Diplomatica notarilePer diplomatica notarile si intende una specializzazione della diplomatica generale che si occupa dello studio dei documenti privati redatti e convalidati dal notaio su volontà di due privati che fungono da autori del negozio giuridico. Storia della diplomatica notarileOriginiLa diplomatica notarile, rispetto alla diplomatica pubblica imperiale e pontificia, nacque relativamente tardi, sul finire dell'800. Infatti i diplomatisti, nella loro analisi della realtà storica tramite i documenti pubblici emessi dalle cancellerie dei due poteri universali, si resero conto dell'importanza dei documenti emessi dalle cancellerie minori (comuni, piccoli principati o vescovadi) e, di conseguenza, dei notai che, oltre a redigere i documenti per conto dei privati, potevano essere interpellati anche quali persone dotate di publica fides presso le cancellerie locali. In sostanza, per capire la natura delle cancellerie minori, oltre alle cancellerie maggiori, i diplomatisti avevano bisogno di studiare anche la documentazione privata prodotta dai notai. I principali studiosi di diplomatica notarileL'attenzione verso i documenti privati interessò soprattutto i diplomatisti italiani[1]. Luigi Schiaparelli (1871-1934), allievo di Ludwig Traube e di Cesare Paoli, tra il 1932 e il 1934, si impegnò a studiare l'istituto notarile durante la dominazione longobarda. Dopo il magistero di Schiaparelli, l'attenzione verso il notariato fu raccolta da Giorgio Costamagna (1916-2000) il quale, avendo lavorato per decenni presso l'Archivio di Stato di Genova, poté studiare la vivace evoluzione del notariato locale e la sua volontà di emanciparsi dalla sfera politica. In particolare, Costamagna delineò i mutamenti e il passaggio dal regime di charta a quello di instrumentum, indicando le fasi della stesura del negozio giuridico dalla fase delle notulae a quella delle imbreviature all'interno del notariato genovese. Altri studiosi importanti per lo studio del notariato in altre regioni italiane sono:
Nonostante l'attenzione verso l'istituto del notariato e la relativa produzione di documenti sia una peculiarità italiana, non bisogna dimenticare che anche studiosi di altre nazionalità si dedicarono alla diplomatica privata, quali il francese Alain de Bouärd con il secondo volume del suo Manuel de diplomatique française et pontificale, intitolato Acte privé e uscito nel 1948. Il problema di una "diplomatica notarile"Al contrario della diplomatica imperiale e regia e di quella pontificia, dove i documenti erano prodotti da delle cancellerie secondo degli standard intrinseci ed estrinseci ben definiti, nel mondo del documento privato e, per estensione, del notaio, non esiste tale compattezza e organicità. Il notariato, in Italia, si originò, si diffuse e si impose con estrema varietà sia a livello diacronico che a livello diatopico: se a Genova la corporazione notarile riuscì ad imporsi e a darsi degli statuti già nel 1197, a Milano il primo statuto dei notai risale al 1397, quindi ben due secoli dopo rispetto a quello genovese. Gli statuti imponevano un certo modus operandi per il notaio, dando maggiore organicità alla produzione notarile di quella determinata città: di conseguenza, il ricco materiale conservato nell'Archivio di Stato genovese e la stabilizzazione dell'ufficio notarile in quella città ha permesso una serie di studi organici e dettagliati su quest'istituto nel capoluogo ligure. Il notaio dal mondo classico al Basso MedioevoStoriaLa civiltà romana: notarii e tabellionesIl notaio romano (notarius o scrinario) era, nel mondo romano, uno stenografo che esercitava la sua professione presso privati oppure in ambito pubblico. In quest'ultimo caso, prendeva nota dei discorsi ufficiali nel Senato e delle sentenze in tribunale ove il notarius stendeva sotto dettatura le arringhe degli avvocati[2]. Verso la tarda età imperiale, i notarii si riuniscono in scholae, con a capo un primicerius e, con la nascita della Chiesa imperiale, anche le istituzioni ecclesiastiche cominciarono a dotarsi di questi scrivani per la redazione della documentazione ufficiale. Non a caso, le prime notizie di una cancelleria pontificia nell'Alto Medioevo riportavano l'esistenza di una schola ricalcata sul modello dei tribunali romani[3]. Il notarius, però, non aveva alcuna funzione giuridica e non rogava mai contratti per i privati. Le figure che si avvicinavano maggiormente al notaio erano, invece, denominati col nome di tabelliones[4], funzionari pubblici i quali, depositando presso un giudice del tribunale il documento da loro redatto attraverso la pratica denominata insinuatio, ne garantivano la validità giuridica[5]. Anche costoro, come i notarii, si erano organizzati in collegi[4] e il loro status fu poi regolato nel Corpus iuris civilis dell'imperatore Giustiniano. L'Italia longobarda e l'Impero Carolingio: i primordii del notariatoLa situazione mutò radicalmente a partire dalla fine del VI secolo quando i Longobardi, approfittando della disastrata situazione politico-militare in cui versava l'Italia all'indomani della Guerra greco-gotica (535-553), invasero la Penisola occupandone gran parte del suo territorio. Nel corso di questi secoli, si assiste pertanto ad una differenziazione del sistema giuridico: se nei territori rimasti sotto il controllo dei bizantini i tabelliones continuarono a sussistere e ad esercitare, al contempo, sempre più una maggiore autonomia giuridica[6], in quelli longobardi si assistette a dei profondi mutamenti grazie anche al diverso ordinamento giuridico basato sull'Editto di Rotari. Nel Regno Longobardo, infatti, i collegi dei tabelliones scomparvero e si assistette alla lunga genesi che avrebbe poi portato alla nascita dell'istituto del notariato, come riporta il diplomatista Alessandro Pratesi: «Nei territori longobardi, invece, accanto a scrivani di occasione, si incontrano i professionisti, perlopiù appartenenti alla popolazione romana e spesso allo stato ecclesiastico che assumono il titolo di notarii, come già gli scribi privati dell'età romana.» La figura del notaio cominciò ad assumere però una prima fisionomia di persona dotata di publica fides sotto l'Impero Carolingio. Tra il IX e il XI secolo, infatti, i notai vengono nominati dall'imperatore o dai nobili locali o ancora dai vescovi locali (i notai palatini) assumendo sempre più una fisionomia pubblica[7], ma all'altezza di questo periodo i notai devono ancora rivolgersi ai tribunali locali, amministrati da giudici anch'essi nominati dai conti palatini, affinché i documenti da loro rogati abbiano una validità giuridica tramite la procedura dell'ostensio chartae[8], «cioè la produzione della charta per ottenere il placito [ossia la sentenza]»[9] da parte del giudice attraverso un processo giuridico (al contrario della pratica dell'insinuatio romana che invece non prevedeva un processo in tribunale). Per ovviare a tale problema, alcuni notai cominciarono ad essere investiti dai conti palatini anche come giudici, «rende[ndo] più prestigiosa la carriera del notaio»[10]. Nelle antiche aree italiane soggette all'Impero Bizantino, i tabelliones cominciarono lentamente a scomparire, sia per il confluire di questi territori nell'orbita franca, sia per la volontà pontificia, a partire dalla fine dell'XI secolo, di nominare al pari dell'imperatore dei notai nei territori appartenenti allo Stato della Chiesa, sancendo così la fine del tabelliones ravennati (detti anche forenses) sul finire del XII e inizio del XIII secolo: «Poiché però a partire dalla fine del secolo XI i papi rivendicarono a sé in generale un'autorità almeno pari a quella degli imperatori, procedettero, anche al di fuori del loro ambito territoriale, alla nomina di notai designantisi notarii apostolicae sedis o sacri Lateranensis palatii [...] Come gli scriniarii papali, anche i tabellioni della Romagna sulla fine del XII e l'inizio del XIII secolo si assimilarono a poco a poco completamente ai notai del resto d'Italia.» Riassumendo infine con le parole di Giorgio Costamagna, si può dire che: «Il documento privato, che nel mondo romano classico (anteriormente al III secolo) era stato un semplice documento di prova (e cioè di prova dell’avvenuto incontro fra due volontà), nel tardo periodo imperiale e nel periodo post-giustinianeo (secoli VI e VII) diventava documento dispositivo (cioè indispensabile per la nascita del negozio giuridico), ed infine, dopo l’avvenuto incontro fra il diritto romano e il diritto germanico, tende a diventare nuovamente documento di prova (secoli IX e X)» Il Basso Medioevo: dalla charta all'instrumentumIl notaio acquisisce definitivamente un suo status dotato di publica fides tra la fine dell'XI e l'inizio del XIII secolo per una serie di motivi che si incentrano sulla preparazione dei notai attraverso un accurato studio delle formule giuridiche in contemporanea alla rinascita del diritto romano e alla diffusione, pertanto, delle summae notarili patrocinate dall'Università di Bologna[11], elemento che faciliterà una convergenza delle diverse pratiche di rogare i contratti tra privati nell'Italia centro-settentrionale[12]. La progressiva fiducia da parte dei contraenti del negozio giuridico nei confronti dei notai e la loro organizzazione in corporazioni per la difesa dell'autonomia così raggiunta fecero sì che i notai, a partire dal XII/XIII secolo, assunsero uno status legale e giuridico definitivo, svincolato dalla pratica dell'ostensio chartae[13]. Ed è in questo periodo, dunque, che il notaio non ha più bisogno della sottoscrizione degli autori del negozio giuridico quale elemento corroborante dal punto di vista giuridico (la roboratio testium), in quanto è ormai riconosciuto all'unanimità quale persona dota esclusivamente di publica fides[14]: è il passaggio dal regime di charta (o di traditio ad proprium) a quello di instrumentum (o di traditio ad scribendum): «L' instrumentum rivoluziona infatti la charta ed il suo sistema preparatorio. È il Notaio che redige l'atto in publicam formam'; è solo il Notaio che lo sottoscrive, senza più sottoscrizioni di autore o roboratio testium, perché è solo lui che dà atto, ad avvenimento accaduto, di ciò che è avvenuto, che scrive l'originale in mundum, che lo consegna a chi l'ha richiesto, come titolo unico che fa piena prova.» Infine, se nell'Italia centro-settentrionale diventa tale nel corso del XII/XIII secolo, in quella meridionale bisognerà aspettare la seconda metà del XIII a causa dell'imposizione, da parte di Federico II con le sue Constituzioni di Melfi del 1231, la presenza del giudice anche nella rogazione di documenti tra privati[15]. La formazione del notaioPremesseIl presupposto dell'ottenimento, da parte del notaio presso gli autori del negozio giuridico, di quella publica fides conquistata nei secoli XI-XIII, consisteva in un lungo iter che portasse il notaio ad avere: una solida formazione culturale; il poter dimostrare di avere determinati requisiti e, soprattutto, alla fine di questo lungo iter, poter dimostrare di aver superato una serie di passaggi burocratici volti alla sua identificazione in questa professione, ovvero:
Affinché una persona aspirasse a diventare notaio, inoltre, era necessario che quest'ultima avesse determinati prerequisiti quali:
La formazione culturaleAccertate queste premesse, l'aspirante notaio doveva, ovviamente, essere alfabetizzato: ciò avveniva nelle scholae, pubbliche o cattedrali, di insegnamento primario; o a livello di apprendistato famigliare. Successivamente, per avere una preparazione più mirata, l'aspirante notaio si recava presso un altro notaio per seguire un periodo di apprendistato, che si basa essenzialmente su una formazione pratica incentrata sullo studiarum formulario (ovvero gli appunti presi dallo studente nell'osservare il maestro all'opera) e sullo studio dei documenti e protocolli dei colleghi notai su cui gli apprendisti fanno esperienza per acquisire le varie tipologie contrattuali. Tramite lo studio dei documenti notarili l'apprendista entra in contatto con il latino giuridico basato su delle precise formule giuridiche, ovvero frasi già parzialmente precostituite, da adattare alle singole fattispecie dei negozi giuridici che, grazie alla rinascenza del diritto romano ad opera dello Studium bolognese, vengono poi raccolte in veri e propri formulari ad uso dei notai. L'iter per accedere alla professioneLa creatio notariiConclusasi la formazione, l'aspirante notaio doveva ottenere da delle autorità pubbliche la publica fides, autorità che potevano essere l'imperatore, il pontefice e soggetti ad hoc deputati dai primi due, ossia: i conti palatini; alcuni vescovi[16]; ed infine i Comuni, quando questi ultimi furono riconosciuti come enti autonomi soggetti all'autorità imperiale in seguito alla Pace di Costanza del 1183. In sostanza il notaio riceveva (quasi sempre dietro un compenso in denaro) un'investitura imperiale o papale, senza però che questi enti valutassero l'effettiva preparazione dell'aspirante notaio. L'examinatio, l'approbatio e la laudatioPer praticare, dunque, era necessario che qualcuno verificasse l'effettiva acquisizione di competenze grammaticali e giuridiche. Questo compito veniva assunto dalle istituzioni che assumevano direttamente i notai, ovvero i Comuni e le diocesi; oppure i collegi delle corporazioni notarili che si assumevano la responsabilità di verificare le capacità del candidato[17]. La modalità d'esame del candidato differiva a seconda di quale categoria quest'ultimo aspirava di appartenere:
Se il candidato superava l'esame (approbatio), la commissione giudicatrice ne decretava la laudatio, ovvero la conferma ad esercitare la professione notarile nella sola città o regione in cui il candidato aveva superato l'esame, permettendogli di immatricolarsi nel registro dei notai locali. Infatti, se il titolo di notaio acquisito dall'autorità imperiale o papale valeva per tutti i territori della cristianità, la possibilità di esercitare questo mestiere poteva avvenire soltanto all'interno dell'area in cui aveva sostenuto l'esame, in quanto ogni città o regione aveva degli statuti diversi. Il documento notarileIl documento in regime di chartaDefinizioneÈ il documento redatto in regime di charta (o secondo la traditio ad proprium) tipico degli atti notarili fino al XII/XIII secolo quando era necessaria la firma dei testimoni (roboratio testium) per dare piena validità giuridica all'atto notarile appena stipulato. La redazione del documento in regime di charta avveniva in due momenti. La genesi
Il documento in regime di instrumentumDefinizioneIl Documento redatto in regime di instrumentum (o secondo la traditio ad scribendum) è tipico degli atti notarili dal XIII secolo a oggi: il notaio, da quest'altezza cronologica, acquisisce uno status di publica fides piena e, oltre a non aver bisogno della sottoscrizione degli autori, i testimoni, pur rimanendo fondamentali per la validità giuridica, si pongono in un'ottica giuridica diversa in relazione al nuovo ruolo assunto dal notaio (si passa dalla roboratio, termine latino che contiene in sé la forza probatoria dei testimoni alla notitia testium, ossia alla notificazione della presenza dei testimoni che vengono accertati come tali soltanto in virtù della publica fides ottenuta dal notaio). Gli studi di Costamagna: la triplice redazioneSecondo gli studi di Giorgio Costamagna riguardo allo sviluppo del notariato in terra ligure, raccolti nel saggio La triplice redazione dell'instrumentum genovese, le fasi di redazione del documento notarile non consistono solo in due fasi (minuta/imbreviatura e stesura in mundum come nella traditio ad proprium), ma addirittura in tre fasi, come viene riassunto da Aristotele Morello, Emanuele Ferrari e Antonio Sorgato: «Nel secolo XIII, nel testo ormai comune dell'instrumentum, pare che non ci si limiti ad una duplice ma addirittura ad una triplice redazione. una prima fase consiste nella stesura della notula, talora fatta frettolosamente sul posto o nella stessa statio o dove il Notaio è stato rogato; una seconda fase è quella nella quale il Notaio stende l' imbreviatura ossia trasforma la notula nell'imbreviatura che è già un atto quasi completo e che riporta nel manuale [ossia il protocollo, n.d.r]. Essa costituisce la fase centrale di tutta l'operazione. La terza fase consiste nel momento in cui la charta viene estratta dal manuale e scritta in bella copia o consegnata al richiedente, con le sottoscrizioni ed il signum notarile. Il vero e proprio instrumentum originale. La triplice fase è così completata.» Questa triplice redazione, propria anche dell'area bolognese e toscana, raggiungerà l'area milanese nel corso del XIII secolo per assestarsi definitivamente alla fine del secolo. Si può vedere, quindi, l'estrema varietà con cui il passaggio dalla traditio ad proprium alla traditio ad scribendum avviene all'interno dei collegi notarili delle varie città, se non delle varie regioni. Genesi
Sinossi dei caratteri estrinseci ed intrinseci tra le due tipologie documentarieSchema riassuntivoLe due tipologie documentarie, a grandi linee, presentano caratteri estrinseci e intrinseci uguali e differenti in base ad una serie di varianti diacroniche e diatopiche. Il documento, dal punto di vista intrinseco, si divide sempre in:
Dalla completio notari alla subscriptio notariiLa completio notarii, formula attestata già nel codice legislativo giustinianeo, fu utilizzata fino all'imporsi della subscriptio notarii e quindi con il passaggio dalla charta all'instrumentum. Nella formula della completio, caratterizzata dai verbi scribere, tradere, complere e dare, il notaio, dopo aver dichiarato di aver scritto (scripsi), afferma che quanto negoziato nella charta è passata (post traditam) dalle mani dell’autore al destinatario (passaggio simbolico). Successivamente, il notaio usa l'espressione complevi, ovvero il perfetto del verbo complere. Il verbo è usato nel senso che il notaio dichiara di aver completato la stesura dell'atto fino alla fine del tenor e di averla poi fatta completare, nelle parti relative alle sottoscrizioni degli autori e testimoni, a questi ultimi e di aver scritto lui per ultimo la formula della completio. Alla fine di questo procedimento, il notaio può dichiarare di aver dato ai due contraenti il documento (dedi). Nella formula della subscriptio, invece, il notaio utilizza tre verbi: interfui (perfetto del verbo intersum), tradidi e scripsi. In primo luogo, il verbo interfui (cioè "fui presente") indica l'attestazione della presenza fisica e giuridica del notaio all'atto, cosa che ne attesta la piena autorità raggiunta. Il verbo tradere, al contrario della completio, non indica la consegna del documento (che viene esplicitata al contrario dalla formula unde due chartule...fieri rogaverunt), quanto invece l'intero processo di redazione del documento medesimo. Infine, si indica la stesura col verbo scripsi. NoteEsplicativeBibliografiche
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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