Cucina afghana

Un banchetto in Afghanistan

La cucina afghana comprende le tradizioni culinarie dell'Afghanistan. Essa è stata influenzata nel corso della storia dai popoli che hanno occupato la regione,[1] oltre che dalle cucine dei paesi vicini, come quella iraniana, pakistana, indiana e mongola.[2]

Caratteristiche generali

La vicinanza dell'Afghanistan con nazioni di diversa cultura ha fatto sì che la sua cucina risulti particolarmente variegata. Sebbene i suoi piatti siano caratterizzati da diversi gusti, essa in generale non risulta piccante.[3] Il fatto che in passato l'Afghanistan confinasse con l'Unione Sovietica non ha influito particolarmente sulle abitudini culinarie afghane. Le spezie indiane, la menta e lo yogurt sono invece ingredienti basilari nella preparazione dei cibi, pur se usati con moderazione. Per le strade non è raro imbattersi nelle čajchana, le sale da tè tipiche dell'Asia centrale, oppure in diversi chioschi che vendono snack vari e kebab.[2]

Gli afghani raramente mangiano fuori casa, e ciò ha plasmato in loro un gran senso dell'ospitalità. All'ospite viene riservato il posto d'onore, e in generale ci si siede a seconda dell'età o dello status sociale, rigorosamente a terra. Le portate sono particolarmente generose, e persino le famiglie più povere tendono ad invitare quanti più amici o parenti per rendere loro gli omaggi della casa.[4]

Piatti principali

Shulah
Preparazione del kabab

Gli alimenti principali della dieta afghana sono riso, prodotti caseari e pane, in particolare il naan. La portata di riso principale è il pilau, cucinato con carne e verdure. Gli afghani generalmente mangiano con le mani, e spesso si servono del pane per raccogliere il cibo dal piatto. Contrariamente al che è diffusissimo, l'alcol e la carne di maiale sono proibiti dalla religione islamica. La frutta secca è consumata in tutte le ore della giornata.[1] In Afghanistan ci si siede attorno ad un dastarkhan, un panno posato a terra dove compaiono tutte le portate, come tè, naan, riso, sottaceti, chutney e carne di pollo. Tra le bevande dissetanti generalmente troviamo acqua, limonata e latticello.[5]

Le spezie più utilizzate per insaporire i piatti sono il cardamomo, usato solitamente nel pilau, nei dolci, nel tè e nella mistura di spezie denominata chaat masala, il fieno greco, usato nel tursh-e-limo ("sottaceti e limone"), anice, cannella e chiodi di garofano.[6]

Uno dei piatti più importanti della cucina afghana è il haft miwa, una zuppa tradizionale della festa del Nawrūz fatta con sette tipi di frutta e noci che simboleggiano la primavera.[1] Altro piatto iconico è il kabab, spiedini di carne cotti sulla brace, mentre una zuppa tipica è la shoorba. Il kala-pachah è invece composto da testa di pecora e accompagnato da riso e pane, mentre lo shulah è un pudding denso fatto di carne, riso, cereali e burro. Yogurt e qurot sono ampiamente diffusi.[7]

Tra la frutta disponibile in Afghanistan troviamo albicocche, mele, uva, ciliegie e meloni, nonché frutta secca accompagnata da gur (granuli di melassa) e jelabi, delle spirali di grano e zucchero avvolte in uno sciroppo.[8]

La cultura del tè

Il tè è una componente importante dello stile di vita afghano. Esso viene servito sia in casa che nelle čajchana. Gli afghani bevono sia il tè verde che quello nero con zucchero o cardamomo, e viene accompagnato da dolci come il nuql-el-nakhud (ceci ricoperti di zucchero), il nuql-el-badam (mandorle zuccherate) o il nuql-el-pistah (semi di pistacchio zuccherati). Un tè particolarmente speciale è il qemaq-čaj, al quale si aggiunge una schiuma ottenuta dalla bollitura del latte.[5]

Note

  1. ^ a b c (EN) Timothy L. Gall e Susan B. Gall, Junior Worldmark encyclopedia of world cultures, Detroit, UXL, 1999, p. 7.
  2. ^ a b (EN) Anand Prakash, The world of kebabs, North Vancouver, Whitecap Books, 2006, p. 106.
  3. ^ (EN) Cinnamon Cooper, The everything cast-iron cookbook, Avon, AdamsMedia, 2010, p. 93.
  4. ^ Emadi 2005, p. 138.
  5. ^ a b Emadi 2005, p. 141.
  6. ^ Emadi 2005, pp. 139-140.
  7. ^ Emadi 2005, p. 144.
  8. ^ Emadi 2005, p. 143.

Bibliografia

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