Emiliano degli Orfini
Emiliano degli Orfini, noto anche come Emiliano Orfini (Foligno, ca. 1420[1] – fra l'agosto 1496 e il 24 ottobre 1498[2]), è stato un orafo, medaglista e tipografo italiano. BiografiaNato nella prima metà del XV secolo da una famiglia patrizia di Foligno, fu orefice e zecchiere pontificio, seguendo la professione del padre svolta sotto Pio II.[2] Presso la propria abitazione, a Foligno, fondò una tipografia, attiva dal 1470 al 1472, che all'epoca era la sesta in Italia.[3] L'edificio Orfini è oggi sede del Museo della Stampa.[2] Nella sua attività ebbe probabilmente per socio il tipografo Johannes Numeister e anche i propri fratelli Mariotto e Antonio.[3] L'effettiva associazione con Numeister non è però del tutto certa per le fonti, non apparendo il suo nome in uno dei documenti sopravvissuti. Forse, giunto a Foligno attorno al 1463 come copista, Numeister fu almeno inizialmente un dipendente degli Orfini e non subito un socio.[3] Definito "prototipografo" dalla Enciclopedia Treccani, il nome di Orfini è noto prevalentemente per il ruolo come pioniere nella stampa a caratteri mobili. Dalla sua tipografia risultano stampati il De bello italico adversus Gothos di Leonardo Aretino, nel dicembre 1470, le Epistulae ad familiares di Cicerone, attorno al 1471, e soprattutto la editio princeps della Divina Commedia di Dante, l'11 aprile 1472.[3] Sebbene nell'edizione della commedia manchi il cognome di Orfini, la Treccani lo indica come il "mecenate di quella edizione", "stampata certamente nella sua tipografia".[3] In quest'edizione, composta da 252 carte e stampata in 800 copie, di cui sono sopravvissuti solo 25 esemplari completi, le capacità di orefice di Orfini furono provvidenziali, poiché fu con ogni probabilità lui a disegnarne e incidere i caratteri.[2] La carta, invece, fu fornita dai monaci benedettini e prodotta per mezzo delle cartiere di Pele e Belfione gestite da loro stessi dal XIII secolo fino al 1484.[2] Al termine del 1474, e dopo aver lavorato come zecchiere papale nel Ducato di Spoleto forse già dal 1464,[2] Sisto IV lo volle presso la zecca pontificia di Roma.[3] Fu autore di due medaglie:[1]
Sono note anche monete battute tramite i suoi conii. Divenuto vedovo, sposò Bartolomea Crisanti in seconde nozze.[2] L'ultimo documento noto che lo cita è una procura verso il figlio Pierfilipo, il 4 settembre 1492.[3] Note
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