Gianfranco RossiGianfranco Rossi (Ferrara, 3 novembre 1931 – Ferrara, 12 aprile 2000) è stato uno scrittore e poeta italiano. BiografiaNacque a Ferrara da Mario Rossi e Carmen Melli, di religione ebraica. La famiglia riuscì a sfuggire al rastrellamento degli ebrei ferraresi del novembre del '43 cercando rifugio in Svizzera. Nel corso della fuga rocambolesca fu catturato dai nazisti assieme alla sorella Anna Fedora[1], di tre anni maggiore. Liberati da un commando partigiano,[2] si ricongiunsero al gruppo familiare, composto dai genitori e nonni materni, e riuscirono ad entrare come profughi in Svizzera, dove pure furono separati e destinati a località diverse. Gianfranco finì dapprima nei pressi di Lugano, successivamente di Lucerna. Come il resto della famiglia, non conservò un ricordo positivo dell'esperienza elvetica[3]. Ritornato a Ferrara con la fine della guerra, visse nella casa di Vicolo del Pero assieme agli affetti più cari, circondati dagli animali, particolarmente i gatti.[4] Personalità pacata, introversa e riservata, una volta laureato in Lettere presso l'Università di Bologna, alla professione di insegnante affiancò l'esperienza giornalistica come critico cinematografico per Gazzetta Padana e Resto del Carlino. Una passione, quella per il cinema, che dall'infanzia coltivò per tutta la vita. In più di un romanzo, infatti, "le bacheche dei cinematografi dei tempi del regime – forse ancor più delle stesse sale dove venivano proiettati i film – fungono da finestra verso il mondo al di fuori delle 'antiche mura' estensi".[5] Sin dal '52 aveva collaborato con riviste specializzate, come Il Caffé, Nostro tempo, Cinema nuovo e Cinema.[6] Esordì con la raccolta di racconti La nostra strada, nel 1953, cui seguirono alcune pubblicazioni presso la casa editrice Radar di Padova – Come coltivare i fiori (1959), Esistevano le streghe? (1969), Il vocabolario (1969) – e l'editore Rebellato (La dignità, 1965). Negli anni a seguire si limitò a pubblicazioni di racconti su riviste (Il Caffè, Segnacolo, Paragone, Sinopia, Tempo presente). Con La contentezza (ed. Il ventaglio, 1981), fu finalista del Premio Viareggio Opera Prima 1982; fu finalista anche al Premio Dessì con tre sue opere: I sogni ricorrenti di Biagio Balestrieri (1986), Gli ultimi avventurieri (1987) e L'intreccio (1989) Compongono la sua trilogia ferrarese i romanzi: Gli spettatori dimenticati (1991), Puttaneggiar coi regi (1993) e Conversazioni con il silenzio (1995). La produzione poetica fu tarda con Virtù dal cuore fragile (1997) e Mie care ombre (1999). Si spense il 12 aprile 2000 (un giorno prima di Giorgio Bassani[7]) ed è sepolto vicino alla famiglia nel Cimitero ebraico di Ferrara-via delle Vigne.[8] TemiTematiche ricorrenti nella scrittura di Rossi il rapporto con l'identità ebraica, sentita più come eredità culturale che religiosa o di appartenenza, la presenza ("sfondo grigiastro e nebbioso, dove s'incontrano ombre appena più grigie, ombre scremate e a due dimensioni ma cariche a loro volta di un'antica sofferenza, come l'eco dell'eco di un dolore quasi dimenticato")[9] della sua città, degli animali domestici, l'omosessualità,[5] l'elemento onirico che lega conscio e subconscio e richiama il mondo cinematografico, cui molti sogni sembrano ispirarsi (proprio questi ultimi tratti sembrano conferire alla scrittura di Rossi un carattere visivo e quasi voyeuristico). Di lui disse Guido Fink, scrittore e critico cinematografico:[9] «...esistono scrittori serenamente convinti che valga senz'altro la pena di leggere tutto quello che si compiacciono di regalarci, e che tutto il mondo si disponga, in ordinata attesa di essere prescelto e rimodellato, davanti ai capricci della loro immaginazione come puro e semplice materiale grezzo: Gianfranco Rossi, chiaramente, appartiene a un'altra specie. ... Anche se è uno scrittore d'altra specie, rispetto a chi presume di dominare la pagina e di poter aggredire a suo piacimento personaggi e lettori (è proprio vero il contrario: abbondano in lui gli scrupoli, le esitazioni, la tendenza ad avanzare dubbiose ipotesi e poi immediatamente a ritirarle, come timoroso di aver detto troppo), dovremo dunque concludere che per lui la vita così detta reale è un vacuo passaggio di ombre e rumori irrilevanti rispetto a quello che appartiene soltanto a lui? Forse è per questo che Gianfranco Rossi (lo conosco da anni, e lo ammiro, e in un certo senso lo invidio) si muove nella vita di tutti i giorni, per la strada, sul lavoro, come all'interno di un suo involucro inavvertibile ma inviolabile, una sua corazza di cortesia, di lieve distacco garbato? E forse è per questo che la sua pagina nasconde al di là della limpida trasparenza del dettato un suo grumo, ironico o risentito o dolente, non so bene, di una risolta non raccontabilità, di qualcosa che è soltanto suo?» RiconoscimentiA suo nome è stato istituito il Premio Gianfranco Rossi per la giovane letteratura.[10] Gli è intestata una via a Ferrara, accanto al Liceo Classico L. Ariosto.[11] Opere
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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