Le proteste in Iran del 2019-2020 (in persiano: اعتراضات سراسری ۱۳۹۸ ایران) sono state una serie di manifestazioni civili, che si sono verificate in più città dell'Iran, scoppiate a causa dell'aumento dei prezzi del carburante dal 50% al 200%,[4] trasformandosi in seguito in una protesta contro il governo iraniano e la guida supremaAli Khamenei.[5] Le proteste sono iniziate la sera del 15 novembre e nel giro di poche ore si sono diffuse in 21 città quando i video della protesta hanno iniziato a circolare online.[6]
Proteste per il caro benzina
Sebbene le proteste iniziassero come manifestazioni pacifiche, presto si trasformarono in violente rivolte contro il governo iraniano[7] che ha ottemperato varie misure per fermare le proteste, bloccando l'accesso a internet a livello nazionale e, secondo Amnesty International, sparando sui manifestanti dai tetti dei palazzi, dagli elicotteri e a distanza ravvicinata con mitragliatrici. Secondo i residenti, come riportato dal New York Times, le forze governative hanno quindi proceduto a recuperare i corpi dei manifestanti morti portandoli via per mascherare e nascondere il vero numero di vittime e la gravità delle proteste. Amnesty International ha dichiarato che le famiglie dei manifestanti assassinati sono state minacciate dal governo di non parlare ai media o di tenere dei funerali.[8][9] Secondo alcune fonti, si contano circa 1 500 cittadini iraniani uccisi riconducibili ad azioni governative.[10][11] La morte dei manifestanti ha provocato una reazione violenta da parte degli stessi che hanno distrutto 731 banche governative tra cui la banca centrale dell'Iran, nove centri religiosi islamici e statue del leader supremo Ali Khamenei. 50 basi militari governative sono state attaccate dai manifestanti.
Al fine di bloccare la condivisione di informazioni relative alle proteste su piattaforme internet o sui social media, il governo ha bloccato internet a livello nazionale, causando un black-out quasi totale di circa sei giorni.[16][17]