Croce di Desiderio
«Una Croce Grande, incrostata di Gioie, Camei, & altre cose degnissime. [...] Questa Croce è residua del Tesoro che donarono Desiderio, Adelchis & Ansa.» La Croce di Desiderio è una croce astile in legno rivestito da lamina metallica ingemmata (158×100×7 cm), databile all'inizio del IX secolo e conservata nel museo di Santa Giulia a Brescia, nell'aula superiore della chiesa di Santa Maria in Solario. Formata da 211 pietre, cammei e vetri colorati,[1] è il più grande manufatto di oreficeria longobarda esistente e tra i più pregiati e conosciuti, collocabile tuttavia, per l'aspetto generale e la fattura di alcune gemme, nella fase di transizione con la cultura artistica carolingia. È inoltre l'oggetto altomedioevale recante il maggior numero di pietre di età classica reimpiegate nel suo apparato decorativo, circa 50. Per il suo altissimo pregio e la grande importanza storica che riveste, la Croce di Desiderio è da sempre iconica delle collezioni del museo di Santa Giulia e il simbolo della Brescia longobarda, tanto quanto la Vittoria alata lo è della Brescia romana[2]. Le gemme che ornano i due fronti della croce spaziano dal I secolo a.C. al XVII secolo circa, un arco di quasi duemila anni, in cui al gruppo di cammei classici seguono una ventina di pietre contemporanee all'assemblaggio della croce, un'ottantina di vetri colorati di varie epoche e probabilmente sostitutivi di pezzi più antichi, e un'altra serie di aggiunte moderne, tra cui i due frammenti di miniature attribuite a Giovanni Pietro Birago. All'incrocio dei bracci, invece, si trovano un Cristo Pantocratore sul lato anteriore, lavorato a sbalzo e coevo alla croce, e un Cristo crocifisso sul retro, una fusione in metallo risalente al XVI secolo. L'inserto più noto, tuttavia, è il medaglione con Tre ritratti incastonato sul fronte e risalente al III secolo, che anticamente si credeva raffigurasse Galla Placidia con i figli Valentiniano III e Giusta Grata Onoria, ma questa ipotesi è tuttavia da scartare data anche la realizzazione in epoca precedente alla vita storica di detti personaggi. StoriaTradizionalmente, l'origine della croce viene fatta risalire all'VIII secolo, in coincidenza con la fondazione del monastero di Santa Giulia da parte della regina Ansa, moglie di re Desiderio. In tal senso, quindi, la croce avrebbe fatto parte di un tesoro liturgico di una certa importanza, donato dai regnanti al neonato monastero per garantire ad esso la dotazione base di oggetti e strumenti con cui officiare le funzioni. Considerazioni stilistiche, esposte più avanti, portano tuttavia a datare l'esecuzione della croce all'inizio del IX secolo, dunque già in età carolingia, il che fa cadere la suggestiva ipotesi del dono dei due re longobardi. La differenza temporale è comunque di pochi decenni e, pertanto, si può affermare che la croce faccia comunque parte del tesoro del monastero fin dalla primissima fase della sua esistenza. Allo stesso modo, non perde significato la ragione intrinseca della magnificenza che caratterizza il manufatto, ossia enfatizzare le dinastie regnanti e sottolineare la continuità, sotto ogni aspetto, tra il potere imperiale romano e la Chiesa cristiana[3]. Nei secoli successivi, il ricchissimo apparato di gemme e cammei viene più volte rivisto, operando soprattutto sostituzioni di pezzi rovinati, giudicati non idonei oppure venduti singolarmente in caso di ristrettezza economica. Probabilmente nel XV secolo vengono aggiunti o, più verosimilmente, sostituiti i quattro inserti rettangolari attorno al Cristo Pantocratore, con l'iconografia degli Evangelisti, ricorrendo a miniature su carta: solamente due Evangelisti, però, vengono mantenuti, mentre i riquadri superiore e sinistro vengono occupati da due miniature con una Madonna e un Cristo rispettivamente, forse in mancanza di meglio. Anche nel XVI secolo si registrano almeno due interventi: il primo, il più marcato, è la sostituzione del tondo centrale sul retro della croce, il cui ignoto sbalzo originale viene sostituito con una fusione raffigurante un Cristo crocifisso su uno sfondo ornato. Altre sostituzioni, difficilmente databili, sono da distribuire lungo tutta la storia del manufatto. Questa costante manutenzione è inoltre testimonianza di un utilizzo praticamente ininterrotto del manufatto nel corso dei secoli[4]. La prima, e di fatto unica, testimonianza storica dell'esistenza della croce nel monastero bresciano, così come del profondo valore simbolico ad essa attribuito, è contenuta negli Annali di Santa Giulia, redatti dalla badessa Angelica Baitelli nel 1657 e costituenti una importantissima raccolta di trascrizioni di documenti antichi ed elenchi di beni appartenenti al monastero stesso. In coda al Catalogo delle Santissime Reliquie, che nelle Chiese del Serenissimo Monastero di Santa Giulia in Brescia riposano con cui si aprono gli Annali, in un breve elenco di croci e reliquiari custoditi nel cenobio, scrive la Baitelli[5]: «Una Croce Grande, incrostata di Gioie, Camei, & altre cose degnissime. Hà in mezzo dall'una, e dall'altra parte uno scudo, alla parte anteriore N.S. in Croce, nella posteriore la Santissima Trinità, opra Gothica. Questa Croce è residua del Tesoro che donarono Desiderio, Adelchis & Ansa. Nel Piedistallo sono in lastra effigiati, Ansa, Adelchis giovinetto, & Anselperga nostra prima Abbadessa, con colori così fini, che per anco durano vivissimi. La Croce è quasi in quadro, se non che la parte inferiore è alquanto più longa. Hà incastrate nel fusto l'infrascritte Gioie con camei maravigliosi, in Agate, in Calcidonie, in Granate, in Turchese, in Smeraldi, in Ametisti, in Corniole, che andavo descrivendo in entrambi i lati, & branchi per appunto, come sono ne' suoi Castoni rimesse; acciò se mancassero si sappia, che fin à questo tempo si sono custodite anche nelli Assedi, & ne' Sacchi, & nelle maggiori necessità, il che tutto è proceduto dalla virtù intrinseca, che contengono, dattale dal Signor DIO a sua maggior Gloria, la qual sia sempre Eterna.» Nel 1798 il monastero viene soppresso e convertito in caserma militare per le truppe napoleoniche. Entro pochi anni, le monache abbandonano definitivamente l'ex complesso religioso, il vasto archivio va disperso e in parte perduto, mentre tutti i beni custoditi al suo interno subiscono sorti differenti, dalla vendita alla ricollocazione, alla distruzione. Su interesse della municipalità, tuttavia, i più antichi e importanti manufatti vengono incamerati dalla Biblioteca Queriniana: tra di essi vi è la Croce di Desiderio, la Lipsanoteca e alcuni codici miniati. Poco prima del passaggio di proprietà, le monache fanno in tempo a mettere mano al manufatto per estrarre alcune gemme, ufficialmente perché "pagane", ma molto probabilmente per racimolare denaro nel burrascoso periodo immediatamente prima della soppressione, o in vista di essa. Nel 1812, infatti, quando la croce era già di proprietà della Queriniana, viene incaricato un orafo di ricollocare sull'oggetto ben diciassette gemme, dal cui elenco non risulta nulla con uno specifico contenuto pagano, tranne forse il cammeo con Pegaso accudito dalle ninfe, la cui interpretazione cristiana era comunque nota e assodata. Nell'elenco figurano inoltre molti "cristalli" non lavorati, che certo nulla potevano avere di pagano. Inoltre, evidentemente, queste diciassette gemme dovevano essere ancora conservate assieme alla croce e con essa erano pervenute alla biblioteca, prova che non si era ancora fatto in tempo a eliminarle o venderle[6]. Con la musealizzazione del monastero nel 1998, a seguito dei restauri e delle profonde campagne archeologiche iniziate negli anni 1950, la Croce di Desiderio trova collocazione definitiva nell'aula superiore della chiesa di Santa Maria in Solario, dove probabilmente è stata conservata per tutta la sua storia assieme al resto del tesoro del monastero. Si tratta dell'unica opera esposta in questo ambiente, a garanzia della sua massima valorizzazione. DescrizioneI bracci della croce sono di forma trapezoidale, con i lati leggermente inflessi. Il braccio inferiore, inoltre, è raddoppiato, ossia all'estremità del primo trapezio se ne innesta un secondo, portando il manufatto ad assumere lo schema della croce latina. L'incrocio dei bracci è risolto con un tondo, il quale reca un Cristo Pantocratore a sbalzo sul lato anteriore della croce, risalente al IX-X secolo, e un Cristo crocifisso sul retro, databile al XVI secolo. La struttura della croce è in legno rivestito da lamina metallica, costituita probabilmente da una lega di piombo e stagno, fissata al supporto con piccoli chiodi. Caratteristica inusuale è il trattamento liscio della lamina, privo di filigrane o incisioni e in tal senso poco appariscente, scelta operata forse per dare il massimo risalto alle gemme incastonate. Le giunture dei fogli di lamina sui fianchi sono ricoperte da un'ulteriore fascia metallica, fissata con grossi chiodi ornamentali[6]. Il sistema decorativoLe gemme sono inserite in castoni di diverse tipologie: la più antica, pertinente alla castonatura originale e comunque diffusa nell'Alto Medioevo, prevede una lamina liscia ribattuta attorno alla pietra. Un'altra, posteriore, è costituita ancora da una lamina liscia ma con un giro di piccole perle metalliche alla base, mentre una terza, usata soprattutto per le castonature moderne, ha la parte ribattuta della lamina decorata con tratti a incisione. La disposizione "a tappeto" delle pietre, apparentemente casuale, è in realtà organizzata e segue uno schema abbastanza regolare con tre file su ciascun braccio. Le pietre sono ulteriormente distribuite in base alla dimensione: quelle più grandi sono sempre collocate sulla linea centrale dei bracci e alle loro estremità, mentre le più piccole seguono le linee esterne. Inoltre, i cammei di maggior pregio e significato sono posizionati in posizione privilegiata, ai lati del tondo centrale oppure alle estremità dei bracci, o al centro degli stessi. Nonostante le numerose sostituzioni delle gemme avvenute nel corso dei secoli, l'organizzazione originale è sempre stata rispettata e nulla appare "fuori posto", contribuendo a mantenere l'aspetto complessivo della croce sostanzialmente immutato[6]. La sontuosità dell'apparato decorativo della Croce di Desiderio documenta una sapienza compositiva e un substrato culturale che solo una raffinata bottega orafa poteva detenere, in grado di valorizzare al meglio un apparato di gemme e cammei d'eccezione e assolutamente fuori dal comune. Di fatto, non esiste oggetto altomedioevale ornato da un numero così cospicuo di gemme di reimpiego. In termini di paragone, la legatura dell'Evangeliario di Teodolinda presenta in tutto otto pietre di produzione classica, tra l'altro quasi tutte rilavorate, la Borsa di Santo Stefano dalle Insegne imperiali e la Croce di Lotario di Aquisgrana circa dieci ciascuna: la Croce di Desiderio, invece, ne possiede circa cinquanta, di cui in particolare numerosi cammei. Le prevalenti tonalità entro cui si muovono i colori delle pietre e delle gemme sono il blu e il verde, caratteristica comune alle croci gemmate raffigurate nei mosaici del VI-VIII secolo[7]. Segue un elenco delle pietre di maggior pregio artistico e storico, con schema identificativo della rispettiva collocazione. Fronte
Retro
StileLe croci gemmate e il reimpiego delle gemme classicheL'iconografia della crux gemmata, ossia del simbolo della Passione di Cristo, e del Cristianesimo in generale, ricoperto di gemme per sottolinearne trionfalmente il significato, è molto antica e risale all'età costantiniana. Il significato liturgico, riferito alla regalità di Cristo, è desunto anche dall'Apocalisse, dove si dice espressamente che la sua Città risplende di pietre preziose. È inoltre evidente l'allegoria alla corona come simbolo di potere e maestosità di un regnante, estesa a Cristo re dei popoli e della Chiesa. Dal V secolo in poi si hanno testimonianze figurative di croci gemmate, tra le quali la più rappresentativa è la croce a mosaico sulla calotta absidale della basilica di Sant'Apollinare in Classe, nonché documenti d'archivio che citano croci gemmate fisicamente esistenti, il cui obiettivo era esaltare il significato religioso della Maiestas Domini e la sua traslazione sui regnanti terreni e il loro ruolo[19]. I tesori ecclesiastici si arricchiscono progressivamente di manufatti di questo tipo, facilmente impiegabili come croci d'altare, croci processionali o decorative dei luoghi sacri, con un picco decisamente notevole nella produzione tra la fine dell'VIII secolo e il X secolo. Le croci gemmate diventano rapidamente il dono per eccellenza di monarchi e personaggi di rilievo a chiese e monasteri e, parallelamente, si sviluppa e approfondisce l'oreficeria policroma, specializzata nella fabbricazione di preziosi manufatti in metallo con inserti di pietre preziose. Questa nuova pratica si diffonde rapidamente a molte altre tipologie di oggetti, sia d'uso liturgico che personale, soprattutto reliquiari e rivestimenti di evangeliari ma anche gioielli, soppiantando la precedente decorazione a smalti multicolori[20]. In concomitanza con queste nuove correnti si osserva l'introduzione del reimpiego di gemme antiche, comune alle oreficerie longobarde, franche e ottoniane. Il reimpiego di una gemma o di un cammeo di età classica, nella società altomedioevale, porta in sé un significato intrinseco di prestigio e regalità che si vuole trasmettere al manufatto dove si incastona la pietra. Questa attitudine, non a caso, viene mediata dall'arte bizantina, che per prima ha la facoltà e l'onere di ricevere l'eredità dell'Impero romano e di perpetrarla ai successori. I cammei e le pietre lavorate di età classica presentano una preziosità di materiale, e soprattutto di lavorazione, che è iconica del passato da cui provengono: essa cattura l'ammirazione degli orafi del periodo, i quali non esitano a riproporli in opere originali per richiamarne il prestigio e infonderlo nei nuovi oggetti liturgici, i quali a loro volta dovevano essere simbolo di regalità e maestosità in ambiti percepiti come prosecutori dei fasti romani. Naturalmente vi era anche attenzione ai soggetti rappresentati, i quali, essendo tutti pagani, spesso erano sottoposti più o meno volontariamente a reinterpretazione in chiave cristiana, in modo da renderli consoni ad ornare oggetti di venerazione cristiana[21]. Non è un caso, per esempio, che tra i cammei classici impiegati nella Croce di Desiderio vi sia particolare abbondanza di ritratti, più o meno generici, in quanto si tratta della tipologia più facilmente e rapidamente reinterpretabile sotto qualsiasi ottica, in questo caso cristiana[15]. Confronti con opere coeveLe grandi dimensioni della Croce di Desiderio escludono che fosse una croce reliquiario o una croce votiva, come le più antiche croci gemmate pervenute, frequenti anche in ambito longobardo e di cui la Croce di Agilulfo è un prezioso esempio: la croce bresciana doveva essere una croce processionale, utilizzata in modo ininterrotto nel corso della storia del monastero e degnamente custodita al suo interno, probabilmente assieme al resto del tesoro nella chiesa di Santa Maria in Solario oppure direttamente nella chiesa di San Salvatore, su un apposito sostegno. La forma a bracci trapezoidali con il raddoppio del braccio inferiore trova un corrispettivo nella Croce di Santa Maria in Valle, eseguita nell'VIII secolo per il Tempietto longobardo di Cividale del Friuli: le due croci hanno inoltre in comune anche le misure e l'aspetto generale[20]. Nel complesso, la Croce di Desiderio è riconducibile a un piccolo gruppo di croci processionali gemmate di grandi dimensioni eseguite tutte tra l'VIII e la fine del IX secolo, gruppo di cui fanno parte anche la Croce della Vittoria di Oviedo, la croce di Bischofshofen, la Croce delle Ardenne e altre croci francesi e tedesche[20]. La Croce di Oviedo, in particolare, può essere ritenuta opera della stessa bottega della croce bresciana[6]. Esse rappresentano la massima evoluzione delle più antiche croci gemmate votive, tutte di modeste dimensioni, e presentano numerosi dettagli in comune, non solo di tipo artistico ma anche tecnico, per esempio il ricorso ai grossi chiodi ornamentali lungo i fianchi dei bracci[6]. DatazioneL'atto più antico del monastero che riporti la donazione di strumenti liturgici è quello di Adelchi del 760, il quale interviene dopo la fondazione del 753 da parte di Desiderio e Ansa per sottolineare ulteriormente il carattere regio del cenobio. In questo documento non vi è alcuna esplicita menzione di una grande croce processionale, che avrebbe meritato di figurare tra gli altri doni. La famiglia reale longobarda, infatti, sembra più concentrata nel donare importanti reliquie piuttosto che oggetti o strumenti, reliquie di cui le monache si faranno sempre vanto. Un ulteriore documento del 771 accenna a un tesoro con oggetti d'oro e d'argento ingemmati, ma nuovamente non contiene alcun riferimento diretto a una croce processionale, manufatto tutt'altro che scontato. I documenti d'archivio, pertanto, non sono d'aiuto nella datazione dell'opera[18]. La collocazione temporale all'inizio del IX secolo, dunque già in età carolingia, non è ugualmente retta da documentazione, tuttavia sembra avvalorata da una serie di caratteristiche del manufatto. In primo luogo vi sono le dimensioni monumentali, atipiche per un'opera d'oreficeria longobarda a più in linea con la produzione carolingia, così come il rivestimento "a tappeto" di gemme multicolori. Vi è tuttavia una sostanziale continuità tra la cultura artistica longobarda e carolingia, con un contributo fondamentale della prima per la formazione della seconda. La Croce di Desiderio, quindi, si può identificare come un illustre esempio di questa fase di transizione: nel suo aspetto si configura similmente alle monumentali croci gemmate che si diffonderanno largamente, soprattutto in ambito transalpino, tra IX e XI secolo, mentre la lavorazione è modulata in modo imprescindibile sul reimpiego delle gemme classiche alla ricerca di una emulazione diretta dei fasti romani, atteggiamento pienamente longobardo. È inoltre probabile che diversi cammei e pietre lavorate provengano dai tesori imperiali di cui Desiderio si era impadronito a Ravenna nel 751, a cui si aggiungono le gemme donate al nascente monastero da personaggi di spicco: pertanto, molto del patrimonio glittico successivamente incastonato sulla croce era già stato raccolto in età longobarda[22]. La volontà di ripresa quasi filologica della Roma imperiale, propriamente longobarda, è molto evidente anche nel ricorso a pseudocammei in pasta vitrea, i quali tuttavia mostrano iconografie ed espressività della prima età carolingia, il che riporta alla già citata dicotomia tra tecnica e stile. Queste gemme, oltretutto, sono facilmente collocabili al periodo di grande rinascita della lavorazione del vetro e della pasta vitrea, il quale nuovamente si data tra la fine dell'VIII e l'inizio del IX secolo. Questa lunga serie di fattori consente anche di ipotizzare una collocazione norditalica, forse proprio bresciana, dell'officina realizzatrice del manufatto: l'ipotesi è principalmente avvalorata dalla provenienza appunto norditalica di numerose gemme incastonate sulla croce e, in secondo luogo, doveva esistere un collegamento agevole, se non diretto, tra la bottega e il monastero di Santa Giulia, fornitore dell'intero apparato glittico[22]. Una datazione all'inizio del IX secolo, infine, è in grado di appianare il divario cronologico altrimenti esistente tra la croce e lo sbalzo del Cristo Pantocratore nel tondo centrale, un'opera d'oreficeria di altissima qualità difficilmente sganciabile dal IX-X secolo. In questo modo, esso tornerebbe ad essere contemporaneo all'esecuzione del resto della croce, e non una poco verosimile aggiunta successiva di pochi decenni[23]. Note
Bibliografia
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