Mimante
Mimante è un personaggio della mitologia classica, presente anche nel libro X dell'Eneide di Virgilio. Seguì Enea in Italia dove fu ucciso da Mezenzio[1]. Il mitoLe originiMimante era figlio di un nobile troiano chiamato Amico e di Teano, sorella di Ecuba. La morteCome racconta Virgilio, alla caduta di Troia Mimante è tra i troiani che si aggregano a Enea. Egli trova la morte in esilio, nella guerra contro gli italici, per mano del re etrusco Mezenzio, che dopo aver lasciato morire per dissanguamento due nemici (Palmo ed Evante) recidendo loro una gamba fa altrettanto con Mimante (la doppia negazione nec non del 702, che ha valore affermativo, va messa in relazione con la forma verbale del periodo precedente, sinit, "abbandona"), ma con conseguenze più tragiche: il corpo del profugo troiano viene risucchiato nelle acque del Tirreno. Il poeta interviene per sottolineare il diverso destino di Paride e Mimante, cugini e amici perfettamente coetanei: Paride sepolto con tutti gli onori nella città natale, mentre Mimante resta senza tomba, con conseguente esclusione per la sua anima di varcare i cancelli dell'Ade. " sed Latagum saxo atque ingenti fragmine montis (Eneide, libro X, vv.698-706) " Latago, però, con un masso, grande spezzone di monte (traduzione di Rosa Calzecchi Onesti) Interpretazione dell'episodioPrima della fine di Mimante, Virgilio registra la decapitazione di Tarquito, giovane semidio italico, ad opera di Enea, che ne butta infine i resti nel Tevere. Tarquito viene considerato dalla maggior parte dei commentatori come un guerriero dell'esercito di Mezenzio per il fatto che porta un nome tipicamente etrusco. In tal caso il trattamento che Mezenzio riserva a Mimante si può intendere verosimilmente come un gesto di rappresaglia verso Enea. Questi episodi prendono comunque le mosse dal libro XXI dell'Iliade, dove Achille getta i corpi di numerosi nemici nelle acque dello Scamandro. Note
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