal passaggio delle truppe di Annibale. Dal IV secolo, sotto la pressione crescente delle popolazioni barbariche, si verificò una migrazione dalla costa ligure e dalla pianura verso le zone montuose. Si formarono così nuovi insediamenti basati su un'economia di sussistenza agro-pastorale. Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero in seguito riassegnò il territorio costituendovi dapprima la Marca Obertenga e poi i feudi imperiali, con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare, oltre alla contea vescovile di Bobbio, assegnò questi territori a partire dal 1164, a famiglie (dapprima discendenti degli antichi Obertenghi) quali: i Malaspina, i Fieschi, i Doria, i Pallavicino, i Landi e i Farnese) che dominarono per secoli questi feudi. Napoleone abolì i feudi e il territorio venne diviso tra la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Ligure. Nel 1815 il Congresso di Vienna cedette gli ex feudi imperiali al Regno di Sardegna e nel 1861 questi territori vennero annessi al Regno d'Italia. CulturaTra gli elementi culturali comuni di queste vallate il più noto è quello musical-coreutico. Il modo di cantare dei cori, influenzato dal trallallero genovese, il repertorio delle musiche da piffero e le danze popolari, dette appunto delle Quattro Province, sono preziose testimonianze di una cultura antica miracolosamente sopravvissuta fino ai nostri giorni. Accomunano questi territori anche alcune feste popolari e riti calendariali quali le questue per il calendimaggio, il carnevale e i festeggiamenti dei santi patroni. MusicaLa coppia di musicisti che suonano piffero e fisarmonica anima tutte le feste, non si balla mai senza musica dal vivo. Con la fine della civiltà agricola-montanara sono rimasti loro i portatori della tradizione. Il repertorio musicale è corposo, antico, trasmesso attraverso i secoli. Comprende, oltre le melodie da ballo, brani che scandivano i momenti della vita contadina: questue come il cantamaggio, la galina grisa, il carlin di maggio, la Santa Croce; il carnevale con la povera donna; la partenza per la leva; il matrimonio con la Sposina (brano per accompagnare la sposa dalla sua casa alla chiesa) e altri brani "da strada" come la sestrina per accompagnare i cortei nelle varie occasioni. I pifferai più famosi ricordati per dell'Ottocento e del Novecento sono stati il "Draghino" di Suzzi, Lorenzo Bava "Piansereju" di Piancereto, Paolo Pelle "Brigiotto" di Bruggi, Carlo Agosti "Carlon" di Gregassi, Giacomo Sala "Jacmon" ed Ernesto Sala di Cegni, Giovanni Agnelli "u Canen" di Costiere di Coli, Angelo Tagliani "Giolitti" di Colleri.[5] La coppia piffero-fisarmonica porta il nome o più spesso il soprannome dei suoi componenti. Alcune di quelle attive oggi sono:[6]
Gruppi di folk revival come i Baraban, La Ciapa Rusa, i Tendachënt, i Tre Martelli, i Musicanti del piccolo borgo hanno introdotto i brani da piffero nei loro concerti. Strumenti tradizionaliLo strumento principe è il piffero delle Quattro Province, un oboe popolare generalmente in bosso o ebano, accompagnato oggi dalla fisarmonica e fino agli anni trenta dalla musa (cornamusa tipica di quest'area). Il piffero è costituito da tre parti: la bocchetta che è il disco poggialabbra che porta le ance (musotti); la canna che ha sette fori anteriori e uno posteriore per la diteggiatura; il padiglione terminale (campana) che porta in un forellino una penna di coda di gallo che serve a pulire le ance. Costruttori e adattatori di pifferi sono noti nel territorio delle Quattro Province dall'Ottocento, e comprendono Ferdinando Cogo a Cantalupo Ligure, Giovanni Stombellini "u Sartù" a Ozzola, Niccolò Bacigalupo "u Grixu" (1863-1937) a Cicagna; strumenti musicali semilavorati e attrezzi, tra cui il tornio a pedale, di quest'ultimo sono conservati al Museo etnografico Ettore Guatelli di Ozzano Taro (PR). Oggi i pifferi continuano ad essere costruiti da Ettore Losini, detto Bani, di Degara di Bobbio e da Stefano Mantovani di Casanova Staffora. Occasionalmente viene reintrodotta la musa al fianco di piffero e fisarmonica in formazioni come i Musetta, gli Epinfrai, i Lampetron, i Suonatori di Menconico, gli Enerbia, il Ballatoio. Danze tradizionaliLe danze che animano le feste appartengono alle danze in coppia chiusa, alle danze di gruppo a figure e alle danze pantomimiche. Quelle praticate più frequentemente sono le danze in coppia chiusa, comprendenti oltre a valzer e mazurche la polca a saltini, eseguita con passo saltato tipico delle Quattro Province, impegnativa sia per la velocità del ritmo sia per la coordinazione indispensabile tra i due ballerini. Le danze di gruppo a figure presentano coreografie circolari come nella piana e spesso nell'alessandrina e nella monferrina, o altre coreografie a terzetti, quartetti o sestetti come in giga a due, giga a quattro, perigordino e presumibilmente nella bisagna oggi in disuso. Danza pantomimica con valenze teatrali è la povera donna, eseguita da coppie che impersonano una donna e il marito che ad un tratto rimane a terra come morto per poi rialzarsi al suono di una nuova strofa musicale. Nell'Italia settentrionale le antiche tradizioni coreutiche persistono in poche aree oltre alle Quattro Province. Esse sono le Valli occitane in Piemonte, la Val Resia in Friuli e l'Appennino bolognese in Emilia. Le festeMolte sono le occasioni di festa che legano le comunità, le quali, a causa dello spopolamento montano, sono molto piccole e spesso si ricompongono nel periodo estivo col rientro per le vacanze nelle case di famiglia. Ci si ritrova per ballare, mangiare piatti tipici, ascoltare musica, rinsaldare i legami tra chi è rimasto e chi è partito e chi non è del luogo ma è disposto a fare molta strada per conoscere ed incontrare personaggi e tradizioni antiche. Molti paesi o anche solo frazioni costruiscono locali per riunirsi e ballare. A volte sono strutture eleganti, altre volte costruzioni fatte alla buona, con materiali di recupero; notevole quella di Pizzonero in val Boreca, costruita attorno ad un albero vivo con un tetto di teli e le pareti di frasche, per cui si balla girando attorno al tronco. Le feste più importanti:
LingueDa un punto di vista linguistico è difficile dare un'esatta classificazione delle varietà linguistiche gallo-italiche ancora oggi parlate, insieme all'italiano, nell'area delle Quattro Province[7]. Nel territorio in oggetto si intersecano infatti dialetti della lingua ligure e dialetti di transizione tra ligure, emiliano e piemontese. D'altra parte, tra le province in questione, è solo quella di Genova a trovarsi al centro del sistema linguistico della propria regione amministrativa di appartenenza. La provincia di Piacenza è caratterizzata da varietà emiliane in contatto con il lombardo, che però risalendo le valli appenniniche risentono progressivamente dei caratteri liguri. La parlata emiliana si estende poi all'Oltrepò Pavese, dove la continuità con il piacentino cede il passo alle influenze piemontesi man mano che ci si avvicina al confine con la provincia di Alessandria, la cui porzione più orientale – il Tortonese - è però ancora interessata dal continuum dialettale emiliano[8][9] fino al fiume Scrivia[10]. Nell'Alessandrino, procedendo verso ovest si registrano graduali mutamenti che pian piano portano ad un avvicinamento al piemontese, mentre a sud ci si avvicina al ligure[10], analogamente a quanto avviene in provincia di Pavia e nel Piacentino. Discografia
Note
Bibliografia
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