Allievo di Bonaventura Cavalieri[4], in qualità di referendario apostolico di entrambe le Segnature (nomina 1638 nr. 98)[5] e mecenate[6], fu in corrispondenza con Benedetto Castelli, che in una lettera[7] del 20 settembre 1638 gli descrisse il termoscopio galileiano; lo stesso padre Castelli lo invitò a diffondere il postumo Discorso sopra la calamita – a lui peraltro dedicato – entro una cerchia limitata di persone «fidate»[8]. Fondamentale fu l'ascendente di Cesarini, che spinse Castelli a volgere le proprie considerazioni intorno ai più «nobili campi del filosofare»[9]. Cesarini fu anche il destinatario di una famosa lettera, del 12 agosto 1639, inclusa nella terza edizione del trattato Della misura delle acque correnti, in cui con la «favola della pezza senza fine di damasco» Castelli rispondeva alle critiche e alle accuse di plagio dei suoi detrattori.[10]
Ebbe contatti anche con Giovanni Ciampoli, che lo omaggiò in un componimento poetico[11] e con il quale, sul finire dell'Ottocento, fu annoverato fra i prelati della sua epoca inclini "a favorire i progressi della scienza"[12].
Come poeta, si distinse per lo più nella poesia satirica[13]; fu autore anche di un'orazione latina in memoria di san Luigi Gonzaga, che declamò, quindicenne, in presenza di numerosi cardinali[14], e di un poemetto latino, recitato nel Collegio Romano dei gesuiti, per l'elezione dell'imperatore Ferdinando II d'Asburgo[15][16].
Mons. Cesarini alla morte di Urbano VIII
"Già Monsignor Cesarini si preparava per passare al Campidoglio, & abbattere la Statua di Papa Urbano VIII. Era questo Prelato di famiglia fra' Baroni Romani d'antica e cospicua nobiltà; ma d'ingegno altrettanto satirico, quanto elevato, & erudito. La smisurata pinguedine del corpo havea tolto alla naturale sua fierezza l'attitudine di valersene. Non era ben' affetto a' Barberini, ancorché la sua Casa fosse stata da loro cumulata dell'honore della porpora; essendo egli solito di dire, che tanto Urbano Ottavo havea ingrandito il fratello, quanto havea strapazzata, e depressa la persona sua chiamandola huomo di spirito torbido mordace, inquieto; e che di Prelato non havesse, che l'habito, e le lettere."
Nel suo Diario romanoGiacinto Gigli ipotizzò che Cesarini potesse essere stato l'autore di alcune pasquinate contro Urbano VIII, tra queste la celebre Papa Gabella[17][18]. Nella stessa opera, Gigli riportò che, alla morte di papa Barberini, Ferdinando Cesarini fu a capo di una sommossa popolare volta al vilipendio della memoria del pontefice[6][19]; Teodoro Ameyden fu testimone oculare dell'accaduto[20]. Tale atteggiamento fu ricondotto dai contemporanei al fenomeno di malcontento scaturito in seguito ad alcune misure fiscali adottate da papa Barberini: per far fronte alle spese della Guerra di Castro, Urbano VIII aveva imposto una pesante tassazione allo Stato Ecclesiastico e sottratto ingenti somme alla Camera Apostolica[18].
Contro l'insostenibile peso delle gabelle, Cesarini si rese interprete del malcontento del popolo romano anche con il Discorso politico, Giuridico et Demonstrativo di Monsig.re Cesarini alla Santità di N.ro S.re Innoc.o X Per parte del Popolo Romano, acciò sia scemato il gravissimo peso di non poche gabelle sostenute da detto Popolo.[21]
Gregorio Porzio, poeta della corte romana, compose in sua lode il seguente epigramma (ripreso da Leone Allacci, nella voce dedicata a Cesarini, nel repertorio biografico Apes Urbanae):
«Sanguine Cesareo, trabeisque superbas avorum Pulvere Palladio plena lycea teris. Abdita naturae reseras, Sophiaeque recessus, Et versas crebro grande Platonis opus Avia rimaris, rimatus pervia reddis, Juris & immensa docta Theatra Colis. I decus, I nostri secli, Fernande, recludet Fama tibi sedes, teque per astra feret.»
Cesarini non fu un personaggio gradito durante il pontificato di Urbano VIII: lo si può desumere anche da un aneddoto riportato in Lepidezze di spiriti bizzarri e curiosi avvenimenti di Carlo Roberto Dati. In occasione delle festività natalizie, «venendo, come è solito, i Palafrenieri del Cardinal Barberino a chieder la mancia per Natale», Cesarini «gli fece passare, e contro a lor voglia sedere e coprire. Poi domandò loro quel che essi volevano; risposero, la mancia». Il monsignore, a questo punto, «soggiunse di voler raccontar loro una storia sopra l'origine delle mance, e questa era [...]»: «per Natale per ordinario si facevano le promozioni, si davano cariche, benefizi, e pensioni. E perché i palafrenieri portavano le nuove, si dava loro la mancia; e sarebbe stato molto scortese chi ricevendo grazie e benefizi non fosse stato liberale con chi portava l'avviso; ma giacché era dismessa l'usanza de' benefici, era tempo di dismettere parimente quella della mancia. Alzatosi così gli accompagnò cortesemente senza dar loro cosa alcuna».[28]
^ Ricardo García Villoslada, Storia del Collegio Romano dal suo inizio, 1551, alla soppressione della Compagnia di Gesù, 1773, Roma, Apud Aedes Universitatis Gregorianae, 1954, p. 285.
^ Paola Scavizzi, Considerazioni sull'attività edilizia a Roma nella prima metà del Seicento, in Studi Storici, n. 1, gennaio-marzo 1968, p. 189. B.A.V., Barb. Lat. 5323.
^ Mario Bevilacqua e Maria Luisa Madonna (a cura di), Il sistema delle residenze nobiliari: Stato Pontificio e Granducato di Toscana, Roma, De Luca, 2003, p. 147.
^ Gianni Venditti (a cura di), Arciconfraternita del Ss. Crocifisso in San Marcello. Appendici archivistiche e documentarie, Città del Vaticano, Archivio Apostolico Vaticano, 2021, p. CXXXIX.
^Giorgio Petrocchi, Lezioni di critica romantica, Milano, Il Saggiatore, 1975, p. 197. Virginio Cesarini, Virginii Caesarini Carmina, Venezia, ad istanza d'Adriano Scultore, libraro in Napoli, 1669, pp. 16-19.
^Giovanni Battista Pianelli, Li falsi mori, commedia in cinque atti con prologo, nota per la creazione della figura del «bullo» Iacaccio, in seguito ripresa anche da Giovanni Camillo Peresio. cfr.Franco Brevini (a cura di), La poesia in dialetto: tomo primo, Milano, Mondadori, 1999, p. 871.