È attestata da iscrizioni ritrovate nell'area che comprende a nord la provincia di Pesaro[5], a sud da quella dell'Aquila, ad ovest quella di Rieti e ad est la costa adriatica[6].
La lingua picena meridionale è detta anche sudpiceno[7], protosabellico[8] o medio-adriatico[9][10].
Le espressioni "piceno meridionale" e "sudpiceno" erano nate per distinguere questa lingua da quella "picena settentrionale" o di Novilara, di natura oscura e di cui è dubbio l'effettivo uso nel territorio piceno settentrionale. Il ritrovamento di un'iscrizione in sudpiceno nel Pesarese, nel 2016, ha reso obsolete queste definizioni[11]. Non esiste alcuna correlazione tra le due lingue.
La datazione delle ventisette iscrizioni picene ne ha individuato la diffusione in un periodo compreso fra la fine del VII secolo a.C. e l'inizio del III secolo a.C. L'alfabeto piceno, decifrato solo negli anni ottanta del Novecento, comprende in particolare l'uso di sette vocali (trascrittea, e, í, i, o, ú, u)[12]. Nel corso del periodo che va dal III al I secolo a.C. la lingua picena cessò gradualmente di essere usata, come testimonia il fatto che alle iscrizioni che usano l'alfabeto piceno succedono documenti scritti in alfabeto latino, sia pure in un dialetto detto sabellico[13][14].
Caratteristiche e interpretazione della scrittura
Lettere e simboli
L'alfabeto della lingua picena è composto da ventiquattro lettere; l'uso di sette vocali rivela una accuratezza nella trascrizione del sistema vocalico maggiore di quella delle altre lingue italiche[15]. Le venticinque lettere comprendono:
Il segno di separazione tra due parole è costituito da tre punti sovrapposti[17][13]:
Dall'impossibilità di leggere le iscrizioni alla loro traduzione
La relativa scarsità delle testimonianze e la difficoltà della loro interpretazione aveva a lungo oscurato non soltanto l'appartenenza del piceno meridionale al ceppo osco-umbro, ma perfino la sua indoeuropeità, tanto che il noto glottologo Francesco Ribezzo (1875 – 1952) considerava tale lingua piuttosto vicina all'etrusco.
Negli anni ottanta del Novecento si sono compiuti cinque passi fondamentali che hanno condotto alla possibilità di leggere le iscrizioni[18][19][20]:
i due punti sovrapposti , precedentemente considerati come segno di punteggiatura apparentemente ridondante, sono ora considerati il grafema che rappresenta il suono /f/;
il punto al centro , anch'esso già considerato come segno di punteggiatura ridondante, è ora considerato il grafema che rappresenta il suono /o/;
il segno precedentemente interpretato come grafia alternativa di "S" è ora considerato il grafema che rappresenta il suono /v/;
il segno precedentemente incompreso, è ora considerato come corrispondente alla lettera "Q" (suono /k/ davanti a /w/)
il segno precedentemente incompreso, è ora considerato il grafema che rappresenta il suono /g/ (suono duro).
Si è così appurato che una caratteristica dell'alfabeto piceno è quella di usare dei punti al posto dei segni che in altri alfabeti sono tratti o circoli[21]:
la “O” diviene un punto al centro ;
la "F", che in alfabeti coevi ha spesso forma a "8", è resa con due punti sovrapposti ;
la variante della "T" è realizzata con un punto al posto del tratto orizzontale ;
la variante della "Q" presenta un punto al centro al posto della linea verticale ;
la variante della "A" presenta un punto al posto del tratto orizzontale .
Il dibattito sul valore fonetico del segno e del segno è comunque ancora aperto e non mancano opinioni discordanti[22].
Le nuove interpretazioni delle lettere elencate sopra hanno portato a un deciso miglioramento della comprensione della lingua picena e, nel 1985, a una prima traduzione dei vari testi[18]. Insieme a ciò, l'emergere di ulteriori testimonianze e il fiorire di nuovi studi permettono oggi di inserire la lingua in questione in sicuro ambito italico e quindi indoeuropeo, all'interno di un contesto locale comunque complesso e caratterizzato da un continuum linguistico.
Andamento
La scrittura, in quasi tutte le iscrizioni ha un andamento bustrofedico, ossia non ha una direzione fissa, ma procede in un senso fino al margine scrittorio e prosegue a ritroso nel senso opposto, secondo un procedimento "a nastro", senza andare a capo; l'andamento ricorda quindi quello dei solchi tracciati dall'aratro in un campo. Nella riga di ritorno si nota il rovesciamento delle lettere.
Fanno eccezioni due iscrizioni che comunque si differenziano anche per altre caratteristiche: si tratta dell'iscrizione del guerriero di Capestrano, l'unica posta su una scultura, il cui testo è su una riga unica, e quella del cippo di Cures, l'unica paleo-sabellica sinora nota sul versante tirrenico, in cui si adotta l'uso di andare a capo. L'iscrizione dell'elmo di Campovalano non si può considerare bustrofedica a causa della sua brevità. La scrittura bustrofedica è tipica anche di altre lingue antiche.
Nella necropoli di Novilara, che sotto tutti gli altri aspetti ha restituito reperti tipicamente piceni, è attestata la cosiddetta lingua picena settentrionale o di Novilara, caratterizzata da un alfabeto diverso da quello sudpiceno e in genere dagli altri alfabeti italici.
Questa lingua ha un corpus di quattro iscrizioni, di cui solo due (o forse una sola) di accertata origine archeologica; pur essendo leggibile, è ritenuta di natura oscura e dunque intraducibile; ciò che è sicuro è che essa non è correlata in alcun modo con la lingua picena meridionale[23].
Nel 2021 è stato edito uno studio che, se confermato, chiarirebbe tanti dubbi: in esso si afferma che sarebbe stato un antiquario fanese ottocentesco ad aver realizzato le iscrizioni di Novilara dubbie, come sembra appurato dal ritrovamento a Poggio Cinolfo, nel terreno di una casa di sua proprietà, di due false stele. Le stele di Poggio Cinolfo sono state ritrovate nel 1989, considerate dapprima come testimonianze autentiche di scrittura in lingua osca[24] e poi, riesaminate nuovamente negli anni Duemila, ritenute delle contraffazioni[25].
Classificazione
Il Piceno appare come un dialetto particolarmente prossimo all'Umbro. Il nesso dialettale sarebbe però da rapportare a una fase arcaica dell'umbro, detta "umbro antico" o, perfino, "osco-umbro" non differenziato.
Le iscrizioni picene risultano in effetti estese su un'area maggiore rispetto a quella che appare storicamente occupata dai Piceni (attuali Marche e provincia abruzzese di Teramo), "sconfinando" verso sud in territorio vestino, peligno e marrucino, e sono ritenute spesso cronologicamente anteriori (anteV secolo a.C.) a quelle in tali altre varietà. Il quadro linguistico del medio versante adriatico risulta pertanto confuso, e ancora oggetto di ricerca[10].
Corpus delle testimonianze
Il corpus delle iscrizioni del Sudpiceno è finora costituito da ventotto iscrizioni su pietra o bronzo che vanno dal VI secolo a.C. fino al IV secolo a.C. La datazione è stata stimata in base alle caratteristiche delle lettere e, quando è stato possibile, al contesto archeologico[26][27].
La maggior parte delle iscrizioni sono incise su stele o su cippi di arenaria o calcare. Altre, invece, si trovano su statue o oggetti bronzei. Spesso sono relative a contesti funerari. In alcuni casi le iscrizioni sono frammentarie[26].
A volte i testi ricorrono alla deissi: il pronome "io" si riferisce talvolta al monumento (secondo lo schema dell'oggetto parlante[28]), altre volte invece si riferisce all'autore del testo. Il pronome "tu", similmente, a volte si riferisce al lettore e altre volte al destinatario dell'iscrizione[13]. In alcuni testi si nota anche una ricerca di ritmicità, ottenuta attraverso l'allitterazione di suoni o attraverso la ripetizione degli stessi suoni all'inizio di due o più parole. In questi casi è lecito pensare che la sintassi e la struttura del testo siano influenzate da questo intento, con ripercussioni sulla distribuzione naturale delle parole nel discorso[13].
L'elenco completo è il seguente, in cui ogni iscrizione è preceduta dalla sigla con la quale è nota in letteratura, formata dalla provincia di ritrovamento[29] associata ad un numero progressivo[26][30]. Come si può notare, le collezioni più ricche di iscrizioni sudpicene sono conservate nel Museo archeologico nazionale delle Marche e nel Museo archeologico nazionale d'Abruzzo.
A Mondolfo, diversi decenni or sono, una stele picena era stata rinvenuta casualmente durante lo scasso di una vigna e poi, non riconosciuta come tale, utilizzata come sedile[5].
Dal 1982 al 2014 il presidente dell'Archeoclub di Mondolfo, Roberto Bernacchia, ne aveva ripetutamente e inutilmente segnalato la presenza agli enti proposti, fino a che, in seguito a sopralluoghi, nel 2016 finalmente il reperto è stato preso in custodia dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale di Ancona e infine esposto nel museo civico di Mondolfo.[5]
La stele riveste una notevole importanza, perché sfata il pregiudizio che sostiene l'impossibilità di trovare stele picene a nord dell'Esino e getta nuova luce sulla lingua parlata dai Piceni delle attuali Marche settentrionali[5].
La trascrizione è resa difficoltosa a causa dell'usura della pietra, utilizzata per decenni come sedile; esistono perciò tre ipotesi parzialmente alternative. Se ne riporta una nella tabella sottostante, a titolo di esempio[51].
testo→ trascrizione→
... P T Ù (I) R O N I S
...... ... [N] O U I ... ...
... A Ù L N Ì (... ...)
Si pensa che i tre termini siano quelli tipici della formula onomastica, ma non è da escludere la possibilità che i primi due termini si riferiscano a colui che ha dedicato la stele e l'ultimo termine si riferisca invece al destinatario, come nell'iscrizione del guerriero di Capestrano[51].
Dallo stesso terreno in cui si è ritrovata la stele appena descritta, proviene una seconda stele iscritta, ma a causa dell'usura è possibile identificare solo alcune lettere[51].
Stele di Loro Piceno
Nella tabella sottostante, a titolo di esempio, si riportano il testo e le varie ipotesi di traduzione della stele di Loro Piceno (MC1), ritrovata nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre erano in corso i lavori di demolizione di un piccolo edificio lungo la circonvallazione[52].
Per quanto riguarda il significato, ci sono due termini oggetto di fitto dibattito: apaes e púpúnis, ricorrenti anche in altre epigrafi (con varie desinenze). Secondo alcuni studiosi i termini sembrano individuare ruoli pubblici, ma non è facile da individuare e comprendere quali di preciso, riferendosi ad una realtà che non conosciamo da questo punto di vista[21]; c'è anche chi sostiene l'ipotesi che púpúnis sia un termine etnico che indica il nome del popolo piceno[8]. Secondo altri, invece, Apaes è un nome proprio di persona[53][22] e puupuunis si riferisce al tumulo[53]; secondo altri ancora, Apaes è un nome proprio di persona e puupuunis è un aggettivo traducibile come "eccellente", "illustre"[22].
Il testo inizia sul lato destro della stele, in basso, e procede verso l'alto.
Apaes riposa qui. Un uomo eccellente e di rilievo giace nel sepolcro.
Stele di Bellante
L'iscrizione di Bellante (TE2) fu rinvenuta nel 1867 (o 1869) nell'alveo di un torrente, in una località all'epoca denominata "Castel S. Andrea".
L'iscrizione contorna una figura umana centrale, con le braccia poste in modo analogo a quelle del Guerriero di Capestrano. Nel 2019 ne è stata realizzata una copia conforme da porre nel paese di ritrovamento[48].
Il testo della stele è riportato nella tabella seguente, con traslitterazione e una proposta di traduzione.
Il testo inizia a fianco della gamba dell'immagine scolpita, in basso a sinistra, e procede verso l'alto.
Ordinando le parole, la traduzione proposta è dunque:
"Per via, vedete l'immagine (maschera, simulacro) di Titos Alios, sepolto in questo sepolcro"
L'"immagine" a cui si farebbe riferimento nell'iscrizione è la figura a rilievo del defunto scolpita sulla stele; si veda la foto qui pubblicata.
Secondo il filologo classico Calvert Watkins, il testo della stele di Bellante sarebbe uno dei primi esempi di poesia italica; l'affermazione è basata sul fatto che nel testo esistono tre allitterazioni: viam - videtas, tetis - tokam, vepses - vepeten.[56]
Alfabeto
Si presenta nella tabella seguente l'alfabeto piceno. Dato che alcune lettere sono interpretate diversamente dai vari autori citati in bibliografia, si segue l'interpretazione più comune[57][58].
^Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".
^Da quando, nel 2016, è stata ritrovata un stele picena a Mondolfo (provincia di Pesaro e Urbino), l'aggettivo "sudpiceno" sembra sempre più inappropriato: dato che l'area di diffusione della lingua corrisponde oramai in pieno a quella in cui sono state ritrovate testimonianze della civiltà picena, sembra ormai più corretto definire la lingua semplicemente "picena"; si veda:
Zamponi, R. & N. Zair 2023 L’iscrizione (sud)picena della stele di Mondolfo: proposta di una nuova lettura, in: Rivista di epigrafia italica, 86 (p. 36-41).
Anche precedentemente, comunque, diversi autori preferiscono l'espressione "lingua picena":
Francisco Villar, Gli indoeuropei e le origini dell'Europa: lingua e storia, il Mulino, Bologna, 2008, (p. 474) ISBN 978-88-15-12706-8.
Mario Lopes Pegna, Popoli e lingue dell'Italia antica, Libreria editrice L. Del Re, 1967 ( p. 170)
Paola Cotticelli, Introduzione allo studio del linguaggio, Università degli studi di Verona, 2011-2012; Studi e testi - edizione 16, Deputazione di storia patria per le Marche, Guiffrè, 1996 (p.34)
Nell'Enciclopedia Treccani la lingua picena è classificata come "umbro-sabellica", del gruppo "osco-umbro". Si vedano le voci: Sabelli e Piceni, di Giulia Rocco. Dalle stesse voci il termine "Sabelli" è riferito ai popoli italici legati a Sabini e Sanniti.
Raoul Zamponi, R. & N. Zair L’iscrizione (sud)picena della stele di Mondolfo: Proposta di una nuova lettura, in Studi Etruschi n. 86, 2023 (pp. 394-399).
Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, Firenze 1985 e in altre opere della stessa autrice;
(DE) H. Rix Sabellische Texte: die Texte des Oskischen, Umbrischen und Südpikenischen, Heidelberg 2002.
^abAdriano La Regina, Il guerriero di Capestrano e le iscrizioni paleo sabelliche, in Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini, ed. L. Franchi dell'Orto, Roma 2010
^A. Morandi, Le iscrizioni medio-adriatiche, Firenze 1974.
^abFrancisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, pp. 484-485.
^Andrea Gaucci, Valentina Belfiore, Mondolfo (Pesaro-Urbino). Stele iscritta, in Studi Etruschi - vol. LXXXII - 2019
^Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, vol. 5, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985, ISBN 9788822233318
^Questo segno compare solo due volte, nella stele integra di Penna Sant'Andrea I (TE1). Secondo Anna Marinetti si tratta di un suono aspirato o, in alternativa, un suono sibilante e lo traslittera come <ś>. Adriano La Regina (Il guerriero di Capestrano e le iscrizioni paleo sabelliche, in Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini, a cura di L. Franchi, edizioni dell'Orto, Roma, 2010), considerando le posizioni in cui compare il grafema, ha proposto un valore aspirato e lo ha traslitterato come <h>.
^Fanno eccezione; l'iscrizione sul Guerriero di Capistrano, l'iscrizione sulla pisside di Campovalano, in cui si usa la scriptio continua, e la stele di Falerone, in cui come separatori tra parole sono usati i tratti verticali.
^abLa prima traduzione delle iscrizioni piceni è presente nel testo di Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, vol. 5, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985, ISBN 9788822233318.
^ Alberto Calvelli, I Piceni, su Lingua e Scrittura, antiqui.it, Antiqui.
^Nell'elenco seguente, con il termine "suono" si intende "fonema".
^abcA. Marinetti, Le iscrizioni sudpicene, in Piceni popolo d'Europa, Roma, De Luca, 1999, ISBN 88-8016-332-9
^abcdAdolfo Zavaroni, Le iscrizioni sudpicene contenenti /Ł-/ iniziale, in La Parola del Passato, Casa editrice Leo S. Olschki, 2003) pp. 420-433
^* Pierpaolo Di Carlo, L'enigma nord-piceno - saggio sulle stele di Novilara e sul loro contesto culturale, in Quaderni del dipartimento di linguistica, studi 7, Università degli Studi di Firenze, Unipress, 2006 ISBN 978-8880982340;
^(EN) Valentina Belfiore; Stefano Lugli; Alessandro Naso, Novilara Stelae a stylistic, epigraphical, and technological study in a middle Adriatic epigraphical and sculptural context, in Bonn Verlag Dr. Rudolf Habelt GmbH, 2021. ISBN 9783774943100; 3774943109
^Secondo una recente pubblicazione, il numero delle iscrizioni sarebbe più alto, dopo i ritrovamenti di Norcia, Todi, Sulmona e Amiternum. Si veda: Lucia Arbace, Valentina Belfiore (a cura di), Il Museo archeologico nazionale d'Abruzzo Villa Frigerj a Chieti, serie Quaderni del Polo museale dell'Abruzzo, vol. 2 (p. 34 e fig. 29). ISBN 9788897131199
^Come nell'iscrizione della statua di Capestrano e nella pisside di Campovalano.
^Il numero delle parole leggibili, perché intere o perché agevolmente ricostruibili, è tratto da: Raoul Zamponi, South Picene, Routledge, 2021 (tavola 1.1 - South Picene inscriptions). Le date mancanti nei testi già citati, sono tratte da: Anna Dionisio, Alfabeti e lingue dell'Italia medioadriatica, Acaemia.edu
^Una delle prime iscrizioni rinvenute; fu trovata nel 1847 demolendo un muro di pietra. Il proprietario la pose a sostegno dell'argine di un torrente ed andò perduta alla fine dell'800. Fortunatamente il testo si è conservato grazie ad un calco eseguito con la carta.
^Una copia moderna è stata posta nel paese di ritrovamento. Rinvenuta in località Montecalvo nel 1890, Si veda La stele di Castignano.
^La stele fu ritrovata a Colle Ete, nei dintorni di Belmonte, nei terreni di proprietà del colono Lorenzo Vallesi, ed già in suo possesso nel 1886. Nel 1901 il monumento fu acquistato dal Ministero dell’Istruzione Pubblica – Direzione Antichità e Belle Arti. Pesa circa tre quintali e misura 2.12 x 0.75. Nel museo civico di Belmonte Piceno è esposto il calco storico della stele. Si tratta di quello realizzato per il Museo Archeologico Nazionale delle Marche e là esposto sino ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che colpirono il museo; l'allestimento era quello progettato dal primo soprintendente per le Marche e gli Abruzzi, Innocenzo Dall'Osso, instancabile archeologo e responsabile di un corposo arricchimento delle collezioni del museo archeologico di Ancona. Per i reperti importanti della civiltà picena esposti in altri musei, aveva fatto realizzare dei calchi. Si veda:
Innocenzo Dall'Osso, Guida illustrata del Museo Nazionale di Ancona con estesi ragguagli sugli scavi dell’ultimo decennio preceduta da uno studio sintetico sull'origine dei Piceni, stabilimento tipografico cooperativo, Ancona, 1915, ristampa anastatica 2006, Urbino;
^In diverse fonti il luogo di ritrovamento è indicato con la grafia "Casteldieri"
^La statua è stata ritrovata nel 1934, e su essa è presente una delle più antiche iscrizioni picene, insieme a quella delle pisside di Campovalano. L'iscrizione del Guerriero di Capestrano non presenta segni di interpunzione.
^abI due elmi con iscrizioni rinvenuti a Bologna e a Canosa di Puglia sono utili per lo studio della lingua, ma non per determinare l'area geografica in cui questa lingua si era diffusa, essendo oggetti mobili di cui è assai arduo identificare l'origine.
Gabriella Giacomelli, Una nuova iscrizione picenaArchiviato il 17 febbraio 2022 in Internet Archive., in Studi etruschi. Nell'articolo della Giacomelli si cita anche un'iscrizione picena non citata da altri: Si tratta di una pietra lunga forse 90 cm. e alta 40, posta a guisa di architrave sulla porta laterale di una chiesetta rustica. La località, a circa 14 km a ovest di Ascoli Piceno e a un’altezza di forse 800 metri, è designata col vocabolo Scalelle, dovuto, sembra, al caratteristico terrazzamento naturale dei pendii che la circondano. È una zona brulla e assolata, completamente deserta, dominata dalla grandiosa visione del Monte Vettore
^Alcuni pensano che si tratti di un'iscrizione in alfabeto piceno, ma in lingua gallica (dei Senoni che si stanziarono nelle Marche nel IV sec. a.C.). Si veda:
Raoul Zamponi, South Picene, Routledge, 2021 (p. 104);
Enrico Benelli, L’iscrizione di Fiordimonte: un documento epigrafico senone?, in E. Percossi Serenelli (a cura di), Pievebovigliana fra Preistoria e Medioevo, Loreto 2002, Comune di Pievebovigliana, pp. 69-73;
^abCome è tipico della formazione geologica "a colombacci", che deve il suo nome alla presenza di sottili strati calcarei di colore bianco ("colombacci") intercalati all'arenaria.
^Il cippo di Cures è l'unica testimonianza scritta picena insieme al Guerriero di Capestrano a non presentare l'andamento bustrofedico dell'iscrizione, ma linee di testo separate da “a capo”. Museo di Fara in Sabina
^Il cippo di Sant'Omero fu rinvenuto nel 1843 da Giovanni Spinozzi, a circa un chilometro ad est della masseria Branella, nei pressi di una tomba in un colle sovrastante la valle. È stato esposto al museo civico di Teramo almeno dal 1961, ma dai primi anni ottanta del Novecento è stato dato per disperso. Si veda: Raoul Zamponi, South Picene, Routledge, 2021 (tavola 1.1 - South Picene inscriptions). Nel 2021, dopo circa quarant'anni, è stato ritrovato tra altri reperti dimenticati di proprietà comunale. Si veda: Paola di Felice: il ritrovamento dei reperti... è una sconfitta (Comunicato stampa della direttrice del museo di Teramo).
^ab* Paola Di Felice (a cura di), La Stele di Bellante, Ricerche&Redazioni, 2021. ISBN 978-88-85431-44-7
^Una delle più antiche iscrizioni picene, insieme a quella del Guerriero di Capestrano; le due parole, unite in scriptio continua, sono interpretabili come iscrizione di possesso
^abcLe stele di Penna Sant'Andrea sono state ritrovate nel 1974 durante gli scavi della necropoli italica di Monte Giove,
^abcLuciano Agostiniani, Maria Pia Marchese, Anna Marinetti, Inediti.
^* Giovanni Cicconi, Notizie storiche di Loro Piceno, A. Giuffrè, 1958;
^Le differenze nell'interpretazione principali sono:
segno interpretato da Anna Marinetti come [ś] e da Adriano La Regina come [h];
segno interpretato da Anna Marinetti come [h] e da Adriano La Regina come [ô]. Si veda:
Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985;
Adriano La Regina, Il guerriero di Capestrano e le iscrizioni paleo sabelliche, in Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini, ed. L. Franchi dell'Orto, Roma 2010
Bibliografia
Giacomo Devoto, Gli antichi Italici, 2ª ed., Firenze, Vallecchi, 1951.
Mario Lopes Pegna, Popoli e lingue dell'Italia antica, Libreria editrice L. Del Re, 1967
Alessandro Morandi, Iscrizioni Medioadriatiche, in Popoli e civiltà dell'Italia antica edito dall'Ente per la diffusione e l'educazione storica, 1973
Luisa Franchi Dell'Orto, Valerio Cianfarani, Adriano La Regina, Culture adriatiche antiche di Abruzzo e di Molise, 2 vol, De Luca, Roma 1978
Anna Marinetti, Le iscrizioni sudpicene. I: Testi, collana Lingue e iscrizioni dell'Italia antica, vol. 5, Casa Editrice Leo S. Olschki, 1985, ISBN 9788822233318
Traduzione italiana: Francisco Villar, Gli Indoeuropei e le origini dell'Europa, Bologna, Il Mulino, 1997, ISBN88-15-05708-0.
Alberto Calvelli, I Piceni, su Lingua e Scrittura, antiqui.it, Antiqui.;
Pompilio Bonvicini, Iscrizioni picene, Andrea Livi Editore, 2001;
(DE) Helmut Rix, Sabellische Texte: die Texte des Oskischen, Umbrischen und Südpikenischen, Heidelberg 2002, ISBN 978-3825308537;
(EN) Rex E. Wallace, The Sabellic languages of ancient Italy, in Languages of the World: Materials 371, Lincom, Munich, 2007;
(FR) Vincent Martzloff, Questions d’exégèse picénienne, in: Autour de Michel Lejeune. Actes des journées d'études organisées à l'Université Lumière, 2009. pp. 359–378. (Collection de la Maison de l'Orient méditerranéen ancien. Série philologique, 43);
Laura Montagnaro, Sudpiceno, su mnamon.sns.it, Scuola Normale Superiore - Laboratorio di Storia, Archeologia, Epigrafia, Tradizione dell'antico, 2008-2017.