Quartiere di San Paolo
Il Quartiere di San Paolo (anche Colle San Paolo o "pallonetto") è uno dei più antichi di Chieti, e costituiva l'antico fulcro pubblico, politico e civile della città romana. In origine, sopra la città romana, precisamente presso il Foro (Piazza Tempietti, ex Largo Marco Vezio), sorse in epoca longobarda l'abitato fortificato di San Paolo, attorno alla chiesa omonima ricavata dal tempio dei Dioscuri, ripristinato nel 1927; altri due piccoli nuclei, rione Santa Caterina e rione San Nicola si vennero a costituire attorno a questo agglomerato, nel XVIII secolo risultavano perfettamente fusi con questo, mentre in posizione separata, sul Colle Gallo, sorse la Cattedrale di San Giustino, insieme all'omonima piazza, anch'essa con una storia a sé, la quale oggi è ben collegata con questo quartiere mediante la strada dell'Arcivescovado. StoriaIl Foro romanoDurante il processo di romanizzazione della città dei Marrucini, l'esempio migliore è dato dalla munificenza della famiglia di Marco Vezio Marcello che restaurò i templi nella metà del I secolo d.C. (benché esistessero già da un secolo), la cui presenza è attesta dalla lapide del restauro del complesso dei Templi Romani, o Giulio-Claudi. Detti anche "tempietti di San Paolo", perché nel VII secolo vi fu ricavata la chiesa dei SS. Pietro e Paolo, seguendo lo stesso esempio della chiesa di San Pietro ad Alba Fucens eretta sopra il tempio di Apollo, sono stati individuati con certezza da Desiderio Scerna con gli scavi degli anni '20 del XX secolo, quando la chiesa di San Paolo fu sconsacrata e liberata delle costruzioni successive.[1] Nel 1997 durante i lavori di rifacimento del manto stradale di via Marcello, verso Largo Barbella, fu riportato un ulteriore ambiente ipogeo. Si tratta del luogo di culto più antico di Chieti, ed è composto da tre tempietti limitrofi, più un pozzo sacro. I primi due constano di cella con pronao e cripta, mentre l'ultimo è costituito semplicemente da cella e cripta. Alcuni elementi fanno ipotizzare che siano stati costruiti esattamente nel I secolo a.C., con le mura in calcestruzzo del primo e secondo tempio, e l'suo dell'opus reticulatum per il restauro dei Vezii nell'era giulio-claudia. Il terzo tempio appare più tardo, del III secolo d.C., quando a Teate alta (la Civitella) il complesso sacro della vecchia triade italica degli Dei Achille, Ercole e Giove venne definitivamente sostituita dal foro romano più a valle, con il completamento dei santuari della Triade Capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Tuttavia le fondamenta di questo terzo tempio lasciano comprendere che un edificio sacro più antico, del IV secolo a.C. doveva esistere. Nel vano del secondo tempio c'è un pozzo sacro profondo 38 metri, nei vani delle cripte si sono conservate delle monete, frammenti scultorei, busti, pietre sepolcrali e iscrizioni.[2] Il fronte dei tre templi è rivolto verso sud-est, l'antico foro, anticamente vi era un quarto tempio, dove oggi si trova il Palazzo delle Poste, e aveva pianta rettangolare del quale si può ammirare solamente la parte della cella in opus mixtum, con resti del pavimento in lastre di marmo. L'intervento restaurativo del console teatino Marco Vezio Marcello e di Elvidia Priscilla si può leggere sull'iscrizione del frontone del tempio maggiore di Castore e Polluce, il più conservato, perché trasformato nella chiesa di San Paolo. Ha impianto rettangolare con facciata a coronamento orizzontale dal frontone con iscrizione ed architrave curvilinea, di epoca più tarda. Le finestre create sia sui lati che sull'abside, poi murate, sono rimaneggiamenti dell'epoca cristiana. Il materiale è in opus reticulatum. Un altro pozzo sacro si trovava in "Largo del Pozzo", oggi Piazza Valignani, e sorgeva dove oggi si trova la fontana luminosa. Trasformazione del tempio in chiesa di San PaoloL'area dei Tempietti sorge presso l'ex Largo Marco Vezio Marcello, così nominato per il patrizio romano che grazie alla moglie nel I secolo d.C. restaurò i templi che erano stati eretti in loco nel I secolo a.C., quando il fulcro dell'antica arx italica della Civitella fu spostato più a valle. Le famiglie patrizie, eredi delle famiglie romane che avevano fatto grande l'antica Teate, conservavano le loro tradizioni pagane anche nei primi anni del declino dell'Impero, trascorrendo la giornata negli affari, nelle terme che si trovavano ad est della città, nelle assemblee della Curia del senato, alle funzioni nei templi, officiando i riti religiosi nel luogo sacro centrale, e presso il Tempio dei Dioscuri posto all'ingresso del Colle Gallo. I Cristiani stabilirono due aule di culto nella città, una presso l'abitazione del liberto gallo "Segovax", per questo volgarizzato nei documenti anche "San Gallo", appena fuori l'anfiteatro, sulla strada parallela al diverticolo urbano consolare della Cludia Tiburtina Valeria, Segovax ha riservato un'ampia sala al pianterreno della sua "insula", decorandola con raffigurazioni e affreschi dedicati a Cristo e agli Apostoli, ancora oggi visibili all'interno del Tempio dei Dioscuri, il quale fu consacrato ai Santissimi Pietro e Paolo Apostoli. Gli affreschi sono ancora oggi visibili, e testimoniano un caso molto raro della pittura parietale cristiana abruzzese, d'ispirazione bizantina nel chietino. Tuttavia, come riporta Raffaele Bigi[3] non ci deve essere confusione tra la leggenda del liberto Segovax con l'antico toponimo del colle della cattedrale: Colle Gallo, in quanto dei ritrovamenti archeologici hanno fatto supporre già dal XIX secolo la presenza di una villa patrizia, che la tradizione vuole fosse di Caio Asinio Gallo, parente di Asinio Pollione; il toponimo "Gallo" passò anche alla porta delle mura medievali, Porta Gallo, che fu ricostruita nel XVIII secolo dal governatore Giuseppe Zunica, nota quindi anche come Porta Zunica o "Tre Archi", demolita poi nel 1894. La seconda aula di culto cristiana si trova presso la villa fuori le mura della patrizia Licinia Lucrezia, della gens Albinia, arrivata a Teate prima dell'assedio barbato del VI secolo d.C. Il tempio sul Colle Gallo dei Dioscuri conserva presso il fregio dell'architrave ancora l'iscrizione di Marco Vezio Marcello console, il quale lo restaurò, la sua conformazione architettonica è molto simile al tempio dei Castori di Roma; risalirebbe al 484 a.C. in opus mixtum e laterizio, e opus reticulatum, stuccato opportunamente, e decorato tra il 67 e il 90 d.C. Sopraelevato su alto podio e accessibile da una scalinata frontale, con la facciata rivolta verso la vallata dell'Aterno, visuale ostruita da varie case, tra le ultime l'orripilante Palazzo Verlengia eretto sopra l'antico palazzo Lanciani, il retro del tempio è addossato a un muro di recinzione; è privo di colonnato e solo anteriormente presenta 6 enormi colonne di marmo cipollino, giunte dall'isola di Eubea. Nel V secolo la situazione dei templi era alquanto grave, solo il vescovo cristiano Donato era in possesso di una somma di denaro, quando avvenne il sacco di Roma da parte di Alarico, il vescovo trattò con i consoli Marcio e Livio l'acquisto del tempio e di altri monumenti pagani in stato di degrado per farli diventare delle chiese, iniziando proprio dal Tempio dei Dioscuri, che divenne di fatto la prima basilica cristiana di Chieti. Dopo Giustino da Siponto, il quale secondo la leggenda, fondò la diocesi Teatina (primo quarto del V secolo), Donato fu il secondo, caso particolare se si considera che nel 395 d.C., con l'editto di Teodosio, il culto pagano era proibito, ma a Teate la gente continuava ancora a praticare gli antichi riti, compresi i ludi gladiatori nell'anfiteatro. I consoli vendettero i beni al vescovo Donato, nell'area vennero realizzate le due chiese sopra i due templi, dedicate una a San Pietro e l'altra a San Paolo, quella che si è meglio conservata nei secoli, dato che nel XIX secolo quella di San Pietro risultava già inglobata nell'altra. Il terzo edificio venne consacrato a San Salvatore. Dalla colonizzazione medievale al primo NovecentoIl quartiere San Paolo sorse come un castello con abitato interno, presso l'area sacra dei tempietti restaurati nell'era giulio-claudia (I secolo). Notizie si hanno sin dall'XI secolo, quando l'abitato, inizialmente isolato dal tessuto urbano attuale del corso Marrucino, via San Nicola via Marco Vezio Marcello, via Ravizza, Largo Barbella, sorse attorno al tempio di Castore e Polluce, riconvertito in chiesa dei Santi Pietro e Paolo, con zona fortilizia di controllo della valle del Pescara. Nel XII secolo è nominato come "castellum S. Pauli" dal vescovo di Chieti, e dopo alcune guerre e assalti subiti nel secolo successivo, il vescovo concesse al castello l'esenzione dal pagamento delle tasse per un ripopolamento. In questo periodo si sviluppò ancora di più, tanto che preso il borgo separato dal resto della città, iniziò a forma un unico agglomerato urbano con la civitas Teatina, insieme agli altri rioni. Il perimetro murario che lo circondava aveva un fornice, ossia Porta Santa Caterina, oggi scomparsa. Nei primi anni '30 iniziarono i drastici cambiamenti urbani della città, che interessarono inevitabilmente, e soprattutto, il Colle San Paolo. Il quartiere era accessibile da Porta Santa Caterina "o di un solo Occhio" (De Noculis, porta tra via Vitocolonna e viale Asinio Herio), per mezzo del rione San Gaetano, oppure da un altro accesso, attuale via dei Vezii, mentre dalla Strada Grande (come si chiamava anticamente il corso Marrucino), insisteva una piccola porta di San Nicola. L'abitato longobardo si caratterizzava ancora per la tipica conformazione irregolarmente circolare, con piccole case addossate una alle altre, e che facevano capo alla chiesa centrale di San Paolo, così come nel rione Santa Caterina alla chiesa di San Gaetano Thiene, edificio del XVII secolo edificato sopra uno preesistente di tradizione bizantina, di cui mantenne la pianta a croce greca. In fotografie storiche è possibile vedere come il quartiere avesse le principali piazze con semplici case a uno o massimo due piani, che ostruivano sulla Strada Grande anche la visuale completa della facciata della chiesa di San Domenico con il Convitto Regio "Giambattista Vico"; queste piazze erano Largo Vezio Marcello con la chiesa di San Paolo, Largo Giambattista Vico, Largo Taddei, situato dove si trova l'attuale via Fratelli Spaventa, con il Palazzo delle Poste. Nel 1930 venne completato il Palazzo delle Corporazioni Agricole ossia la Camera di Commercio, affacciata su Piazzale Giambattista Vico, realizzato su progetto di Giuseppe Florio e Camillo Guerra, in stile eclettico, che riecheggia lo stile medievale delle abbazie abruzzesi, con la torretta centrale dell'orologio, che si rifà alla vicina Torre Arcivescovile di Colantonio Valignani (XV secolo). Il piazzale venne riqualificato con l'abbattimento delle piccole case, lasciando solo Palazzo Fasoli, mentre sul corso iniziavano ad affacciarsi palazzi dallo stile umbertino, quali Palazzo Croce, Palazzo De Felice, l'Istituto "San Camillo de Lellis", Palazzo Lepri, demolito negli anni '70 per creare l'UPIM. Mentre la chiesa di San Paolo veniva privata degli arredi sacri, e il tempio, con ulteriori scavi del soprintendente Desiderio Scerna, venivano effettuati sullo slargo, nel 1933-34 a Chieti venne portato lo stile razionalista, in questi anni fuori Porta Sant'Andrea veniva realizzata l'Opera Nazionale Dopolavoro (il Museo Universitario di Scienze); su progetto di Camillo Guerra, presso l'area del quarto tempio del Foro romano, veniva costruito nel 1927-33) il Palazzo delle Poste in stile posticcio classico, snaturando di fatto l'antico Largo Taddei, mentre nel 1936 su progetto dell'ingegnere Barra Caracciolo, dalle case del quartiere San Paolo venivano buttate giù per completare la Biblioteca provinciale "Angelo Camillo De Meis" con la torre littoria, prospiciente le Poste e Telegrafi, e prospettante su Piazza dei Tempietti. Di fatto l'opera di distruzione sistematica dell'antico quartiere longobardo era stata portata a termine, il termine "pallonetto di San Paolo" per indicare l'aspetto cilindrico del quartiere non aveva più senso ormai, ma nel 1957 l'antico Palazzo Lanciani, tra la piazza e via dei Vezii, sopravvissuto alle demolizioni, fu abbattuto perché ritenuto di scarso valore storico, malgrado un caratteristico loggiato ad archi, e venne sostituito dall'ecomostro del Palazzo Verlengia, ancora più alto della torre littoria dell'ex biblioteca. Attualmente sono in corso dei progetti per il recupero dell'ex biblioteca, chiusa dal 2005 per un cedimento del terreno (attualmente è ospitata presso il Teate Center, e dovrebbe essere ospitata nell'ex caserma Bucciante nella villa comunale), ma i lavori sono stati bloccati varie volte da questioni burocratiche,e dalla mala gestione del denaro erogato per il recupero, sia da parte della Provincia che da parte del Consiglio Regionale. Largo del Pozzo e Piazza Vittorio EmanueleNel 1877-88, venne realizzato anche un acquedotto che riuscisse a captare l'acqua dalla Maiella, portando benefici allo sviluppo urbano e sanitario. Infine verso il termine del secolo, iniziò il grande piano urbanistico del rifacimento del Corso Galiani, dedicato all'illuminista teatino Ferdinando Galiani. Il problema del corso di Chieti, spezzettato in più parti da case non allineate, da resti di mura che ne ostruivano il passaggio come porte (Porta San Nicola) e torri campanarie (la torre degli Scolopi) e chiese (infatti sarà demolita quella di San Domenico che restringeva notevolmente il passaggio alla metà del percorso), si presentò già dal 1863, con un primo progetto di riqualificazione. Sventrare l'abitato antico per ricostruirlo secondo i canoni moderni, significò per le amministrazioni di Chieti entrare nel nuovo mondo borghese, uscendo definitivamente da quello di vassallaggio dell'era dei Valignani (secoli XVI-XVIII), composto da grandi palazzi signorili e da case ammucchiate di uno o due piani. Aggiunto il rango appena acquisito di capoluogo di provincia della regione del nuovo Regno, questi fattori dettero decisiva spinta alla politica perché si procedesse celermente con il rifacimento del principale asse viario della città, contando anche il nuovo valore commerciale che avrebbero avuto questi nuovi palazzi costruiti, con le botteghe moderne al piano terra. Il corso Galiani partiva dalla parte a sud della Civitella dal Piazzale della Trinità (oggi Piazza Trento e Trieste), e si estendeva lungo la dorsale collinare a nord, lambendo la parte cristiana medievale, sul colle della Cattedrale di San Giustino. Lo spazio intermedio dal XIII secolo in poi venne riempito di edifici pubblici e privati, compresi quelli del Largo del Pozzo (palazzo arcivescovile e Palazzo dell'Università), fino alla biforcazione di via dello Zingaro, via degli Orefici (via Pollione), e alla continuazione in discesa di via Ulpia (il corso Marrucino nord, presso San Francesco d'Assisi). Nel 1863 fu approvato il primo progetto, con tagliamento delle facciate dei palazzi più aggettanti sulla strada, la demolizione di quelli che si affacciavano su Largo Mercatello, la distruzione delle casette presso la Piazza Grande (oggi Piazza San Giustino) che insistevano su Porta Zunica, San Giustino e il palazzo comunale; poi lo sbancamento del rilievo che di fronte alla chiesa di San Francesco permette il collegamento di questa alla piazza Grande (via Chiarini in precedenza via del Popolo). Si rimediava così al difficile approdo alla Piazza Grande mediante le due uniche strade esistenti: via A. Pollione che dal Pozzo arrivava a Piazza Vittorio Emanuele (ossia di San Giustino, così chiamata dal 1861), lungo via del Popolo e lungo la discesa che consente di lasciare il rilievo dinanzi a San Francesco, conducendo al quadrivio della piazzetta; e la via dello Zingaro (oggi via De Lollis), con un percorso tortuoso, sbocca a Piano Sant'Angelo (oggi Piazza Matteotti), alla fine di via Arniense. Il progetto passò al Genio Civile, che però espresse dei dubbi sullo sventramento del corso, anche se poi si raggiunse l'accordo di larghezza della strada di 8 metri, proponendo anche l'abbattimento della chiesa di San Domenico, poiché l'ex convento da tempo era divenuta la sede della Prefettura, in modo da realizzare sopra l'edificio il nuovo Palazzo Provinciale[4] A causa dei vari dibattiti sul da farsi, passarono 10 anni, con altre tre progetti depositati al Comune nel 1873 da parte dell'architetto De Fabritiis e degli ingegneri Pozzi e Vigezzi, che adottarono più o meno lo stesso progetto del 1863, con la differenza di far partire il corso dalla Civitella, demolendo la chiesa della Trinità per farlo proseguire sino a Largo del Pozzo, proseguendo sino al Mercatello. Se il progetto De Fabritiis cercava di conservare il più possibile gli edifici lungo il corso, quello dell'ingegner Daretti nel 1871 era più distruttivo, con l'intendo di far partire la strada dalla Civitella, facendo continuare la strada per via dello Zingaro dal Pozzo, arrivando al Mercatello, per poi farlo riunire in via Arniense sino al Piano Sant'Angelo, per una lunghezza di 423 m e larghezza di 12 m Trattandosi di un progetto troppo dispendioso, si optò per il terzo dell'ingegner Antonucci del 1872, che si interessava soprattutto della questione igienica, realizzando il corso a tratti, per il risanamento dei piccoli sobborghi di casupole, di cui si ricordano i quartieri San Paolo e San Nicola (che verranno quasi sventrati del tutto nel 1927-36). Questo progetto prevedeva di realizzare il corso sempre dalla Civitella, scendendo via Ravizza, immettendosi in via San Paolo, dove si trovano i Tempietti, immettendosi nel rione San Gaetano lungo via M. Vezio Marcello e riuscendo nel Pozzo, proseguendo in via dello Zingaro sino a Sant'Angelo. Da qui sarebbe proseguito lungo via Sant'Eligio, poi in via Paradiso, sboccando alla Torre Spatocco (o dei Toppi), cercando dunque di coinvolgere, attraverso un percorso abbastanza tortuoso e non diritto, le varie realtà della città. Benché approvato dal Comunque, i lavori verranno ritardati sino ai primi anni del Novecento, e procederanno a tratti. Nel 1886 gli ingegneri Mammarella e Montalbetti progettarono la sistemazione del Largo del Pozzo e all'apertura alla via Ulpia, che sarà il prolungamento del corso Galiani. Gli ingegneri dovettero demolite la casa Francese e quella Serra-Valignani per permettere il collegamento diretto; se da un lato i palazzi creati e "tagliati" nelle facciate corrispondevano alle facciata del teatro Marrucino e dell'Arcivescovado, il corso nord della via Ulpia risultava assi "storto" e irregolare nel collegamento di linea con il Galiani: il primo tratto scorre dal Pozzo alla casa De Lellis, penetrando nelle case Francese, Paini e Serra-Valignani per una lunghezza di 84 m, comunicando con i vicoli del teatro San Ferdinando e Paini, che avrebbero dovuto essere allargati secondo i piani per permettere dei collegamenti ad ovest con via Pollione e dello Zingaro; il secondo tratto dopo una linea di raccordo di 22 metri prospiciente la casa De Lellis, scorre per 96 m sulla via esistente del Mercatello sino alla piazzetta, incontrando il Palazzo comunale, il seminario sulla sinistra, le case Valli, Bassi-De Horatiis, la chiesa di San Francesco d'Assisi l'Intendenza di Finanza a destra. Per quanto riguarda l'antica Piazza Grande, la coorte del Palazzo del Capitano e del sagrato del Duomo, essa sino ai primi anni del '900 era caratterizzata dall'accesso di Porta Zunica, ex Porta Gallo, quando venne rifatta nell'800 con tre fornici di accesso. Dopo l'unità d'Italia, l'area era stata chiamata "Piazza Vittorio Emanuele", manteneva il sagrato del Duomo, vari palazzi, tra cui Palazzo d'Achille (la sede del sindaco) e Palazzo Sirolli, insieme a varie casette militari per la guardia civica. Nei progetti degli anni '20-'30, il rifacimento quasi totale della piazza comportò la demolizione di alcune casette sul lato ovest, fuori Porta Bocciaia e presso Porta Zunica, anch'essa distrutta, per la costruzione di due importanti palazzi, il Palazzo di Giustizia con Tribunale, in stile neogotico, e il Palazzo Mezzanotte dal carattere sobrio pseudo rinascimentale, tutto volto alla resa prospettica del solido e delle geometrie. Anche il piano fuori la porta venne rinforzato con la colmata del terreno in modo da creare un unico collegamento tra Largo Cavallerizza, appena fuori, e viale Asinio Herio; oltretutto iniziarono i lavori di rifacimento in stile neogotico dell'esterno del Duomo, la costruzione di una scalinata monumentale di accesso al nuovo ingresso dal portale vagamente gotico, decorato da ghimberga, mentre al centro veniva collocata una grande fontana monumentale in ghisa a vasca circolare, successivamente traslata nella villa comunale. Modifiche alla città di Chieti nel XIX-XX secoloCambiamenti urbani nell'Unità d'ItaliaL'area del Trivigliano tra Porta Pescara e Fonte Vecchia rimase in mano ai militari, con l'istituzione della caserma Pierantoni presso il convento di Santa Maria, in modo da controllare i traffici provenienti dal porto di Pescara. Tuttavia proprio questo collegamento con Pescara nella prima metà dell'Ottocento aveva fatto percepire possibili spiragli di un futuro economico più prolifico. Intanto nel 1847 Ferdinando II delle Due Sicilie proponeva di dislocare la colonna mobile d'artiglieria dall'Aquila a Chieti, per acquartierarla proprio nell'ex convento dei Cappuccini a Porta Sant'Anna; ma alla fine si scelse per il terreno più vasto e aperto dell'ex monastero di Sant'Andrea degli Zoccolanti, che divenne la caserma Bucciante con annesso ospedale militare. Il capitolo riguardo alla soppressione dei conventi fu chiuso nel 1848 dal vescovo Saverio Bassi, dopo un malaugurato incidente avvenuto nell'ex convento dei cappuccini, che rischiò di scatenare una repressione antiliberale da parte dei piemontesi. Lo stesso vescovo assunse posizioni contrastanti nell'ambito clericale teatino, poiché nel 1813 aveva acconsentito a sconsacrare definitivamente la chiesa di Sant'Ignazio per i lavori di realizzazione del teatro pubblico. Il vescovo seguente Giosuè Maria Saggese si adoperò per l'ampliamento del seminario diocesano su Corso Marrucino e via Arniense e per modificare la Cattedrale, essendo cessate le attività edilizie dei principali monasteri. Lo storico Palazzo Valignani di proprietà diocesana affacciato su Piazza Vittorio Emanuele (ossia San Giustino) venne riutilizzato come sede municipale, mentre nel 1843-46 veniva riadattata la torretta della Porta Sant'Andrea, venendo inglobata nella chiesa della Trinità, mancando il progetto di ricostruzione in forme neoclassiche e monumentali. Nel 1853 venne demolito anche il portello di San Nicola, che si trovava all'ingresso del corso Galiani (oggi Marrucino) venendo da Piazza della Trinità, collegato al Palazzo Tabassi e alle varie casupole che si erano andate a realizzarsi sull'area della fiera dell'anfiteatro (area comunemente detta Fiera Dentro per distinguerlo da Fiera Fuori dell'anfiteatro sulla Civitella). L'avvio della città verso la moderna borghesiaIn questi anni venne adeguato anche il corso Galiani, che seguiva l'antico tracciato Marrucino romano, ma era spezzettato in più punti dalla disorganicità delle case (oggi quasi del tutto sparite per la costruzione negli anni '20 dei palazzi neoclassici), e nell'area del Piazzale Giovan Battista Vico troncato dal campanile degli Scolopi della chiesa di Sant'Anna. Nel 1863 si propose la demolizione della chiesa di San Domenico vecchio del XIII secolo, antica gloria dei Padri Domenicani, per lasciar maggiore spazio al corso Galiani, che nell'attuale Piazzetta Martiri della Libertà (dove si affacciano l'ex CariChieti e l'ingresso del Palazzo de' Mayo), si restringeva notevolmente, impedendo quasi il passaggio delle carrozze. Il progetto di demolizione però venne avviato solo nel 1913-14. Il sacrificio della chiesa di San Domenico ha dimostrato il primo atto della riqualificazione totale del corso Marrucino per la ragion di stato di ammodernamento della città, come segno di rifiuto e di distacco dall'antico e disorganico impianto rinascimentale-barocco. Il collegamento all'altezza di Largo Mercatello, il ridisegno della facciata del palazzo arcivescovile su Largo del Pozzo, il rifacimento totale del vecchio Palazzo Valignani per lasciar posto alla Banca d'Italia, la demolizione della chiesa di San Giovanni Gerosolimitano nel 1876, la sistemazione della scala monumentale davanti a San Francesco d'Assisi, sono solo dettagli di questa vasta operazione urbanistica. In questo secolo scomparvero, oltre alla chiesa dei Cavalieri di Malta, anche le piccole Sant'Antonio a Porta Sant'Anna (1822) e di Sant'Eligio (1860), che doveva trovarsi presso il Piano Sant'Angelo (oggi Piazza Mettotti), come suggerisce l'omonima via. In questi anni nella periferia si andò realizzando l'espressione della nobile o altoborghese villa rustica, il cui archetipo è il Palazzo baronale di Federico Valignani a Torrevecchia Teatina. Le più rappresentative sono Villa Obletter e Villa Mezzanotte a Santa Filomena; dall'altra parte con l'arrivo del turismo balneare sempre d'alta classe, i signori della città andarono a realizzare le loro case presso Francavilla al Mare, che attirò anche progettisti di rilievo quali Antonino Liberi, che nel 1888 realizzò il Kursaal "Sirena", andato distrutto poi nel 1934-44; dall'altra parte anche Castellammare Adriatico, più di Pescara (i due comuni separati dal 1807 si riunirono con la legge regia del 1927), subì questa massiccia ondata di costruzioni gentilizie di gusto eclettico, per la potenzialità del turismo balneare. Nel XIX si provvedette come detto all'accomodamento del corso Galiani, che tra il palazzo arcivescovile e il palazzo dell'Università (dei Valignani - Banca d'Italia) in Largo del Pozzo si biforcava verso via degli Orefici (via Pollione) e via dello Zingaro (via C. de Lollis) verso la zona della Terranova, dopo il Piano Sant'Angelo, impedendo un collegamento diretto con Porta Pescara, che si trovava al termine di viaa Toppi, dopo l'incrocio del corso Galiani a nord con via Arniense, all'altezza del seminario diocesano. Con il piano del 1875 molti palazzi vennero "tagliati" o arretrati, per stabilire il contatto con Largo Mercatello (Piazza Malta) e la via Ulpia (via Toppi) che proseguiva in direzione di Porta Pescara. Altri risanamenti della città alla fine del secoloLa realizzazione dell'opera del corso iniziò definitivamente nel 1893, durò 7 anni, partendo dalla sistemazione della Piazza Grande, con lo sfratto delle famiglie che abitavano nelle casupole e la ripavimentazione e ricostruzione di nuovi edifici monumentali. Sanificata anche la via del Popolo, venne sterrato il rilievo davanti alla facciata di San Francesco d'Assisi, mentre si sistemavano anche largo del Pozzo e il tratto iniziale di via Ulpia, salutata come una vera opera di risanamento della città. Montalbetti, visto il portone della facciata di San Francesco "sospeso" per aria dopo lo sbancamento del rilievo, pensò di compensare con la realizzazione di una scala monumentale, ancora oggi esistente, mentre l'ingegner Mammarella realizzò degli scavi di 7 metri per ridurre la pendenza di via del Popolo che collegava la via Ulpia sino a Piazza Vittorio Emanuele[5] Nel 1888 vennero progettati dei portici da realizzare in Piazza del Pozzo, non completati, nel 1894 si pensò anche alla realizzazione di una galleria commerciale su ispirazione delle città maggiori d'Italia. In quest'anno si registrano anche malumori tra il Comune e il Ministero degli Interni per l'erogazione di fondi, vengono realizzati i progetti del piano Pomilio (1885) per la creazione di Piazza Garibaldi fuori porta Sant'Anna, per collegare la periferia a nord-est con il Colle Sant'Andrea, dove venne realizzata la villa comunale. In sostanza gran parte delle mura erano state smantellate, ad eccezione di alcuni tratti di via G. Salvatore Pianell, Porta Reale, Porta Zunica (Largo Cavallerizza) e Porta Pescara; il tracciato storico della via consolare Valeria era stato compromesso con i lavori del nuovo corso. L'andamento di questa strada si estendeva dalla pianura di Pescara e attraverso contrada Santa Maria Calvona, a sud della Civitella, risaliva il colle teatino sino ad approdarvi, e raggiungeva appunto mediante il corso Porta Pescara, discendendo di nuovo la pianura verso il Tricalle[6] Porta Sant'Anna (imbocco di via Arniense da Piazza Garibaldi) e Porta Zunica saranno le ultime ad essere demolite nel 1860 e nel 1894, quest'ultima è ancora visibile in storiche fotografie, permetteva l'accesso a Piazza San Giustino dalla Cavallerizza, ed era composta di tre archi in stile neoclassico, essendo stata rifatta nel XVIII sec. Da un lato veniva riqualificato il piano fuori Porta Sant'Anna da Pomilio con la costruzione della nuova caserma d'artiglieria, la "Vittorio Emanuele II" (oggi Spinucci), e veniva realizzata la strada Boreale per collegare la città al borghetto Sant'Anna; dall'altra parte dalla Trinità veniva realizzata la strada con la villa pubblica presso la proprietà del barone Frigerj, ad ispirazione del boulevard parigino (1883). Ferrante Frigerj acconsentì a cedere la casa nel 1865 per ospitare la Regia scuola Tecnica[7] (oggi è il "Ferdinando Galiani"). La villa pubblica sarà completata nel 1893, presso l'area dell'ex convento degli Zoccolanti di proprietà della caserma Bucciante, arricchita di panchine, una fontana monumentale in ghisa comprata dall'Esposizione nazionale di Parigi, di un laghetto, di una cassa armonica, e di un impianto d'illuminazione a gas. Proprio all'ingresso della villa vennero realizzati dei bagni pubblici in gusto eclettico e neoclassico, demoliti però nel 1934 per realizzare il Palazzo OND "Arnaldo Mussolini", all'ingresso di Viale IV Novembre. Il Collegio dei Padri ScolopiIl Collegio dei Padri Gesuiti, che avevano la loro sede nell'ex chiesa di Sant'Ignazio (oggi Teatro Marrucino) poco più a nord in Largo del Pozzo, venne costruito lungo la Strada Grande, ma già nel Settecento quando i padri vennero cacciati e l'ordine soppresso, Chieti necessità di una nuova scuola giovanile per i figli dei membri d'alto rango della città. Il collegio dei Padri Scolopi fondato da San Giuseppe Casalanzio nel 1636, fu costruito a poca distanza dal monastero di San Domenico, dove nel 1914-21 venne costruito il Palazzo della Provincia; poterono edificare su un terreno concesso da Francesco Vastavigna, e i padri ottennero da Tommaso Valignani delle abitazioni attigue, per potere realizzare la loro opera. Demolita la cappella di Sant'Anna (Piazzale Vico), cui la chiesa successiva venne dedicata, rimanendo tale sino al 1914 col trasferimento della parrocchia di San Domenico, si iniziò la costruzione del nuovo complesso. L'opera del collegio fu di educare non solo i rampolli della città, come il Collegio dei Gesuiti, ma di salvare la popolazione in generale dall'ignoranza, la scuola era gratuita e aperta a tutte le classi sociali; presto la rivalità tra le due istituzioni scoppiò. Nel XVIII secolo furono introdotti gli studi superiori, anche le classi borghesi medio-alte iniziarono a frequentare il collegio, la disputa con i Gesuiti terminò nel 1767 con la soppressione dell'Ordine; Romualdo de Sterlich in una lettera indirizzata a Giovanni Bianchi, racconta che i Gesuiti a Chieti non avevano lasciato un felice ricordo, pensando solo ad accumulare ricchezze, e vennero sostituiti da insegnanti laici o del clero secolare nel Collegio degli Scolopi. Con le leggi napoleoniche del 1807 vennero cacciati, il Collegio passò allo Stato, che lo adibì a Regio Convitto Borbonico, dove si insegnavano le principali materie di italiano, filosofia, letteratura, latino, matematica, fisica, scienza, economia, tali indirizzi continuarono anche quando la scuola divenne Regio Liceo Ginnasio "Giambattista Vico" nel 1861, il primo liceo classico ufficiale d'Abruzzo. Area archeologica da San Paolo a Colle GalloNel 2018 in Piazza San Giustino è stata rinvenuta, sotto la torre del campanile, una mummia, segno che l'area fosse usata come cimitero pubblico presso il sagrato della chiesa cattedrale, sino in tarda età. Nel primo Medioevo la zona del Corso Marrucino dove c'era il Foro dell'antica Teate, era caduto in rovina e intorno sono state trovate diverse sepolture, presso gli edifici romani in particolar modo. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dal massacro di Pipino il Breve che compì nell'801 d.C. quando Chieti si trovò coinvolta nella guerra longobardo-bizantina contro il ducato di Benevento. I cimiteri sorti spontaneamente nell'area di Chieti, anche tra la Civitella e la chiesa di San Lorenzo, poi di San Francesco d'Assisi, arrivavano a percorre tutto l'antico tratto della Via Ulpia (strada Grande, poi Corso Galiani e infine Marrucino), come dimostrano i rinvenimenti della fine dell'800, durante i lavori di ampliamento della strada da Largo del Pozzo: due terragne prive di corredo e altre sei nei pressi di San Francesco al Corso, disposte l'una accanto all'altra lungo il limite della strada romana, scavate nel terreno ad una quota leggermente inferiore. Le sepolture erano orientate ad est, cinque era coperte da tegoloni fittili, mentre la sesta da lastre di pietra calcarea di grandi dimensioni. Solo quest'ultima ha resistito sul petto dello scheletro, una piccola croce medievale in lamine sottili di bronzo, con la teca chiusa da vetro, forse di qualche sacra reliquia. Un'altra sepoltura fu rinvenuta rasente il muro del Seminario Diocesano sul Corso Marrucino, rivestita interamente e coperta da lastroni di pietra calcarea, al suo interno era conservato uno scheletro con anello sottile di bronzo[8] Durante questi scavi vennero alla luce vari materiali d'epoca romana, capitelli, lucerne, utensili in bronzo e tombe a cappuccina, presso Palazzo Marchioni ed Henrici, dove sono state trovate due tombe a capanna, formate da grosse lastre di terracotta e al sotto da tegoloni piani, messi a contrasto al di sopra con orli laterizi rilevati. Sotto il Palazzo Bassi-De Horatiis emerse altre due tombe a cappuccina simili alle precedenti, coperte con tegoloni privi di bollo e con gli inumati rivolti ad ovest[9]; nello stesso luogo furono rinvenuti un sarcofago, due mosaici e mura di edifici con paramenti in opus reticulatum[10], mentre lo Scenna rinvenne sul corso due sepolture manomesse, che attribuì all'era medievale, in quanto si trovavano tra le strutture murarie di abitazioni romane, paragonandole inoltre a quelle rinvenute sulla Via Ulpia per aspetto[11] L'area sepolcrale doveva estendersi presumibilmente dalla chiesa di San Francesco, lungo via Ulpia, sino a Piazza Valignani, ed a Sud lungo l'area del Seminario Diocesano, sino al sagrato della Cattedrale. La frequentazione di queste necropoli continuò anche nel V-VI secolo d.C., i dati archeologici permettono di identificare con certezza una piccola area adibita ad uso funerario, risalente all'Alto Medioevo: le sepolture lungo i muri perimetrali dell'anfiteatro. Le sepolture rinvenute risalgono al VII secolo, ma forse anche prima, a quest'epoca risale il cedimento della struttura, poiché mezzo anfiteatro è stato ricostruito seguendo il progetto della cavea originaria nel 1982-91; le sepolture erano state scavate sotto il piano di fondazione dell'edificio romano, erano allineate secondo l'andamento dei muri[12] Solo in una delle tombe ha resistito un oggetto di corredo funebre, utile per la datazione del cimitero, un pettine in osso lavorato con custodia[13]; ha una decorazione accurata con la parte centrale a motivi e semicerchi e "occhi di dado" incorniciati. Altro importante scavo archeologico, riportato anche in pannelli espositivi nel Museo archeologico La Civitella, è avvenuto nel 2008 in Largo Costantino Barbella, poco distante da Piazza dei Tempietti. un'antica sepoltura longobarda intatta. Altri scavi archeologiciNella Piazza dei Tempietti si trovava un quarto tempio, usato come pozzo sacro, e risalente al I secolo d.C., occupato poi dal Palazzo delle Poste. In Largo del Pozzo, oggi Piazza Giangabriele Valignani, è stata rinvenuta una grande camera, sopra cui poggiava gran parte dell'antico Palazzo dell'Università o dei Valignani, crollato nel 1913, e sostituito dalla Banca d'Italia. Questa sala pilastrata a pianta rettangolare si estende nei livelli interrati del Palazzo della Provincia, ricavato dall'ex monastero di San Domenico, poi della Prefettura, della Banca d'Italia e del Teatro Marrucino. L'unico ambiente ispezionabile è il vano sotto la Provincia, lunga 24 metri x 30, la sua posizione centrale lungo l'asse di attraversamento principale, in un'area nella quale sono stati segnalati numerosi rinvenimenti di strade basolate, potrebbe far pensare a un complesso pubblico destinato allo stoccaggio e vendita di prodotti alimentari. La destinazione pubblica dell'area sembra confermata dai dati emersi durante le indagini svolte nel 2004, in Piazza Valignani. Nonostante l'esiguità dello spazio indagato, la ricerca ha accertato alcuni elementi utili alla ricostruzione dell'assetto topografico e urbanistico di questa parte dell'antica Teate: le operazioni di scavo hanno restituito i resti ti un ambiente caratterizzato da un mosaico decorato da quadrati e stelle a losanghe, datato prima metà del II secolo d.C., l'iscrizione riporta le cifre C XX(V...) in tessere bianche su sfondo nero. Di interesse a poca distanza anche la scoperta della Via Tecta sotto il Palazzo de' Mayo, da cui è accessibile: è un collegamento viario coperto tra le terrazze urbane affacciate verso la Maiella, che attraverso in senso ortogonale l'antico tracciato della via Ulpia, usato come acquedotto pubblico, captano le acque dalla montagna, e arrivando sino alle sottostanti terme romane, da esso alimentate. Il passaggio principale consiste in un solo corridoio voltato a botte, realizzato in opus mixtum e reticulatum, con cubilia organizzati su file di diverso materiale, una di calcare-selce e una in pietra pomice. Questo settore della città di Teate era usato per l'edilizia privata, servito da strade lastricate, ben esposto, e presentava l'aspetto ortogonale simile a come si presentava nel Novecento, con i palazzi allineati; gli stessi sotterranei dei palazzi attuali mostrano mura in opus reticulatum e pavimenti a mosaico, a testimonianza della ricchezza dei loro proprietari, oggi è possibile vedere il mosaico della Domus di Via D. Romanelli, in corrispondenza della stessa via presso Piazza Trento e Trieste, partendo dal Corso è leggibile una stanza di circa 6x5 metri, che presenta pavimento mosaicato in tessere nere con disegno a crocette formate da 4 tessere bianche coerenti, con l'allineamento di quelle nere. L'area di Colle San GalloIl Colle Gallo, lontano dall'area di Largo Vezio Marcello, nel VI secolo fu l'area scelta dal vescovo Donato per la costruzione della Basilica di Santa Maria Madre di Dio, la prima realizzazione costruttiva della cattedrale di San Giustino. Dagli studi archeologici presso le fondamenta del Duomo attuale, si è scoperto che Donato avrebbe fatto realizzare la basilica seguendo il modello della basilica civile romana, a navata centrale e a pianta rettangolare, con due navatelle laterali; terminante con abside semicircolare. L'edificio era preceduto da un cortile quadriportico, sulla facciata si aprivano una serie di arcate con i portoni di ingresso. Infine sotto il presbiterio c'era la cripta, usata per venerare il corpo di Santo Giustino di Siponto, primo vescovo di Chieti, ricavata da una cisterna romana. L'arrivo dell'orda visigota nel V secolo provocò distruzioni, con l'arrivo di Teodorico nel 489 in Italia le sorti di Teate migliorarono, e si beneficò del nuovo sistema politico ostrogoto, la Cattedrale continuò a prosperare, mentre la città veniva dotata di uno "xenodochium" per ospitare gli stranieri, con cappella dedicata a Sant'Agata, detta ancora oggi "dei Goti", situata nel quartiere Trivigliano, prima parrocchia di questo agglomerato urbano, oggi noto come Porta Pescara o Porta Santa Maria. Durante la guerra greco-gotica, la città cadde nuovamente in degrado, con il governo bizantino i monumenti principali vennero decorati seguendo la nuova corrente artistica, ma la cattedrale versò in grave dissesto, sicché il vescovo Venanzio grazie alle risorse personali attinse alle casse della diocesi,m che nel frattempo aveva acquisito nel Sannio molto potere. Nel frattempo iniziò a sorgere un quartiere attorno al Duomo, e si ipotizza che già nel VI-VII secolo fosse sorto il Palazzo del Capitano di Giustizia accanto alla cattedrale, quello sopra cui sorge l'attuale costruzione neogotica degli anni '20, che già prima era stato varie volte riedificato. Passata sotto il ducato di Benevento, Chieti venne governata dal Conte Astolfo, il quale riportò la prosperità economica e favorendo le conversioni al cristianesimo, stipulando accordi col vescovo e la diocesi. Si ha notizia di un terremoto che colpì la cattedrale, che venne restaurata e ampliata, e dedicata a San Tommaso Apostolo, cui era dedicato lo scriptorium dei monaci. Si presume che col terremoto andarono distrutte le decorazioni dell'epoca bizantina. Durante la guerra del Papa contro il ducato di Benevento, dalla Francia venne chiamato il sovrano Carlo Magno, il quale spedì i suoi luogotenenti nelle città principali del ducato, tra cui Chieti, che venne saccheggiata e bruciata nell'801, nonostante le proteste del Conte Astolfo; la città verrà ricostruita, ma aggregata al neonato ducato di Spoleto dei Franchi. A causa del grave incendio della città, è difficile ricostruite le vicende della città dalla tarda epoca romana in poi, poiché i documenti della diocesi furono andati disperi o distrutti. A Chieti venne istituita una "marca" la forma di governo franco, e affidata al controllo del Conte Aldo, mentre la diocesi era sotto il vescovado di Tedorico suo fratello, il quale si adoperò per ricostruire la cattedrale, riconsacrata solennemente nel 1069 durante il governo dei Conti Attoni, mentre anche le altre chiese dei Santi Pietro e Paolo venivano ristrutturate. Si ipotizza che all'epoca (XI-XII secolo) la chiesa dovesse somigliare per aspetto al cenobio benedettino dell'abbazia di San Clemente a Casauria, fondato nell'872 sulla Valle della Pescara. Con sinodo del 7 maggio 1842 il vescovo Teodorico riconsacrò la cattedrale a San Giustino Confessore di Siponto. L'area della piazza Grande, come detto ben presto divenne uno dei fulcri principali di Chieti, intitolata nel 1861 a Vittorio Emanuele II, e poi di nuovo durante il fascismo a San Giustino di Chieti. L'area del quartiere di Colle San Paolo - Colle Gallo era delimitata dalle mura lungo via Arniense, Largo Cavallerizza, viale Asinio Herio, via dei Vezii, i principali ingressi erano Porta Bocciaia allo sbocco di via Arniense su via Silvino Olivieri, secondo altri in via dei Crociferi, la seconda Porta Zunica a tre fornici introduceva alla piazza, l'ultima Porta Nubiculis (o Santa Caterina), introduceva al rione San Gaetano da via Asinio Herio. Largo del Pozzo, sede del potereL'attuale Piazza Giangabriele Valignani, così intitolata al ricco patrizio teatino corridore della Formula 1 negli anni '30 del Novecento, in passato era detta Largo del Pozzo, in dialetto "lu Pozze", o anche Piazza Teatro. Il termine del pozzo fa riferimento alla presenza di una cisterna sotterranea del I secolo a.C., sopra cui furono edificati il Palazzo dell'Università dei Valignani di Vacri, la sede del potere e del parlamento cittadino, e il complesso monastico di San Domenico, andato demolito nel 1913-14 insieme al palazzo accanto. Il potere politico era detenuto dal ricco e potente casato di origini napoletane dei Valignani, i quali possedevano non solo il palazzo sulla piazza, ma anche uno stabile in Piazza Grande (oggi piazza San Giustino), rifatto nell'attuale Palazzo d'Achille, e un altro in via Cesare de Lollis (ex via dello Zingaro), una casa-torre con merlature. La piazza era anche il centro religioso amministrativo, benché il Duomo si trovasse poco più a nord sul Colle Gallo; difatti dal XV secolo si ha la menzione del vescovo Nicola Antonio Valignano, il quale fece edificare la torre monumentale quattrocentesca, e si presume che vi fosse anche il palazzo arcivescovile, a completare il triangolo di potere di questo casato, che aveva la gestione politico temporale, spirituale (per l'insediamento nella cronotassi dei vescovi dell'Arcidiocesi Teatina), ed economico, perché avevano il diritto di controllo delle rendite su vari feudi sparsi sui borghi nella vallata del Pescara;non solo, controllavano gli accessi dei traffici delle merci e dei viandanti alle porte di Chieti mediante delle gabelle, e dal XVII secolo mediante il padre Alessandro Valignano, questa famiglia ebbe una certa influenza sugli ordini religiosi presenti a Chieti, poiché padre Alessandro fece istituire accanto al Palazzo dell'Università il Collegio dei Padri Gesuiti, con l'attigua chiesa di Sant'Ignazio di Loyola, vale a dire il Palazzo Martinetti Bianchi e l'attiguo teatro Marrucino, poiché i Gesuiti furono cacciati da Chieti nel 1767 con regio decreto. I Gesuiti furono molto influenti a Chieti, e nel campo dell'educazione giovanile, si contesero i rampolli dei patrizi con i Padri Scolopi di San Giuseppe Casalanzio, stanziati poco più a sud della Strada Grande (l'attuale corso Marrucino), che avevano sede in un complesso monastico accanto alla chiesa di Sant'Anna, attuale chiesa di San Domenico Nuovo con l'attiguo Convitto nazionale "Giambattista Vico". Per mantenere il primato oligarchico, e per ottenere la legittimazione di lunga durata da parte della comunità, era necessario che il lignaggio intero manifestasse continuamente i tratti d'identità familiare e civica forte, capace di dipanare le maglie del proprio potere tra i diversi aspetti della vita collettiva cittadina. Nel corso del XVI-XVII secolo molti furono i palazzi costruiti dai Valignani e dalle altre famiglie nei diversi rioni: nello spazio della Strada Grande, oggi Corso Marrucino, che divideva i singoli rioni, l'influenza della famiglia si misurava nella possibilità di cedere da privati cittadini, alcune delle loro residenze alle autorità municipali. La casa fatta costruire all'inizio del Cinquecento sulla piazza principale, accanto alla Cattedrale di San Giustino, era affittata come abitazione per il Preside della Regia Udienza Provinciale. L'immobile che si affacciava su Largo del Pozzo era invece la sede parlamentare fino al 1630, quando i Valignani lo ricomprarono dall'Università. Questo palazzo è semicrollato nel 1913 circa per un cedimento del terreno, e vi è stata costruita al suo posto la sede della Banca d'Italia, mentre il palazzo su Piazza San Giustino è stato ampiamente ristrutturato, oggi noto come Palazzo d'Achille, sede municipale di Chieti. Nessun'altra famiglia poteva vantare di aver messo a disposizione della collettività i propri palazzi: era un privilegio saldamente controllato da chi era al vertice della gerarchia, altra prerogativa fondamentale dei Valignani era che essi prestavano denaro al municipio, diventando creditori della città, e dunque esercitando il potere economico per eccellenza. Nel 1625 il camerlengo Pietro Valignani si impegnò di prima persona a pagare alcuni debiti del municipio, alcuni mesi dopo quando il suo mandato scadde, il fratello Giovanni Andrea impose all'assemblea di saldargli il dovuto con la cessione del ricavato alla gabella della carne. Nel 1585 Giovanni Andrea aveva svolto l'incarico di mediatore nell'accordo tra l'Università Teatina e Ferrante da Palma per un prestito di 7000 ducati. Nel 1574 il fratello Ascanio Valignano aveva offerto una casa di sua proprietà per saldare un debito che Chieti aveva con la corte papale. L'affitto e la gestione delle gabelle civiche fu un altro mezzo dei Valignani per esercitare il controllo totale, particolar e fu il caso di Giovan Battista e il fratello Valerio Valignani per l'affitto nel 1643 per 1300 ducati. Con il mezzo degli statuti comunali, si potevano modificare periodicamente i metodi di gestione delle gabelle, e coloro che sceglievano il modo di tassazione erano gli stessi patrizi del Parlamento, che poi diventavano automaticamente gabellieri, e ciò si svolse non senza contrasti interni, che spesso mettevano in debito la municipalità di Chieti. I Valignani non vennero direttamente coinvolti in questi debiti, e anzi gestivano una parte delle finanze pubbliche attraverso la compravendita dei territori feudali appartenenti alle Università che al momento necessitavano di liquidità. Come si è visto con Colantonio Valignani, questa famiglia seppe allacciare rapporti con la diocesi di Chieti, tra le più influenti d'Abruzzo. I membri della famiglia al Parlamento, per elezione del consiglio, furono economi e procuratori della Cattedra e di altre chiese della città, e dell'ospedale dell'Annunziata, mentre altri furono scelti presso la corte papale, soprattutto in occasione della creazione del pontefice Papa Paolo IV (1555), per cui fu inviato Giovanni Andrea Valignani. Il fratello Ascanio Valignani si recò a Roma nel 1577 per sollecitare il pontefice Gregorio XIII a inviare somme per restaurare la Cattedrale. Il gesuita Padre Alessandro Valignano, fratello di Giovanni Andrea e Ascanio, e Visitatore generale delle Indie Orientali, contribuì definitivamente a far entrare la famiglia Teatina tra le grazie papali, e tra il prestigio dei patrizi Romani. In virtù di questi poteri acquisti anche nel territorio religioso, i Valignani presero a decidere i parroci dei loro feudi di Turri, una delle loro baronie più occidentali, a confine con Alanno e Casauria; ciò significa che i Valignani imponevano alla corte arcivescovile, senza obiezioni, le conseguenze del proprio consuetudinario parlamentare nelle terre di loro proprietà. Da Largo del Pozzo a Piazza Giangabriele ValignaniL'attuale denominazione della piazza fu raggiunta negli anni '30 del Novecento. In fotografie storiche la piazza si presentava ad aspetto triangolare, a nord vi era l'interruzione con Via Ulpia, ossia la parte settentrionale del corso Marrucino, con la scalinata della chiesa di San Francesco d'Assisi, che andava a incrociarsi con via Arniense. Le abitazioni, di cui è possibile tracciare una mappa grazie a disegni settecenteschi, e dei piani regolatori della seconda metà dell'Ottocento per il risanamento della città, erano la Casa Francese e l'ex chiesa di San Giovanni Battista dei Cavalieri di Malta, che dava il nome a tutto il rione settentrionale e orientale di Porta Monacisca. Vi erano due biforcazioni, via dello Zingaro, così dedicata al pittore e scultore molisano Antonio Solaro Di Zinno detto "lo Zingaro" perché viaggiò sempre per committenze, attualmente la strada è Via Cesare de Lollis, in ricordo dello studioso di Casalincontrada (CH), e poi l'ex via degli Orefici, poi reintitolata ad Asinio Pollione, così denominata per la presenza di varie botteghe di gioiellieri, di cui resta la gloria della Gioielleria Fasoli (XIX secolo). Un'icona votiva della Madonna col Bambino posta su un muro, risalente al XVII secolo, presenta un rosario a gioielli, in segno di protezione verso gli artigiani. Il Palazzo dell'Università dei Valignani di Vacri era una modesta costruzione, molto monumentale, che occupava tutto l'isolato di Largo del Pozzo sud-est, via Cauta a piazza Umberto I, aveva impianto quadrato irregolare, gli interni con grandi sale, e la facciata decorata in stile semplice ottocentesco, con ordine regolare di finestre, e parte bassa fasciata in bugnato, e ordine di aperture per le botteghe, più l'apertura centrale ad arco a tutto sesto, di dimensioni maggiori. Stando sopra una grande cisterna romana sotterranea, il palazzo nel 1913 ebbe un cedimento e pertanto fu abbattuto, sicché si concordò con i Domenicani, da tempo impegnati in un lungo contenzioso contro la Prefettura di Chieti, la demolizione anche della chiesa di San Domenico per l'edificazione del Palazzo della Provincia, ancora inesistente, ma ospitato nella Prefettura, che dal 1860 stava nell'ex monastero domenicani, in piazza Umberto I. Da una parte fu costruito il Banco di Napoli, poi Banca d'Italia con i caratteristici portici alla piemontese, dall'altra la chiesa storica di San Domenico andò per sempre distrutta, le quattro statue monumentali ospitate nelle nicchie della facciata furono spostate due nella facciata di San Francesco al Corso, altre presso la nuova chiesa di San Domenico che si trovava più a sud sul corso Marrucino, ex chiesa di Sant'Anna dei Padri Scolopi. Per fortuna il ciclo di affreschi due-trecenteschi che abbelliva l'interno della chiesa scomparsa fu staccato e conservato nel Palazzo Martinetti Bianchi, e dal 1976 fanno parte della collezione del Museo "Costantino Barbella". Architetture
Le tre navate interne furono divise da pilastri quadrangolari in tre ariose campate ciascuna, coperte da volte a botte lunettata sul corpo centrale, e a cupolette sulle navatelle.[15] L'elemento che caratterizza di più l'interno è il dislivello tra le navate e il presbiterio, fortemente rialzato sulla cripta sottostante. Superato il dislivello si accede al profondo transetto coperto con l'abside semicircolare a cassettoni e lo sfavillio dorato dell'altare maggiore. L'uniformità dello spazio interno della chiesa è garantita da un alto cornicione modanato che corre lungo tutto il perimetro al di sotto del quale ritmano la parete lesene poco aggettanti.
I lavori durarono dal 1994 al 2004, quando venne creata la Fondazione CariChieti, che curò il restauro per via dell'architetto Carlo Mezzetti da parte del Presidente Mario Di Nisio. L'esterno è frutto di un vivace eclettismo artistico di tardo Ottocento, con un blocco affacciato sulla piazzetta dove si trova l'accesso, che immette al cortile, mentre un ordine di arcate a tutto sesto si snoda sul lato affacciato sul Corso. La balaustra è decorata da busti di uomini illustri, ossia i proprietari storici del palazzo. Con l'ultimo restauro del 2012 dopo il terremoto del 2009, il palazzo è divenuto sede di un Museo d'Arte con sale dedicate anche a mostre ed esposizioni varie. La collezione consta di 130 dipinti, sculture di 90 artisti del XX secolo, come l'Ortega, Sassu, Cremonini, Bodini, opere d'oreficeria comprese tra il XVII-XIX secolo. La collezione contiene anche opere degli abruzzesi Costantino Barbella e Francesco Paolo Michetti.
Il palazzo ospita la Provincia e la Prefettura di Chieti, la facciata sul Corso è scandita alla base da un ampio porticato ad archi, scanditi da grosse colonne-pilastri in bugnato grezzo, con sorta di capitello circolare ornato da festoni floreali e frutti. Dagli zoccoli che si innalzano dal mensolone della cornice marcapiano, si trovano gli altri due settori del palazzo, sempre ripartiti dalle paraste e dalle colonne cilindriche e capitello corinzio: il primo ordine di finestre propone sempre lo schema binato del timpano a triangolo-semicerchio, il secondo ordine ha architrave semplice, infine il cornicione finale su mensole inginocchiate propone sempre rilievi a festoni di frutti e vegetali. Le aperture nei portici ospitano attività commerciali, lo storico Caffè Vittoria, e l'accesso mediante scalone alla Prefettura. La Sala di Rappresentanza è decorata da affreschi tardo classici, con lampadari, motivi geometrici vegetali e floreali, e riquadri d'ispirazione mitologica, mentre le tele sulle pareti sono di pittori abruzzesi come Michetti e Cascella. In particolare Michetti realizzò un grande affresco nella Sala Consiliare che propone scene di vita Abruzzesi in omaggio al secolare lavoro di campagna, montagna e pesca.
L'ex convento è stato riconvertito nel Convitto Nazionale, o liceo classico, e in un'aula destinata al Museo Diocesano Teatino, con opere d'arte provenienti dalle chiese della città e della provincia.
il collegio dei Padri Scolopi fondato da San Giuseppe Casalanzio nel 1636, fu costruito a poca distanza dal monastero di San Domenico, dove nel 1914-21 venne costruito il Palazzo della Provincia; poterono edificare su un terreno concesso da Francesco Vastavigna, e i padri ottennero da Tommaso Valignani delle abitazioni attigue, per potere realizzare la loro opera. Demolita la cappella di Sant'Anna (Piazzale Vico), cui la chiesa successiva venne dedicata, rimanendo tale sino al 1914 col trasferimento della parrocchia di San Domenico, si iniziò la costruzione del nuovo complesso. L'opera del collegio fu di educare non solo i rampolli della città, come il Collegio dei Gesuiti, ma di salvare la popolazione in generale dall'ignoranza, la scuola era gratuita e aperta a tutte le classi sociali; presto la rivalità tra le due istituzioni scoppiò. Nel XVIII secolo furono introdotti gli studi superiori, anche le classi borghesi medio-alte iniziarono a frequentare il collegio, la disputa con i Gesuiti terminò nel 1767 con la soppressione dell'Ordine; Romualdo de Sterlich in una lettera indirizzata a Giovanni Bianchi, racconta che i Gesuiti a Chieti non avevano lasciato un felice ricordo, pensando solo ad accumulare ricchezze, e vennero sostituiti da insegnanti laici o del clero secolare nel Collegio degli Scolopi. Con le leggi napoleoniche del 1807 vennero cacciati, il Collegio passò allo Stato, che lo adibì a Regio Convitto Borbonico, dove si insegnavano le principali materie di italiano, filosofia, letteratura, latino, matematica, fisica, scienza, economia, tali indirizzi continuarono anche quando la scuola divenne Regio Liceo Ginnasio "Giambattista Vico" nel 1861, il primo liceo classico ufficiale d'Abruzzo. Dal 1822 al 1854 il collegio fu governato dai sacerdoti secolari, successivamente fu elevato a "Real Liceo dell'Abruzzo Citeriore" con entusiasmo dei teatini verso Ferdinando II di Borbone, e dunque nello stesso anno divenne "Real Liceo dell'Ordine Universitario", con l'istituzione degli insegnamenti di materie giuridiche, chimiche, farmaceutiche, chirurgiche, scienze naturali, mineralogiche, geologiche e botaniche[17]. Nell'ottobre 1861 con l'annessione di Chieti al Regno d'Italia, il 12 settembre l'istituto divenne Convitto Nazionale, con primo rettore Antonio Iocco. Fino al 1908 il convitto fu sempre florido, tanto che acquistò una villa presso Castellammare Adriatico (Pescara) per le vacanze estive dei convittori, oggi diventato l'Istituto Tecnico "Tito Acerbo". Tra i vari studiosi di prestigio della scuola ci furono Edoardo Scarfoglio, Angelo Camillo de Meis, Giovanni Chiarini e Filippo Masci. Nel 1878 vi studiò brevemente anche il poeta Gabriele D'Annunzio, prima di trasferirsi a Prato. L'interno è caratterizzato dal chiostro quadrangolare, con i portici caratterizzati da archi a tutto sesto, e suddivisione in campate, la parte principale di ingresso, ha il portico che solitamente viene usato per mostre varie, conserva alcuni documenti storici che hanno reso nota la storia del liceo, e soprattutto si trova una collezione di reperti archeologici rinvenuti nel sito di Pallanum, presso Tornareccio (CH). Dal corridoio si accede alla scala dei piani superiori con le aule, oppure alla biblioteca.
Monumenti pubblici
Musei
Via TectaNella Piazza dei Tempietti si trovava un quarto tempio, usato come pozzo sacro, e risalente al I secolo d.C., occupato poi dal Palazzo delle Poste. In Largo del Pozzo, oggi Piazza Giangabriele Valignani, è stata rinvenuta una grande camera, sopra cui poggiava gran parte dell'antico Palazzo dell'Università o dei Valignani, crollato nel 1913, e sostituito dalla Banca d'Italia. Questa sala pilastrata a pianta rettangolare si estende nei livelli interrati del Palazzo della Provincia, ricavato dall'ex monastero di San Domenico, poi della Prefettura, della Banca d'Italia e del Teatro Marrucino. L'unico ambiente ispezionabile è il vano sotto la Provincia, lunga 24 metri x 30, la sua posizione centrale lungo l'asse di attraversamento principale, in un'area nella quale sono stati segnalati numerosi rinvenimenti di strade basolate, potrebbe far pensare a un complesso pubblico destinato allo stoccaggio e vendita di prodotti alimentari. La destinazione pubblica dell'area sembra confermata dai dati emersi durante le indagini svolte nel 2004, in Piazza Valignani. Nonostante l'esiguità dello spazio indagato, la ricerca ha accertato alcuni elementi utili alla ricostruzione dell'assetto topografico e urbanistico di questa parte dell'antica Teate: le operazioni di scavo hanno restituito i resti ti un ambiente caratterizzato da un mosaico decorato da quadrati e stelle a losanghe, datato prima metà del II secolo d.C., l'iscrizione riporta le cifre C XX(V...) in tessere bianche su sfondo nero. Di interesse a poca distanza anche la scoperta della Via Tecta sotto il Palazzo de' Mayo, da cui è accessibile: è un collegamento viario coperto tra le terrazze urbane affacciate verso la Maiella, che attraverso in senso ortogonale l'antico tracciato della via Ulpia, usato come acquedotto pubblico, captano le acque dalla montagna, e arrivando sino alle sottostanti terme romane, da esso alimentate. Il passaggio principale consiste in un solo corridoio voltato a botte, realizzato in opus mixtum e reticulatum, con cubilia organizzati su file di diverso materiale, una di calcare-selce e una in pietra pomice. Questo settore della città di Teate era usato per l'edilizia privata, servito da strade lastricate, ben esposto, e presentava l'aspetto ortogonale simile a come si presentava nel Novecento, con i palazzi allineati; gli stessi sotterranei dei palazzi attuali mostrano mura in opus reticulatum e pavimenti a mosaico, a testimonianza della ricchezza dei loro proprietari, oggi è possibile vedere il mosaico della Domus di Via D. Romanelli, in corrispondenza della stessa via presso Piazza Trento e Trieste, partendo dal Corso è leggibile una stanza di circa 6x5 metri, che presenta pavimento mosaicato in tessere nere con disegno a crocette formate da 4 tessere bianche coerenti, con l'allineamento di quelle nere. Piazze e strade
TrasportoL'area del quartiere è attraversata dalla tratta dell'Autolinee "Gruppo La Panoramica", con fermate in Largo Cavallerizza, via Asinio Herio, salita G. Salvatore Pianell o discesa in via Madonna degli Angeli. Note
Bibliografia
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