Collezione di Silvio Valenti GonzagaLa collezione di Silvio Valenti Gonzaga è stata una collezione d'arte nata a Roma nel Settecento e appartenuta all'eponimo cardinale mantovano. Fu una delle principali raccolte d'arte del VIII secolo, in gran parte smembrata nella seconda metà del secolo con due aste tenutesi ad Amsterdam e oggi finita in svariati musei del nord Europa, in particolar modo a Copenaghen dove sono diciannove pezzi dell'antica raccolta, e poi nel 1808, con la vendita da parte degli eredi alla famiglia Torlonia di circa 44 opere della collezione, oggi confluiti alle Gallerie nazionali di palazzo Barberini a Roma. La collezione comprendeva opere di Velazquez, Parmigianino, Tiziano, Bartolomeo Manfredi, Annibale Carracci, Andrea Mantegna, Giovanni Paolo Pannini e altri. StoriaSettecentoIl contesto storicoL'origine familiare colta e attenta al collezionismo artistico fu determinante per lo sviluppo della sensibilità al bello di Silvio Valenti Gonzaga, che si animarono ancor di più durante le attività diplomatiche per la Santa Sede in Austria, nei Paesi Bassi e in Spagna, dove ebbe modo di accrescere i propri interessi culturali.[1] Nel 1740 il cardinale Valenti Gonzaga aderì al partito del cardinale Neri Maria Corsini, suo intimo amico, cui lascerà in eredità un arazzo raffigurante un Presepe.[1] Inoltre svolse un ruolo di mediatore tra il Corsini, nipote di papa Clemente XII, e il neoeletto successore Benedetto XIV, presso cui il Valenti assunse il ruolo di Segretario di Stato.[1] Tra il 1748 e il 1750 il cardinale firmò gli editti del pontefice Lambertini, con i quali si tutelavano i beni artistici e archeologici materiali e immateriali, nonché gli archivi e i documenti della Roma antica e moderna.[1] Nella prima metà del XVIII secolo infatti la città fu epicentro di interessi tra collezionismo e mercato selvaggio di opere artistiche, che si rese necessario regolamentare per tutelare l'integrità del suo patrimonio.[1] Dopo prime leggi in tal senso avute durante il pontificato Albani, un decisivo passo in avanti in tal senso si ottenne con quello di Benedetto XIV, di cui il Valenti Gonzaga faceva parte ricoprendo un ruolo cruciale.[1] Fu infatti emanato l'editto di sostanziale divieto di esportazione fuori dai confini dello Stato della Chiesa di ogni produzione artistica antica e moderna che avesse un valore superiore ai cento scudi.[1] Di contro, qualsiasi opera alienata illegalmente e requisita dalla Chiesa, veniva esposta nelle neo costituite Gallerie del Campidoglio, a beneficio del papa e degli studiosi.[1] Silvio Valenti Gonzaga rappresentò dunque un tassello fondamentale della Pinacoteca Capitolina, poiché persuase il papa ad acquistarne il nucleo originario: la collezione Sacchetti e quella Pio di Savoia. Lo sviluppo della collezioneLe prime opere della collezione il cardinale le comperò durante le varie missioni diplomatiche per la Santa Sede effettuate nei territori austriaci, a Bruxelles tra il 1731 e il 1735 e in Spagna (tra il 1735 e il 1740).[1] Grazie ai rapporti instaurati con illustri famiglie europee, il cardinale fu al centro di una fitta rete di relazioni che gli consentirono essere sempre aggiornato sui gusti e sul mercato artistico del tempo.[1] La maggior parte delle opere furono reperite ad ogni modo nel mercato romano, particolarmente proficuo e attivo in tal senso. La collezione arrivò a essere composta da 832 pezzi,[2] oltre a una fornita biblioteca, porcellane, tappezzerie cinesi, arazzi, strumenti di fisica e di ottica, qualche statua ed erbari.[1] La raccolta venne disposta tutta tra la villa fatta costruire a Roma nella vigna comperata nel 1749 dalla famiglia Cacciaporci, che sorgeva tra le attuali via XX settembre e via Piave, cosiddetta villa Paolina e che poi diverrà successivamente Bonaparte, utilizzata per lo più come casino di buen retiro, e il palazzo del Quirinale, che invece fungeva come da prassi quale dimora del Segretario di Stato del papa.[1] La collezione era per metà composta da quadri con soggetti sacri, mentre l'altra metà era suddivisa tra quadri a soggetto profano, paesaggi (di cui dieci erano assegnati a Gaspar van Wittel e undici a Jan Frans van Bloemen) e svariati ritratti.[3] Di questi ultimi negli inventari antichi erano registrati quattro autoritratti di pittori (Orazio Borgianni, Andrea Sacchi, Lanfranco e Subleyras), nove ritratti di cardinali e sei di papi (di cui le due copie di Innocenzo X e Giulio II), oltre a un numero consistente di effigi di principi e nobili.[3] La raccolta contava opere della scuola italiana, olandese, francese e spagnola.[3] Particolarmente nutrito il gruppo di artisti di ambito romano, soprattutto il Pannini (con otto opere sue elencate nella collazione), Carlo Maratta (con tredici opere) e Filippo Lauri (con dodici dipinti), ma anche Giuseppe Chiari, Agostino Masucci, Sebastiano Conca, Benedetto Luti, Paolo Anesi, Pompeo Batoni, Andrea Locatelli.[4] Sei invece erano le pitture dell'ambito caravaggesco presenti nella raccolta (di cui l'unica rintracciata è il Bacco e bevitore di Bartolomeo Manfredi), mentre altre opere erano ascritte a Giacinto Brandi, Andrea Sacchi, Pietro da Cortona, Giovanni Baglione, Francesco Trevisani e al Baciccio.[4] Il sodalizio più importante nella sua attività di collezionista fu col pittore Giovanni Paolo Pannini, che divenne ancor più solido a partire dal 1740 con la morte del suo antico protettore, il cardinale Pietro Ottoboni.[5] Ben otto erano i dipinti dell'artista piacentino registrati nella collezione del cardinale Valenti Gonzaga: due interni delle basiliche di San Pietro e di San Paolo, le due adorazioni al Bambino (dei magi e dei pastori), una Sibilla, due antichità di Benevento (l'Arco di Traiano e il Teatro romano) e il famoso Ritratto della galleria del cardinale.[5] Quest'ultimo quadro, commissionato nel 1749 e oggi conservato ad Hartford, che gli valse persino la nomina a cavaliere dell'ordine papale dello Speron d'oro attribuitogli dal committente, raffigura parte della collezione Valenti Gonzaga (220 dipinti di cui 144 leggibili) descrivendo in maniera verosimile l'entità della raccolta, seppur idealizzandola in un ambiente non coerente con gli spazi reali della villa romana, probabilmente rappresentativi di un desiderio del cardinale più che dell'effettivo stato dei fatti.[5] Le sale che ospitavano la quadreria erano infatti quelle del palazzo del Quirinale, di dimensioni contenute dove pertanto la collezione poteva apparire al quanto ammassata,[1] e non quelle della villa Paolina, dove invece aveva sede la biblioteca del cardinale, alcuni pezzi di statuaria, mobilia, argenteria, arazzi e altro.[3] Nel 1729 si registrò l'acquisto di alcune opere della collezione Cybo di Massa, tra cui il Ritratto di Leone X del Bugiardini su prototipo di Raffaello e quello di Lorenzo Cybo del Parmigianino. Nella struttura della collezione era particolarmente importante anche il gruppo di artisti emiliani presenti. Un po' dovuto ai rapporti favorevoli col pontefice Lambertini, bolognese di nascita, un po' dai legami felici avuti con Giuseppe Maria Crespi durante gli anni di legazione a Bologna dell'ancora cardinale Prospero Lambertini, che lo avvicinano anche al figlio Luigi Crespi, scrittore d'arte e collezionista.[4] Tra il 1751 e il 1752 dietro sua indicazione il cardinale Valenti Gonzaga acquistò quindi svariati dipinti emiliani e non (come la Sacra Famiglia del Perugino) per il tramite di Monsignor Giovanni Bottari, bibliotecario di Neri Maria Corsini, il quale sarà anche fautore di un libro stampato nel 1754 e dedicato al cardinale Valenti col fine di omaggiarne lo spirito di intellettuale, collezionista e protettore delle arti.[1] Tra i principali artisti emiliani si registrano Carlo Cignani, Marcantonio Franceschini, Domenico Maria Viani, i Carracci (di cui il piccolo tabernacolo con la Pietà è registrato ab antiquo come una delle opere più care al cardinale Gonzaga), Guido Reni, Guercino (presente con due dipinti), Francesco Albani, Giovanni Lanfranco, Elisabetta Sirani, Lionello Spada, Lelio Orsi e altri.[4] Tra gli acquisti più importanti fatti in terra bolognese vi fu poi il Cristo in pietà di Andrea Mantegna, già proposto ad Augusto III di Sassonia dall'agente dell'imperatore Giovanni Ludovico Bianconi, incaricato di reperire opere per la Galleria di Dresda.[4] Il quadro fu accaparrato fulmineamente dal cardinale Silvio Valenti Gonzaga in appena due settimane, soffiando così l'opera ai contendenti.[4] La scuola veneta era parimenti a quella romana e bolognese particolarmente presente nella collezione del cardinale: ben cinque erano le opere del Tiziano (tra copie e di scuola), mentre altre erano del Tintoretto, Giovanni Bellini, Paolo Veronese e Lorenzo Lotto.[4] Durante gli anni come nunzio apostolico a Madrid, il cardinale ottenne come dono da re Filippo V la copia della Maddalena del Correggio (oggi a palazzo Barberini), mentre altre le reperì direttamente dall'ambiente artistico locale, come alcune opere di Velazquez, di cui rimane identificata oggi il Ritratto del principe Baltasar Carlos a cavallo (oggi alla Wallace Collection di Londra) e altri.[4] Dal 1751 la malattia che colpì il cardinale si aggravò portandolo quasi all'infermità e pertanto l'implementazione della raccolta subì un rallentamento. La morte del cardinale e il trasferimento della collezione ai nipoti Carlo e Luigi Valenti Gonzaga (1756)Silvio Valenti Gonzaga morì il 28 agosto 1756, all'età di 66 anni, a Viterbo: venne temporaneamente sepolto nella cattedrale della città, quindi, il 31 agosto 1756, le sue spoglie vennero trasferite a Roma e sepolto nella chiesa dei francescani riformati di san Bonaventura sul colle Palatino, dove il cardinale aveva fatto costruire per sé una tomba. Poco prima di morire, assieme al nipote il cardinale Luigi e ad il pittore di casa Pedro Navarro, coadiuvato con ogni probabilità dal Pannini, fece tuttavia tempo a stilare un inventario della sua collezione con anche la stima dei dipinti che la componevano.[5] Alla morte del cardinale Silvio, il patrimonio venne diviso tra i suoi nipoti: Carlo fu investito della proprietà del lascito dei beni mobili e immobili a Mantova mentre Luigi divenne usufruttuario della quadreria romana, su cui vigeva per volontà testamentarie anche un fidecommesso.[6] Giovanni Paolo Pannini stese un inventario dell'immensa collezione del cardinale, composta da opere (alcune delle quali copie) dei Carracci, Subleyras, Veronese, van Laer, Barocci, Pannini, Mola, Testa, van Wittel e Manfredi. Sgombrati i locali del Quirinale, parte della collezione fu ricollocata dagli eredi in maniera confusionaria presso il cosiddetto casino Cacciaporci[7] della villa Paolina e nel piano terra della medesima, per un totale di 256 quadri, un'altra parte composta 572 opere tra i quali i pezzi a cui Silvio teneva di più fu invece detenuta dal nipote il cardinale Luigi Valenti Gonzaga presso la residenza sita in via Giulia (dove probabilmente aveva vissuto anche lo zio negli ultimi anni della sua vita).[3][8] I problemi finanziari che coinvolsero Carlo per via del matrimonio con Beatrice Bentivoglio, dove fu necessario corrispondere un finanziamento al padre della donna, il marchese Guido, spinsero tuttavia ben presto i coniugi a chiedere con una certa perentorietà di entrare in possesso di alcuni quadri della collezione tenuti da Luigi, col fine di alienarli e ottenere la somma necessaria al risanamento dei debiti (che ammontavano a 15.000 scudi circa).[9] Dopo una prima vendita di beni mobili che non comprendevano opere d'arte, fu necessaria una transazione tra i due fratelli che vedesse il trasferimento di alcuni quadri da Luigi a Carlo proprio in previsione di una successiva vendita di pezzi della collezione.[9] I nipoti presero dunque l'iniziativa di un'alienazione di opere pittoriche della quadreria per via dei debiti contratti, che li costrinse alla necessità di ricercare denaro contante per poter ripagare i creditori.[6] Fu così quindi che nel 1760 la collezione venne per la prima volta frazionata, nella fattispecie in tre parti: degli 827 quadri totali registrati nella quadreria, 117 furono trasferiti a Carlo, altri 402 rimasero a Roma nella disponibilità del cardinale Luigi mentre altri 308 furono tenuti a disposizione dello stesso per una eventuale vendita poiché considerati di scarso valore.[9] I dipinti che passarono a Carlo vennero valutati poco più di 25.000 scudi complessivi, per lo più di scuola italiana, come la tela del Barocci con la Beata Michelina, l'Annunciazione di Agostino Masucci, il Battesimo di Cristo di Annibale Carracci, la Presentazione al tempio di Pietro Testa, la Madonna con santi di Tiziano e la Cacciata dal Paradiso di Pier Francesco Mola, a cui poi si aggiunsero porcellane valutate 3.000 scudi e stampe e disegni di quasi altri 2.000 scudi, per un totale stimato pari a 30.000 scudi, mentre il lotto rimasto a Luigi fu valutato invece poco più di 18.000 scudi.[9] Anche se il cardinale aveva opere valutate complessivamente meno di quelle del fratello Carlo, di fatto comunque tenne nella sua dimora i pezzi a cui Silvio Valenti Gonzaga era più legato, quindi la Galleria del Pannini, la Pietà di Mantegna, la Maddalena copia del Correggio, il piccolo tabernacolo con la Pietà di Annibale Carracci, il Ritratto di Bianca Cappello del Veronese, la Parabola dei contadini nella vigna di Fetti, la Natività di Bartolomeo Schedoni e il Ritratto di uomo di Raffaello.[4][9] Il terzo blocco era costituito da pezzi di scarso valore e fu prezzato per 3.500 scudi circa, che vennero incassati da Luigi nel breve periodo poiché i dipinti furono facilmente collocabili nel mercato (si trattava per lo più di paesaggi, battaglie e nature morte).[9] La vendita di parte della collezione ad Amsterdam (1763)Tra il 1761 e il 1763 per volontà dei due nipoti svariati quadri furono comperati stesso dal Pannini, altri furono venduti attraverso canali alternativi dal cardinale Luigi direttamente, come la Fede del Veronese, i cinque quadri di Rosalba Carriera, la Parabola dei contadini di Domenico Fetti e la Visione di sant'Agostino del Garofalo, mentre una parte notevole della collezione venne immessa nel mercato e dispersa tra l'Italia e l'estero tramite due aste battute ad Amsterdam, da cui poi finirono in importanti collezioni straniere.[10] Quasi tutte le opere trasferite a Carlo Valenti Gonzaga furono vendute nella prima delle due aste del 1763 tenutesi ad Amsterdam, che condusse i dipinti verso una destinazione estera.[10] La prima vendita del 18 maggio fu la più importante e vide circa dieci quadri, tra i più rilevanti battuti all'asta, comprati dall'agente Gherard Morel per le collezioni del re Federico V di Danimarca mentre un altro gruppo di opere più numeroso, ma meno rilevante qualitativamente ad eccezione di un'Assunzione della Vergine di Carlo Maratta e di un San Romualdo di Andrea Sacchi, fu comperato da un mercante olandese per una successiva rivendita, di cui circa nove opere ancora per le collezioni danesi (portando a diciannove le opere della collezione Valenti Gonzaga collocate a Copenaghen)[11] e altre per svariate collezioni europee da cui oggi i quadri sono giunti nei musei di Los Angeles, Stoccolma, San Pietroburgo e Varsavia.[9] La seconda battuta d'asta tenutasi il 28 settembre interessò la vendita di circa 158 opere, per lo più di modesto interesse, come paesaggi, battaglie, scene di genere e ritratti di difficile identificazione, verosimilmente di provenienza della terza frazione della collezione rimasta invenduta nella prima occasione, ossia dalla quota parte delle 308 opere tenute a disposizione per il mercato, che quindi con quest'asta venne interamente estinta.[9] Dei 402 quadri rimasti nella collezione di Luigi non si hanno infine notizia fino alla morte del cardinale, avvenuta a Ottocento inoltrato. OttocentoLa morte del cardinale Luigi Valenti Gonzaga e la vendita alla famiglia Torlonia (1808)Nel 1808 il cardinale Luigi Valenti Gonzaga morì e la collezione passò al figlio Odoardo Valenti Gonzaga, V marchese di Montilio; le opere in suo possesso furono nuovamente messe in vendita, di cui un corposo lotto composto da 44 dipinti fu acquistato dal banchiere Giovanni Torlonia e che dalla cui collezione confluirà nel 1892 alle Gallerie nazionali di Roma.[6][9] Tra questi vi furono il dipinto di Giuliano Bugiardini con Leone X e i due cardinali Giulio de' Medici e Innocenzo Cybo, l'Autoritratto di Orazio Borgianni,[12] la copia del Compianto su Cristo morto di Ribera, i due ritratti di Johannes Cornelisz Verspronck, uno di dama e l'altro di uomo, quello di Louis Cousin col Ritratto del marchese Giacomo Antonio Barthos, vicerè di Milano, quello di Bartolomeo Manfredi del Bacco e bevitore, la Maddalena copia dal Correggio, il tabernacolo con la Pietà del Carracci e altri. L'estinzione della linea familiare e l'immissione dell'eredità nella famiglia Arrivabene (1863)Odoardo Valenti Gonzaga morì nel 1863 senza eredi, portando la linea diretta della famiglia all'estinzione.[6] Le opere rimaste alla famiglia confluirono dunque per il tramite della sorella Teresa Valenti Gonzaga alla famiglia Arrivabene di Venezia (in virtù del matrimonio della donna col conte Francesco), tra cui il Ritratto di Silvio Valenti Gonzaga di Pierre Subleyras.[4] Elenco delle opere (non completo)
Albero genealogico degli eredi della collezioneSegue un sommario albero genealogico degli eredi della collezione di Silvio Valenti Gonzaga, dove sono evidenziati in grassetto gli esponenti della famiglia che hanno ereditato, custodito, o che comunque sono risultati influenti nelle dinamiche inerenti alla collezione d'arte. Per semplicità, il cognome Valenti Gonzaga viene abbreviato a "V. G.".[14]
Note
Bibliografia
Voci correlate
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