Listeriosi
La listeriosi è una malattia infettiva, trasmessa in genere con gli alimenti, che si manifesta sporadicamente in forma conclamata. EtimologiaListeria monocytogenes deriva dai termini latini monocytum ovvero "monocita" e genero "che genera/produce" poiché estratti della membrana plasmatica del batterio, stimolano la proliferazione dei monociti nel coniglio; tale effetto non è mai stato riprodotto nell'uomo. EpidemiologiaL'incidenza è molto bassa, di appena 7 persone su un milione, e le categorie più a rischio sono soprattutto i neonati e le persone che hanno superato i sessant'anni. I soggetti che hanno immunodeficienze sono più vulnerabili. Si manifesta in genere in gravidanza o in soggetti immunodepressi e, pur trasmettendosi per via alimentare, non dà sintomatologie gastroenteriche, ma manifestazioni generali quali la setticemia o la meningite purulenta o infezioni intrauterine o fetali. In gravidanza ha una sintomatologia subdola, simil influenzale, con gravi ripercussioni sul feto. EziologiaLa listeriosi è causata da Listeria monocytogenes, un coccobacillo Gram positivo, aerobio, intracellulare facoltativo, dotato di grande mobilità, contaminante una vasta gamma di alimenti. I sierotipi identificati sono 13, di cui quelli responsabili della maggior parte delle infezioni sono 1/2a, 1/2b e 4b. I cibi maggiormente incriminati sono latte non pastorizzato, formaggi freschi, insaccati, verdure nei quali il batterio è particolarmente resistente essendo in grado di sopportare le basse temperature conseguenti alla refrigerazione e notevoli variazioni di pH. Un numero contenuto di batteri è in grado di provocare malattia nell'uomo in seguito ad ingestione. Si manifesta anche negli animali, in particolare bovini, caprini e ovini ma anche pesci e insetti, che ingeriscono terreno o vegetali contaminati ed espellono il batterio con le loro feci che a loro volta possono contaminare alcuni dei suddetti alimenti. Se un animale ha mangiato alimenti contaminati da Listeria e non presenta alcun sintomo, la maggior parte degli esperti crede che non siano necessari test o trattamenti, anche per le persone a forte rischio di listeriosi.[1] Listeria è ubiquitaria e l'infezione avviene principalmente per ingestione di alimenti contaminati, soprattutto se crudi, ma anche per contatto diretto e nel processo di macellazione di animali infetti. Circa l'1-5% della popolazione è costituita da portatori sani che espellono il batterio con le feci. I picchi d'incidenza si verificano durante i mesi estivi. L. ivanovii e L. grayi sono prevalentemente patogeni negli animali ma sono stati segnalati rari casi di infezione nell'uomo. PatogenesiUna volta ingerito l'alimento contaminato, L. monocytogenes è in grado di resistere all'interno del tratto gastrointestinale all'azione degli enzimi proteolitici, all'acidità gastrica e ai sali biliari grazie ad una serie di meccanismi protettivi promossi da geni di risposta allo stress. Raggiunte le cellule bersaglio, ovvero gli enterociti e le cellule M delle placche di Peyer, utilizza l'internalina A (InlA), più selettiva o l'internalina B (InlB), meno selettiva per aderire ai recettori glicoproteici della loro membrana plasmatica quali ad esempio la caderina-E. Viene quindi endocitato all'interno di un endosoma che si fonda con un lisosoma formando il fagolisosoma. Il pH acido interno a questo vacuolo intracitoplasmatico attiva la listeriolisina O e due differenti fosfolipasi C che portano alla lisi del fagolisosoma e al rilascio del batterio nel citoplasma. Qui il patogeno si replica e altera i processi metabolici della cellula parassitata tramite lipidi presenti nella parete cellulare. Replicatosi, si muove verso la membrana cellulare tramite ActA, una proteina posta all'estremità del batterio che modifica la polimerizzazione dell'actina in modo tale che le sue code restino fisse e si assembli solamente ad un'estremità. In questo modo il batterio è spinto verso un punto della membrana cellulare che protrude verso quella della cellule adiacente formando una struttura detta filopodio. A questo punto il batterio sfrutta nuovamente le internaline e i recettori dell'enterocita per ricominciare un nuovo ciclo. Tutti i geni che permettono l'ancoraggio, l'internalizzazione, la replicazione e il movimento direzionale fanno parte di un cluster regolato dal gene prfA (positive regulatory factor A). L'infezione si diffonde in sedi extra-intestinali grazie all'azione del gliceride A, in grado di richiamare verso luogo dell'infezione un elevato numero di monociti. I macrofagi internalizzano a loro volta il batterio e lo trasportano in sedi lontane come fegato e milza, facilitando la diffusione dell'infezione e rendendo inefficace l'azione dell'immunità umorale. Questo è il motivo per cui molti soggetti affetti da listeriosi presentano difetti o deficit dell'immunità cellulo-mediata. ClinicaL. monocytogenes provoca principalmente infezioni del sistema nervoso centrale (meningite, meningoencefalite, ascesso cerebrale, encefalite) e batteriemia nei soggetti immunocompromessi[2], nelle donne in gravidanza e in soggetti come neonati e anziani. Negli immunocompetenti la malattia sintomatica è rara ma quando presente si manifesta con una gastroenterite. L'incubazione media dopo l'ingestione di cibo contaminato è di 3 settimane ma può prolungarsi fino a 70 giorni. NeonatiNei neonati l'infezione si manifesta in due forme:
AdultiNegli adulti l'infezione dà luogo a quattro possibili quadri:
DiagnosiLa listeriosi va sospettata in tutti i soggetti a rischio. Per la diagnosi si procede con un'emocoltura seguita da una rachicentesi al fine di esaminare il liquor cefalorachidiano sotto il profilo chimico-fisico, sottoponendolo a colorazione di Gram e a coltura. Per diagnosticare la patologia nel feto si può prelevare il liquido amniotico. In tutti i pazienti immunocompromessi, in caso di convulsioni o del sospetto di patologia occupante spazio, prima della rachicentesi e dopo aver impostato una terapia antibiotica empirica, va effettuata una risonanza magnetica o una TC encefalo.[3] Alla microscopia ottica L. monocytogenes appare sotto forma di coccobacillo singolo, in coppia o disposto in corte catene a localizzazione intracellulare o extra-cellulare e con un caratteristico movimento "a capriola". In molti campioni di liquor, tuttavia, non si riesce ad identificare alcun microrganismo poiché la carica batterica è di norma bassa (< 104 CSF/mm3) rispetto a quella di altre meningiti batteriche. Il sangue prelevato si può coltivare nei normali terreni di coltura dove dopo 1-2 giorni d'incubazione si formano piccole colonie tondeggianti di un caratteristico colore blu. In coltura su terreno agar sangue di pecora mostra una debole β-emolisi che aumenta al CAMP test, il che può aiutare nella diagnosi differenziale. L'identificazione definitiva del patogeno può essere effettuata tramite test biochimici e sierologici specifici con PCR su sangue o su liquor. In caso di precedente terapia antibiotica esistono test di agglutinazione al lattice. TerapiaLa terapia antibiotica ad ampio spettro va effettuata il più presto possibile poiché ritardi nel suo avvio determinano un peggioramento della prognosi. L'ampicillina è generalmente considerata l'antibiotico di scelta (2 g per endovena) con l'aggiunta di un aminoglicoside come la gentamicina (1 mg/kg EV ogni 8 h). Un antibiotico di seconda scelta è il cotrimossazolo. A differenza di altre meningiti batteriche non si devono utilizzare le cefalosporine poiché L. monocytogenes è resistente a questa classe di antibiotici e talvolta anche alle tetracicline e ai macrolidi. La batteriemia dovrebbe essere trattata per 2 settimane, la meningite per 3 settimane e gli ascessi cerebrali per almeno 6 settimane. Il tasso di mortalità complessivo è del 20-30%. In gravidanza vi è una probabilità del 22% di perdita del feto o morte neonatale, ma le madri sopravvivono nella maggioranza dei casi.[4] La prevenzione si effettua mediante il lavaggio e la cottura del cibo. Le categorie ad alto rischio dovrebbero astenersi dal consumo di cibi crudi o poco cotti. Note
Bibliografia
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