Ewe (popolo)

Ewe
Ragazze ewe vicino a Kpalime, Togo.
 
Luogo d'origineAfrica occidentale
Popolazione6 792 800 (2025)[1]
LinguaEwe
ReligioneCristianesimo, Vudù, religioni tradizionali
Gruppi correlatiFon, Aja
Distribuzione
Ghana (bandiera) Ghana4 548 000[1]
Togo (bandiera) Togo1 973 000[1]
Benin (bandiera) Benin181 000[1]
In giallo l'area di distribuzione degli ewe
bandiera ewe

Gli ewe sono un'etnia dell'Africa occidentale, diffusi nel Ghana sudorientale, nel Togo meridionale e nel Benin sudoccidentale. Parlano la lingua ewe, appartenente al ceppo delle lingue gbe, e sono suddivisi in alcuni sottogruppi, tra cui anlo, adja, peda, plah e guin.[2]

Gli Ewe condividono storia e cultura con gli altri popoli parlanti le lingue gbe, che occupano una regione situata tra le terre degli Akan a ovest e quelle degli Yoruba a est. Alcuni storici hanno cercato in passato di collegarli sia ai gruppi etnici Akan che a quelli Yoruba, ma studi più recenti suggeriscono che gli Gbe sono un popolo distinto sia dagli uni che dagli altri, nonostante le reciproche influenze culturali.

I'attuale re e guida spirituale degli Ewe è Céphas Bansah, in carica dal 1992.[3]

Storia

Anche se la storia antica degli Ewe non è documentata, la loro tradizione orale fa menzione di una migrazione da un luogo chiamato Ketu o Amedzofe (Amejofe), nella regione che ora è il confine tra Benin e Nigeria.[4][5] La stessa tradizione descrive il brutale re Agɔ Akɔli (o Agor Akorli) di Notsé (una città oggi nel Togo), che avrebbe governato nel XVII secolo e la cui arroganza culminò nella fuga e nella dispersione degli Ewe nelle loro posizioni attuali. Le prove archeologiche indicano tuttavia una presenza degli Ewe nelle loro attuali terre almeno già nel XIII secolo, per cui i loro movimenti potrebbero essere avvenuti prima di quanto tradizionalmente ritenuto.[6]

Il popolo Ewe ebbe inizialmente rapporti amichevoli con gli europei, prima dell'avvento del colonialismo e della tratta atlantica degli schiavi. Tuttavia, nel 1784, entrarono in guerra con gli interessi coloniali danesi, mentre la Danimarca tentava di stabilire forti costieri nelle regioni Ewe e Yoruba per i suoi funzionari e mercanti.[2] Stretti tra potenti regni schiavisti come Asante, Dahomey e Oyo, gli Ewe non solo furono vittime delle incursioni e del commercio degli schiavi da parte dei popoli vicini, ma recitarono anch'essi una parte attiva in tale commercio, vendendo i loro prigionieri di guerra agli europei.[2][7][8] Dopo che la schiavitù fu abolita e la tratta degli schiavi venne interrotta, gli Ewe prosperarono con la coltivazione del cotone e del riso e la produzione e l'esportazione di olio di palma e copra. La loro regione fu divisa tra le potenze coloniali, inizialmente tra le colonie tedesche e britanniche, e dopo la prima guerra mondiale, tra la colonia britannica della Costa d'Oro e il protettorato congiunto franco-britannico sul Togoland[2] Dopo la prima guerra mondiale, il Togoland britannico e il Togoland francese furono ribattezzati rispettivamente Trans-Volta Togoland e Togo. Il Trans-Volta Togoland votò successivamente in un plebiscito supervisionato dalle Nazioni Unite per unirsi al Ghana appena esso conquistò l'indipendenza nel 1957, mentre il Togoland francese fu ribattezzato "Repubblica del Togo" e ottenne l'indipendenza dalla Francia il 27 aprile 1960.

Cultura

Kente ewe

l popolo ewe è noto per la sua fiera indipendenza e per la struttura di potere decentralizzata e affidata ai maschi anziani di ogni famiglia. Nonostante i frequenti conflitti interni, si univano storicamente in tempi di guerra e in presenza di minacce esterne. In tempi contemporanei, gli Ewe hanno tentato di costruire una cultura comune e un'identità comune nei tre paesi in cui si trovano a vivere.[2]

Sebbene la società sia di tipo patrilineare, le donne sono tradizionalmente le principali commercianti, sia a livello all'ingrosso che al dettaglio. Si occupano di un'ampia varietà di articoli, molti dei quali sono prodotti dagli uomini.[2]

Un altro aspetto notevole della cultura ewe, come affermato da etnologi come Rosenthal e Venkatachalam, è il loro rifiuto di incolpare gli altri e la loro "profonda angoscia e accettazione volontaria della colpa" per il ruolo dei loro antenati nella tratta degli schiavi. Hanno fatto di tutto per commemorare gli ex schiavi in ​​mezzo a loro e fare in modo che gli antenati degli schiavi fossero divinità venerate.[9]

Religione

Feticcio ewe (Togo)

La sofisticata teologia del popolo Ewe è simile a quella dei gruppi etnici vicini, come la religione Fon. Questa religione tradizionale si chiama Vodun, parola è presa in prestito dalla lingua Fon e significa "spirito".[2] La religione ewe considera Mawu come il Dio creatore, che ha creato numerose divinità minori (trɔwo) che fungono da veicoli spirituali che influenzano il destino di una persona, concedendo favori o infliggendo danni.[8] Un altro concetto della religione ewe è il Si, che implica un "matrimonio spirituale" tra la divinità e i fedeli, per cui la divinità si riferisce al fedele che si è impegnato in questo tipo di rapporto come farebbe un coniuge durante un matrimonio.[10] Gli spiriti degli antenati sono una parte importante della religione tradizionale, e sono condivisi da un clan.[8]

Oggi circa l'89% della popolazione ewe, in particolare appartenente all'area urbana costiera, si è convertita al Cristianesimo. Tuttavia, il cristianesimo ewe presenta un elevato livello di sincretismo, e anche gli ewe convertiti continuano a praticare i riti tradizionali della loro religione ancestrale.[2][8]

Note

  1. ^ a b c d Ewe, su joshuaproject.net. URL consultato il 13 gennaio 2025.
  2. ^ a b c d e f g h John A. Shoup III, Ethnic Groups of Africa and the Middle East: An Encyclopedia: An Encyclopedia, ABC-CLIO, 2011, p. 89-90, ISBN 978-1-59884-363-7.
  3. ^ Le due vite di Céphas il meccanico tedesco re ghanese via Skype - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 29 agosto 2021.
  4. ^ Molefi Kete Asante e Ama Mazama, Encyclopedia of African Religion, SAGE, 2009, p. 250, ISBN 978-1-4129-3636-1.
  5. ^ Jakob Spieth, Ewe-Stämme, African Books Collective, 2011, p. 36, ISBN 978-9988-647-90-2.
  6. ^ Anthony Appiah e Henry Louis Gates, Encyclopedia of Africa, Oxford University Press, 2010, pp. 454–455, ISBN 978-0-19-533770-9.
  7. ^ Meera Venkatachalam, Slavery, Memory and Religion in Southeastern Ghana, c. 1850–Present, Cambridge University Press, 2015, pp. 2–8, 16–17, ISBN 978-1-316-36894-7.
  8. ^ a b c d James Minahan, Encyclopedia of the Stateless Nations: Ethnic and National Groups Around the World A-Z, ABC-CLIO, 2002, pp. 589–590, ISBN 978-0-313-07696-1.
  9. ^ Meera Venkatachalam, Slavery, Memory and Religion in Southeastern Ghana, c. 1850–Present, Cambridge University Press, 2015, pp. 7–8, ISBN 978-1-316-36894-7.
  10. ^ Meera Venkatachalam, Slavery, Memory and Religion in Southeastern Ghana, c. 1850–Present, Cambridge University Press, 2015, p. 3, ISBN 978-1-316-36894-7.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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