Lo stretto sentiero verso il profondo Nord
Lo stretto sentiero verso il profondo Nord (奥の細道 o おくのほそ道?, Oku no Hosomichi), tradotto alternativamente come Lo stretto sentiero verso l'interno, è un'importante opera di haibun del poeta giapponese Matsuo Bashō, considerata uno dei maggiori testi della letteratura giapponese del periodo Edo.[1] Il testo è scritto sotto forma di un diario di viaggio in prosa e in versi, che narra di un epico e pericoloso viaggio a piedi compiuto da Bashō attraverso il Giappone del periodo Edo alla fine del XVII secolo. Mentre l'opera poetica divenne un classico del suo genere, i viaggi del poeta descritti nel testo hanno da allora ispirato molte persone a seguire le sue orme e a ripercorrere il suo viaggio. In uno dei suoi passi più memorabili, Bashō suggerisce che "ogni giorno è un viaggio, e il viaggio stesso la casa".[2] Il testo fu influenzato anche dalle opere di Du Fu, che era grandemente onorato da Bashō.[3] Di Oku no Hosomichi, Kenji Miyazawa una volta suggerì: "Era come se l'anima stessa del Giappone si fosse scritta da sé."[4] Il testoFrasi di aperturaLe frasi introduttive di Bashō sono le più citate di Oku no Hosomichi:
TramaLo stretto sentiero verso il profondo Nord fu scritto sulla base di un viaggio intrapreso da Bashō nella tarda primavera del 1689. Insieme al suo discepolo e compagno di viaggio Kawai Sora (河合曾良), partì da Edo (l'odierna Tokyo) per la regione interna settentrionale nota come Oku, spinto soprattutto dal desiderio di vedere i luoghi di cui scrivevano gli antichi poeti[8] in uno sforzo di "rinnovare la propria arte".[9] Specificamente, Bashō stava emulando Saigyō, che lodava come il più grande poeta waka;[10] Bashō reputava essenziale visitare tutti i siti menzionati nei versi di Saigyō.[11] Viaggiare in quei giorni era molto pericoloso, ma Bashō coltivava una specie di ideale poetico del vagabondaggio. Viaggiò in tutto per circa 156 giorni, coprendo quasi 2.400 km,[12] per la maggior parte a piedi. Di tutte le opere di Bashō, questa è la più nota. Questo diario poetico è nella forma conosciuta come haibun, una combinazione di prosa e di haiku. Esso contiene molti riferimenti a Confucio, a Saigyō, a Du Fu, all'antica poesia cinese, e perfino all'Heike monogatari. Riesce a raggiungere un delicato equilibrio fra tutti gli elementi per produrre un racconto potente. È principalmente un resoconto di viaggio, e Bashō descrive vivacemente l'essenza poetica unica di ogni fermata dei suoi viaggi. Le fermate nel suo viaggio includono il santuario Tokugawa a Nikkō, la dogana di Shirakawa, le isole di Matsushima, Hiraizumi, Sakata, Kisakata ed Etchū. Lui e Sora si separarono a Yamanaka, ma ad Ōgaki si riunì brevemente con alcuni dei suoi altri discepoli, prima di separarsi di nuovo al santuario di Ise e di concludere il racconto. Dopo il suo viaggio, trascorse cinque anni lavorando e rilavorando sulle poesie e sulla prosa di Oku no Hosomichi, che però fu pubblicato solo tre anni dopo la sua morte, nel 1702.[8] In base alle differenze tra le versioni in bozza del resoconto, il Diario di viaggio di Sora e la versione finale, è chiaro che Bashō si prese numerose libertà artistiche nella scrittura.[13] Un esempio di questo è che nel Senjūshu ("Selezione di racconti") attribuito a Saigyō, il narratore sta passando attraverso Eguchi quando è spinto da una tempesta a cercare rifugio nella vicina casa di campagna di una prostituta; questo porta a uno scambio di poesie, dopodiché egli passa la notte là. Bashō similmente include in Lo stretto sentiero verso il profondo Nord un racconto di lui che ha uno scambio con delle prostitute che si trovano nella stessa locanda, ma Sora non menziona niente.[14] Filosofia del testoNobuyuki Yuasa nota che Bashō studiò meditazione zen sotto la guida del prete Buccho, benché non sia certo se Bashō abbia mai raggiunto l'illuminazione.[15] Lo studioso giapponese D. T. Suzuki ha descritto quella di Bashō nella scrittura poetica come una filosofia che richiedeva che sia "il soggetto che l'oggetto fossero interamente annientati"[16] nell'esperienza meditativa. Yuasa parimenti scrive: "Bashō aveva gettato via i suoi attaccamenti terreni, uno per uno, negli anni precedenti al viaggio, e ora non aveva nient'altro da gettare via se non il sé stesso che era in lui come anche intorno a lui. Doveva gettare via questo se stesso, perché altrimenti non sarebbe stato in grado di ripristinare la sua vera identità (ciò che egli chiama 'l'eterno sé che è la poesia')."[17] Yuasa nota ancora: "Lo stretto sentiero verso il profondo Nord è lo studio di Bashō sull'eternità, e per quanto sia riuscito in questo tentativo, è anche un monumento che egli ha posto contro lo scorrere del tempo."[18] Note
BibliografiaTraduzioni italiane
Opere critiche
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