Chiesa di San Potito
La chiesa di San Potito è un luogo di culto cattolico di Napoli situato sull'omonima collina (detta anche la Costagliola), nei pressi del Museo Archeologico Nazionale. StoriaLa chiesa fu eretta nella prima metà del Seicento da Pietro De Marino, in un luogo dove sorgeva una struttura religiosa appartenuta alle monache basiliane prima e alle benedettine poi; fu oggetto di un restauro nel 1780 per opera dell'architetto Giovan Battista Broggia. Nel 1808 il monastero fu soppresso da parte del governo francese e dal 1809 adibito alla fanteria, con conseguente perdita di parte del contenuto artistico. Le monache che ivi dimoravano dovettero essere trasferite in San Gregorio Armeno. La chiesa rimase abbandonata fino a quando fu affidata alla congrega degli ufficiali di banco per decreto di Francesco I delle Due Sicilie. Nel 1867 fu realizzata la scala che garantisce l'accesso dalla via Pessina mentre l'ex monastero, in cui vi è un bel chiostro panoramico, fu successivamente destinato a caserma dei Carabinieri. La chiesa, chiusa dal sisma del 1980, dopo un parziale restauro è stata riaperta il 22 giugno 2017 a cura dell'associazione "Ad alta voce", presieduta da Carlo Morelli.[1] Nel 2022 sono stati restaurati tutti i prospetti esterni e il tetto. DescrizioneLa chiesa presenta una facciata a portico di epoca seicentesca, con una scala in piperno a doppia rampa che porta all'interno a navata unica con tre cappelle per lato, transetto e abside. Le ornamentazioni in stucco che decorano tutte le volte risalgono al sopramenzionato restauro del Broggia. Lo scorcio di maggior bellezza della chiesa è ovviamente l'abisde, dominata da un imponente altare maggiore in marmi policromi del XVIII secolo ai cui lati vi sono due statue in stucco di San Benedetto e Santa Scolastica e alle cui spalle sono collocati: il San Potito trafitto dal chiodo infuocato di Niccolò De Simone (al centro, datato 1654), il San Potito che abbatte l'idolo (a sinistra) e il San Potito che salva l'ossessa (a destra) realizzati da Giacinto Diano nel 1784. Quest'ultimo nel 1791 eseguì anche l'Immacolata visibile nella terza cappella a destra e la Morte di San Giuseppe nella parete destra della terza cappella sinistra. Impossibile, poi, non menzionare la Madonna con il bambino e i santi Antonio e Rocco di Andrea Vaccaro nella terza cappella a sinistra e soprattutto la Madonna del Rosario, notevole tela di Luca Giordano del 1663-1664 nella prima a destra, fronteggiata da un Calvario di ignoto pittore seicentesco. Le seconde cappelle vennero probabilmente spogliate dei rispettivi dipinti nel periodo francese e presentano oggi due imponenti statue lignee sempre ottocentesche di San Gaetano e San Filippo Neri, oltre a delle decorazioni in stucco con angioletti sulle pareti e sulle volte eseguite dallo sconosciuto stuccatore D. Caponello. Altra statua lignea di pregio è l'Addolorata, forse settecentesca, collocata dentro una grossa teca lignea nella campata che si frappone tra la seconda e la terza cappella di sinistra, di fronte alla quale, a destra, è collocato il pulpito, anch'esso in legno.[2] Sulla cantoria in controfacciata si trova un organo positivo in stato di abbandono, dotato di 9 registri su unico manuale, senza pedaliera.[3] Spostandoci nella sacrestia ci s'imbatte in un ambiente a più vani artisticamente anonimo, ma nel quale si conservano: una statua lignea settecentesca di San Potito, La Madonna della Purità con i Santi Antonio e Giuseppe e le anime purganti, pregevole tela di Pacecco De Rosa, e la Vergine e Santi con il Santissimo Sacramento e le anime purganti di un seguace del Solimena (che Napoli Sacra ritiene sia Domenico Mondo). Note
Bibliografia
Voci correlateAltri progetti
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