Elafonīsi
Elafonīsi (in greco: Ελαφονήσι) è un'isoletta situata vicino alla costa sud-occidentale dell'isola di Creta, di cui amministrativamente fa parte, ricadendo nell'unità periferica della Canea. NaturaL'isola può essere raggiunta a piedi attraverso una lingua di sabbia circondata da acque basse, che non superano il metro di profondità[1][2]. L'intero territorio dell'isola costituisce un'area protetta della rete Natura 2000, in quanto habitat di specie animali e vegetali rare[2]. Dal punto di vista faunistico, è rifugio per alcune specie di uccelli marini, nonché ultima tappa europea di diversi uccelli migratori, è un sito riproduttivo della tartaruga marina Caretta caretta e viene frequentata anche dalla foca monaca[2][3]. Parimenti, vi crescono oltre 110 specie vegetali, tra cui Androcymbium rechingeri, una pianta protetta della famiglia delle Colchicaceae[1][2]. StoriaL'area di Elafonīsi era anticamente chiamata Mousagores, poiché sito di un tempio dedicato ad Apollo musagete (un epiteto riferito alle Muse); il nome di Elafonīsi (o, in latino, Scolio Lafonisi), che in greco significa "isola dei cervi" (da ἔλαφος, élaphos, "cervo"), le venne dato dai veneziani[3]. Durante la guerra d'indipendenza greca, l'isola fu teatro di una strage compiuta da soldati ottomani ai danni di civili greci che vi si erano nascosti: a parte circa 40 soldati greci, il resto delle vittime era costituito perlopiù da donne e bambini, il cui numero oscilla tra i 600 e gli 850; secondo alcune fonti, i superstiti vennero venduti in Egitto come schiavi. Il massacro è ricordato da una placca posta sul punto più alto dell'isola[2][4][5]. La notte tra il 21 e il 22 febbraio 1907, l'Imperatrix, un piroscafo passeggeri austroungarico, finì fuori rotta a causa di forti venti e correnti, e naufragò ad ovest dell'isola; almeno 38 persone morirono mentre cercavano di raggiungere la riva con una scialuppa di salvataggio, a sua volta ribaltatasi[6][7], e vennero sepolte sull'isola. I restanti passeggeri, rimasti a bordo, vennero tratti in salvo la mattina del 23 febbraio e presi in cura dai monaci di Chrisoskalitissa, prima di essere trasportati da altre navi a La Canea e poi a Trieste, mentre l'Imperatrix si piegò di lato e affondò poco tempo dopo[7]; gran parte del relitto venne recuperata, e ciò che resta si trova ancora sul luogo, a circa dieci metri di profondità[6][7]. Poiché anche una nave italiana si era incagliata a Elafonīsi circa un anno prima, venne costruito un faro (distrutto nel 1945 e poi ricostruito), che comunque non impedì ulteriori incidenti simili[6][7]. Note
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