De ente et essentia
Il De ente et essentia è un opuscolo filosofico scritto da Tommaso d'Aquino nel 1254 o 1255 con l'intento di riassumere alcuni capisaldi del suo pensiero nell'ambito della metafisica. Genesi storica e stileTommaso scrisse il De ente et essentia nel periodo in cui lavorava come baccelliere sentenziario presso la facoltà di teologia dell'università di Parigi, dove in seguito ottenne la cattedra di teologia. Le scelte stilistiche di Tommaso nell'opuscolo sono in linea con il carattere puramente razionale della sua argomentazione, che si affida appunto alla coerenza e alla consequenzialità dei passaggi. Edizioni di riferimentoIl testo dell'opera è trasmesso da 165 manoscritti che riproducono il testo integrale, redatti tra i secoli XIII e XV e da 15 manoscritti incompleti.
Attenendosi all'Editio Leonina, il trattato è diviso in sei capitoli, più un breve prologo, nel quale Tommaso spiega l'intento dell'opuscolo. TraduzioniDi seguito sono elencate alcune tra le più importanti traduzioni in lingua italiana:
Il testo inoltre è stato tradotto in sei lingue oltre l'italiano:[3]
Sintesi dell'operaPrologoNel brevissimo prologo, Tommaso spiega l'intento dell'opera, ovvero quello di spiegare il significato filosofico dei termini "ente" ed "essenza". La comprensione esatta di questi significati viene ritenuta indispensabile per proseguire nella metafisica, poiché una loro errata comprensione potrebbe portare a molti errori successivi. Tommaso poi esplicita il principio su cui si fonderà l'intero testo, ossia il partire dalle cose più "facili" da comprendere, cioè le cose "composte", per giungere alla comprensione delle cose più "difficili", cioè le "semplici". "L'ente" è un concetto composto e "l'essenza" un concetto semplice; la trattazione partirà quindi dall'ente per arrivare a spiegare l'essenza.[1][4] Capitolo primoNel primo capitolo vengono chiariti i significati delle parole "ente", "essenza" e dei termini che da esse derivano. L'ente, dice Tommaso, può essere definito in due modi:
La differenza tra le due definizioni è che in base alla prima possono essere intese come enti sia le cose "concrete", che quelle "astratte" (difatti si possono formulare proposizioni affermative il cui argomento può essere o meno tangibile). In base alla seconda vengono definite come "enti" solo le cose concrete. A questo punto Tommaso spiega che il significato della parola "essenza", per forza di cose non può che derivare dal primo significato di "ente" perché, citando Averroè: «L'ente inteso nel primo modo è ciò che determina la sostanza di una cosa» Essendo inoltre l'essenza definita come "ciò che l'essere era", ossia come una sorta di entità originaria comune a tutte le cose, ovviamente non può appartenere all'ambito della concretezza. L'essenza inoltre può anche essere chiamata natura, intesa come tutto ciò che può essere raggiunto dall'intelletto umano. La natura inoltre definisce l'essenza secondo il principio delle operazioni, ovvero in base al fatto che ogni ente agisce ed esiste secondo la sua essenza. In conclusione, l'ente in senso primario è quindi la sostanza (che è sinonimo di essenza). Tommaso afferma poi che le sostanze si dividono in semplici e composte e che dalle sostanze semplici derivano quelle composte. È necessario partire prima dall'analisi dell'essenza delle sostanze composte, che sono più facili da conoscere, per poi arrivare all'analisi dell'essenza delle sostanze semplici.[1][5][6] Capitolo secondoIl secondo capitolo comincia con la trattazione dell'essenza delle sostanze composte, dove Tommaso spiega che queste sono costituite da un sinolo di materia e forma. Viene precisato però che l'essenza non riguarda né la sola materia, né la sola forma, ma il tutto.[7]
Lo stesso vale per l'essere, che non si identifica né con l'una né con l'altra cosa, ma con il composto.
A questo punto, poiché la materia è il principio di individuazione degli enti, si potrebbe pensare che l'essenza sia particolare e non universale. Per chiarire ciò, Tommaso afferma che il principio di individuazione per enti specifici come "Socrate" è la cosiddetta "materia segnata", che è una materia considerata in base a precise dimensioni. Capitolo terzoNel terzo capitolo Tommaso spiega che si può parlare del termine "essenza" in relazione a genere, specie e differenza. In ogni caso l'essenza sarà intesa come un tutto che contiene ciò che è proprio dell'individuo. L'essenza può essere intesa in due modi:
A questo punto viene introdotto il concetto di universale, che è la nozione di specie osservata dal punto di vista logico all'interno dell'intelletto umano.
Secondo Tommaso, un concetto di universale sarebbe per esempio il concetto di "umanità". Tale concetto non va identificato con l'idea di "uomo", in quanto "all'umanità" appartengono la "comunanza" e "l'unità", che non possono appartenere né al concetto di uomo in senso astratto (poiché due uomini distinti non hanno assolutamente nulla in comune e tantomeno possono essere considerati in modo unitario), né alla concezione di uomo secondo la molteplicità degli individui (perché in questo modo non si può arrivare alla natura umana in quanto una).
Il concetto di universale quindi, non potendo appartenere né alla prima né alla seconda concezione di natura, può trovarsi solo nell'intelletto umano. Capitolo quartoFino a questo punto l'argomento dell'essenza è stato trattato dal punto di vista delle sostanze composte, quelle costituite da materia e forma.
In questo capitolo viene trattata l'essenza delle sostanze semplici, che sono immateriali, sono costituite da sola forma e accolgono forme intelligibili.
Tutto ciò che caratterizza una realtà proviene da una causa efficiente, che a sua volta è causata da qualcosa d'altro.
Da qui si forma una catena di cause che porta ad una causa prima, che è causa di tutte le altre cause. Questo principio primo, che è il corrispondente cristiano del primo motore immobile aristotelico, è Dio. Capitolo quintoNel quinto capitolo viene chiarito il modo in cui l'essenza si trova nelle diverse categorie di enti. Secondo Tommaso c'è una triplice modalità di avere l'essenza:
L'essenza di Dio è il suo stesso essere. L'essenza di Dio, inoltre, non è classificabile in nessun genere, poiché tutto ciò che appartiene a un genere deve dividersi nella molteplicità degli enti; Dio invece, essendo essere puro, a cui non si aggiunge alcuna differenza costitutiva, è indivisibile. Essendo poi un essere a cui nulla si può aggiungere, Dio sarà causa di sé stesso e per questo è definito come la causa prima; la sua individuazione avviene per la sua "pura bontà". Che Dio sia soltanto essere non significa che egli non abbia ulteriori perfezioni: infatti Dio possiede tutte le perfezioni esistenti, tantoché viene definito il "perfetto per eccellenza". Tutte le perfezioni delle sostanze composte derivano dall'essere semplice della causa prima. Nelle sostanze intellettuali create l'essenza non coincide con l'essere. Tommaso scrive che queste sostanze sono "limitate dall'alto e illimitate dal basso", nel senso che ricevono l'essere da ciò che è a loro superiore e per questo sono finite, ma allo stesso tempo sono illimitate perché per esistere non necessitano per forza della materia come le forme sensibili. Neanche in queste sostanze si trovano individui della stessa specie, ma a questo fa eccezione l'anima umana che è la forma del corpo, da cui trae il suo essere individuale. Tommaso spiega che, a differenza della causa prima, nelle sostanze immateriali create esistono genere, specie e differenza, ma l'uomo non ha capacità di conoscere le loro differenze specifiche. Le sostanze materiali sono invece in tutto e per tutto finite, il loro essere è ricevuto, sono composte da forma e materia e si moltiplicano in individui che appartengono alle stesse specie, che a loro volta appartengono agli stessi generi. Queste sostanze sono finite "sia in alto che in basso" e appartengono a tutte le manifestazioni concrete che l'uomo vede intorno a sé e di cui riconosce gli accidenti.[1][12][13] Capitolo sestoNel sesto e ultimo capitolo viene trattato il tema dell'essenza negli accidenti. Tommaso infatti afferma che l'essenza esiste negli accidenti come esiste nell'essere perfettissimo (Dio), nelle sostanze intellettive create e nelle forme sensibili.
Gli accidenti hanno una definizione incompleta poiché non possono essere definiti senza associarli al soggetto della loro definizione.
Negli accidenti sia la forma sostanziale che la materia hanno una definizione incompleta, perché la materia è incompleta senza la forma sostanziale e viceversa. Interpretazioni successiveCommentatori dell'età modernaIl primo celebre commento del De ente et essentia è quello del Cardinal Gaetano, redatto per gli studenti dell'università di metafisica di Padova. Il commento fu scritto nel 1493 e pubblicato nel 1496 con il titolo In de ente et essentia divi Thomae Aquinatis Commentaria . Commentatori dell'età contemporaneaOltre che nei secoli subito successivi alla sua pubblicazione, il dibattito sul De ente et essentia si è protratto anche nell'età contemporanea e soprattutto nel '900. Edith SteinAll'inizio del 1930 infatti Edith Stein dedicò al trattato un ampio studio intitolato Potenz und Act (Potenza e Atto) ed effettuò una reinterpretazione totale dell'opera, operando un confronto plurilaterale tra le opere di Tommaso alla luce delle riflessioni di Heidegger e della fenomenologia di Husserl. Nello studio viene messo in primo piano il problema dell'essere che viene inteso come una philosophia perennis che viene trattata nelle diverse epoche. Per i Greci la questione dell'essere sorgeva in relazione alla datità del mondo creato; per i pensatori cristiani invece era in relazione con il mondo soprannaturale e quindi con la rivelazione divina. Il pensiero moderno infine è caratterizzato dal fatto di aver considerato centrale il problema della conoscenza invece di quello dell'essere; ciò ha portato ad un distanziamento tra fede e teologia. Nell'ontologia della Stein quindi si parte dall'essere in sé; la trattazione poi prosegue analizzando la struttura dell'ente per arrivare poi alla sua articolazione nella molteplicità fenomenica.[1] Jacques MaritainUn'altra voce che si inserisce nel dibattito è quella di Jacques Maritain, che si concentra sul rapporto tra essenza ed esistenza, uno dei cardini dell'opera di Tommaso. Maritain sostiene il primato dell'esistente, in cui l'intuizione da parte dell'intelletto umano può cogliere l'essere in quanto tale. L'essere presenta dunque due aspetti:
L'essere secondo Maritain appare sì come entità unitaria, ma è anche insito nella molteplicità degli enti, per "permettere" l'intuizione dell'intelligenza umana. La seconda definizione di essere secondo Maritain costituisce il principio di identità degli enti.[1] Cornelio FabroAnche Cornelio Fabro si colloca nella discussione, con un pensiero che però è molto diverso da quello di Maritain, pur esprimendosi nello stesso ambito del francese. Secondo Fabro non si giunge a comprendere l'essere delle cose tramite un'intuizione immediata, ma attraverso una riflessione più articolata. L'essere infatti non è una formalità qualsiasi e, non essendo suscettibile di un solo significato, la sua intelligibilità necessita di "esigenze speciali", che richiedono un ragionamento complesso per essere comprese. A differenza di Maritain quindi, che sosteneva che l'essere delle cose poteva essere conosciuto tramite un'intuizione, Fabro sostiene che per giungere all'essenza delle cose è necessario un qualcosa in più, che non è immediato ma graduale.[1] Altri autoriL'Esse tantum è visto in senso trascendentlista. Dio è libero, ineffabile e infinito ed è il riferimento trascendentale di ogni ente che ha anche l'esistenza, ma anche di tutto ciò che si conosce e contempla.[16] Edizioni
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
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