Questa pagina riguarda l'osservazione di Titano, il più grande satellite naturale del pianetaSaturno, e la storia delle sue osservazioni dal 1655, quando il satellite venne scoperto.
Huygens lo denominò semplicemente, in lingua latina, Luna Saturni ("il satellite di Saturno") ad esempio nell'opera De Saturni Luna observatio nova del 1656. Quando più tardi Giovanni Domenico Cassini scoprì quattro nuovi satelliti, li volle chiamare Teti, Dione, Rea e Giapeto (complessivamente noti come satelliti lodicei); la tradizione di battezzare i nuovi corpi celesti scoperti in orbita attorno a Saturno proseguì e Titano iniziò ad essere designato, nell'uso comune, come Saturno VI, perché apparentemente sesto in ordine di distanza dal pianeta[2].
Il nome di Titano venne suggerito per la prima volta da John Herschel (figlio del più celebre William Herschel) nella sua pubblicazione Risultati delle osservazioni astronomiche condotte presso il Capo di Buona Speranza del 1847. Di conseguenza iniziò la tradizione di denominare gli altri satelliti saturniani in onore dei titani della mitologia greca o delle sorelle e dei fratelli di Crono[3].
Dalla scoperta all'era spaziale
Prima dell'era spaziale non furono registrate molte osservazioni di Titano. Nel 1907 l'astronomo spagnolo Josep Comas i Solà osservò un oscuramento al bordo di Titano, la prima evidenza che esso era dotato di un'atmosfera[4]. Nel 1944 Gerard P. Kuiper utilizzando una tecnica spettroscopica rilevò la presenza di metano nell'atmosfera[5].
La superficie del pianeta mostra una serie di bande regolari, prive di un'apparente attività. Esse presentano al massimo una variazione tonale nel corso del tempo, o la saltuaria presenza di una GWS.
È parecchio spettacolare l'osservazione periodica degli anelli di taglio, un allineamento perfetto con la Terra che avviene ogni 14 o 16 anni. In queste occasioni il pianeta perde temporaneamente la visibilità degli anelli, mostrando interamente il suo disco. Inoltre è possibile osservare i satelliti all'interno della struttura degli anelli, altrimenti nascosti dall'estrema vicinanza.[7]
^Josep Comas i Solá - Parte II, su universo.iaa.es, Instituo de astrofisica de Andalusia, 2008. URL consultato il 20 febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 5 settembre 2010).