Digiuno di san Carlo Borromeo
Il Digiuno di san Carlo Borromeo è un dipinto ad olio su tela realizzato da Daniele Crespi e situato nella chiesa di Santa Maria della Passione di Milano. Storia e descrizioneIl quadro fu realizzato tra il 1628 e il 1629 in un clima da un lato pervaso dai nuovi dettami della Controriforma cattolica, dall'altro caratterizzato un diffuso programma iconografico nei confronti del cardinale san Carlo Borromeo promosso dal cugino Federico Borromeo. Il santo è rappresentato di profilo in veste cardinalizia mentre si nutre a pane ed acqua mentre legge un libro su un tavolo piuttosto scarno[1]. Di fronte ad esso vi sono il berretto da cardinale e un crocifisso, mentre sul retro della scena sono presenti due personaggi vestiti alla spagnola che osservano la scena, testimoni del suo digiuno. L'ambientazione, ad eccezione del santo, è molto cupa, a testimonianza del momento di raccoglimento e misticità del santo. Il quadro, tra i pochi esempi di rappresentazione del santo distanti dall'iconografia quasi epica con cui veniva solitamente rappresentato, è considerato uno dei migliori lavori del pittore lombardo[2]. La scritta latina intagliata sul bordo della tavola è stata decifrata nel modo seguente[3]: «Sic lachrima et panes mihi fuerunt die ac nocte / sic poculum cum fletu miscebam / et in divini verbi lectione ac meditatione / ut adipe et pinguedine anima repletur.» Letture e meditazioni del Verbo di Dio erano per il cardinale un nutrimento spirituale dell'anima, che sostituiva quello del corpo con il digiuno e la penitenza. Carlo Borromeo era condividere con i poveri il pasto non consumato, in virtù ed in ossequio del precetto dell' agape cristiana. Mons. Francisco Penia, decano della Sacra Rota romana, scrisse una delle prime biografie di Carlo Borromeo, basata sugli atti del processo di canonizzazione, che nel 1610 si concluse con la proclamazione di santità da parte di papa Paolo V. «Appresso a questo rigoroso digiuno, castigava il suo corpo con frequenti discipline, col[l'] aspro cilicio, & con dormire nella paglia di un povero, che si fece fabbricare a posta per sua stanza sotto i teti e l'ampio Palazzo Archiepiscopale; o sopra le tavole nude, & ben spesso senso sentato [stando seduto] in una sedia senza spogliarsi; avendo la coperta del letto di grosso [grezzo] canavaccio riempito di paglia, & i lenzuoli similmente dell'istessa ruvida materia, dormendo quattro hore la notte, ò cinque al più, e spesse volte minor tempo assai. Sì come non usava pelliccia, nè veste di seta, ma di panno, avendone una sola molto semplice, e povera, in privato; essendo solito dire che le vesti vecchie & logore erano le sue, & le purpuree e paonazze che portava in pubblico, erano della dignità Cardinalizia.» Allo stesso anno di pubblicazione risalgono una serie di dipinti rappresentativi dei miracoli attribuiti all'Arcivescovo di Milano[7], conformi a un nuovo canone iconografico probabilmente da lui stesso programmato e proposto al tempo della Peste di San Carlo[8]. Note
Bibliografia
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