Chiesa di San Michele Arcangelo (Anacapri)

Chiesa di San Michele Arcangelo
Facciata
StatoItalia (bandiera) Italia
RegioneCampania
LocalitàAnacapri
IndirizzoPiazza San Nicola,1, 80071 Anacapri
Coordinate40°33′17.31″N 14°13′02.25″E
Religionecattolica di rito romano
TitolareMichele
Arcidiocesi Sorrento-Castellammare di Stabia
Consacrazione1719
FondatoreSuor Serafina di Dio
ArchitettoDomenico Antonio Vaccaro
Stile architettonicoBarocco, rococò
Inizio costruzione1698
Completamento1719
Sito webwww.chiesa-san-michele.com

La chiesa di San Michele Arcangelo è una chiesa monumentale situata nel centro storico di Anacapri: è retta dalla parrocchia della chiesa di Santa Sofia ed è anche nota col nome di chiesa del Paradiso terrestre per via del pavimento maiolicato raffigurante l'omonima scena biblica presente al suo interno[1].

Storia

Suor Serafina di Dio, al secolo Prudenza Pisa, invocò l'arcangelo Michele affinché liberasse Vienna dall'assedio degli ottomani, che perdurava da due mesi: fu così che il 12 settembre 1638 il re Giovanni III Sobieski, a capo della coalizione cristiana, riuscì nell'impresa di sconfiggere l'esercito nemico, nei pressi del Kalhenberg[2]. Per mantenere fede al voto fatto la suora iniziò la costruzione di sette monasteri di clausura[3], tutti che si ispiravano alle regole dettate da santa Teresa d'Ávila, in diversi punti della Campania, precisamente a Capri, ad Anacapri, a Vico Equense, a Fisciano, a Torre del Greco e due a Massa Lubrense[2]. Quello di Anacapri, che ospitava monache di clausura, venne ricavato riutilizzando un conservatorio musicale e verteva intorno a due chiostri[4].

Particolare della facciata

Circa un decennio dopo la fondazione del monastero[5], precisamente nel 1698, suor Serafina volle edificare anche una chiesa[2]. Con molta probabilità si occupò del progetto Domenico Antonio Vaccaro[6]: la chiesa, nelle sue forme infatti, risulta essere molto simile alla chiesa di Santa Maria della Concezione a Montecalvario a Napoli[7], realizzata dallo stesso Vaccaro pochi anni dopo; inoltre, presumibilmente, l'artista era già stato sull'isola di Capri per un suo intervento durante la costruzione della chiesa di Santa Sofia[7]: tuttavia anche di questo non si ha la certezza. Due storici, Camillo Napoleone Sasso e Roberto Pane non citano però nei loro testi il Vaccaro: in un secondo momento però Pane sembra concordare con quanto detto da Amedeo Maiuri per l'attribuzione del disegno all'architetto napoletano[7]; inoltre è noto un carteggio tra le monache e il Vaccaro nel 1715 ed un pagamento effettuato a suo nome nel 1719[8]. I lavori di costruzioni iniziarono nel luogo in cui precedentemente sorgeva la chiesa di San Nicola, di cui si conserva il chiostro e il campanile[2], utilizzando, secondo Niccolò Antonio Squillace, le offerte di quindicimila ducati napoletani[3] di Antonio Migliacci, un gentiluomo sardo che soleva risiedere sull'isola di Capri durante il periodo estivo, invece di restare a Napoli, città dove viveva. Tuttavia i lavori si fermarono per mancanza di fondi[3]: fu soltanto grazie a monsignore Michele Gallo di Vandeneynde, vescovo di Capri dal 1690 al 1727, che, utilizzando interamente il suo patrimonio personale[3], la struttura venne portata al termine. La chiesa venne consacrata nel 1719[6].

Tra il 1806 e il 1808, durante l'occupazione inglese, il tempio venne soppresso[9] e con l'arrivo dei francesi, nel 1808, fu soppresso anche il monastero: l'intero complesso venne utilizzato come deposito e alloggi per i militari[10]. Nel 1814, quando i militari abbandonarono la struttura per una sistemazione più comoda, furono avanzi dei progetti di restauri: questi iniziarono nel 1815, per terminare nel 1817, quando la chiesa venne riaperta al culto, precisamente il 10 giugno, grazie ad un regio decreto firmato da Ferdinando I delle Due Sicilie, il quale l'affidava alla Congregazione laica dell'Immacolata Concezione, fondata nel 1865; il convento venne venduto a privati[11]. La congrega, nel corso degli anni, si è occupata del mantenimento e dei successivi restauri della chiesa.[12]

Descrizione

L'interno

La facciata della chiesa è divisa in due parti da una trabeazione; la parte inferiore è suddivisa in tre scomparti da quattro colonne: al centro si trova il portale d'ingresso maggiore, sormontato da una lunetta nella quale è affrescato San Michele, con ali spiegate e una spada nella mano destra, probabilmente ispirato a un disegno di Guido Reni[13], mentre ai lati due ingressi più piccoli, sormontati da finestre ovali. La zona superiore invece è anch'essa divisa in tre scomparti tramite quattro lesene: nella parte centrale, che termina a timpano con sulla sommità una croce in ferro, è posto un finestrone, mentre gli scomparti laterali sono decorati con stucchi.

Internamente la chiesa ha una pianta ottagonale, a forma di una croce greca, leggermente allungata in direzione dell'ingresso, dell'abside e di due altari laterali, e cupola centrale: misura in totale ventuno metri di lunghezza per quindici di larghezza[14]; l'interno è illuminato da alcune finestre poste ai lati dell'abside, sui fianchi della cupola e sull'ingresso: questa illuminazione è stata studiata in modo da fornire una luce intensa ma pacata[15]. Tutte le decorazioni interne sono in puro stile barocco con decorazioni a stucco di rosoni, festoni, cartigli, angeli, conchiglie, angeli[15] e colonne scanalate, sormontate da capitelli in ordine corinzio e poste ai lati delle cappelle, aventi più un motivo ornamentale che strutturale[14]; l'intera chiesa è pavimentata con riggiole in maioliche, dipinte in modo tale da raffigurare il Paradiso terrestre e peccato originale, opera di Leonardo Chianese[6]. Il vestibolo è sormontato dalla cantoria[16] nella quale è presente una statua della Madonna col Bambino, opera di Nicolò Fumo[17].

Il pavimento maiolicato

Le cappelle, comprese l'altare maggiore, sono sette a simboleggiare i sette doni dello Spirito Santo[7]: sono disposte tre su ogni lato, con una centrale, dalla forma absidale, e due agli angoli, dalla forma a conchiglia[16]. Le cappelle presentano una pavimentazione in maioliche in colore azzurro e giallo con inserti di raffigurazioni di cesti di frutta e fiori, mentre gli altari, realizzati da artigiani capresi, sono in legno dipinto tendente a riprodurre l'effetto del marmo: probabilmente questi dovevano essere momentanei per poi essere successivamente sostituiti da altri in vero marmo, non più realizzati a causa della soppressione del monastero a seguito dell'edito promulgato da Gioacchino Murat il 12 novembre 1808[18]. Tutte le cappelle sono dedicate alla Vergine Maria e agli angeli custodi[16]: sul lato sinistro, la prima cappella ha una tela di Paolo De Matteis raffigurante l'Angelo custode, la seconda cappella, al centro, ha una Madonna del Carmine e santi Giuseppe e Teresa, opera del De Matteis, e ai lati Madonna che dà l'abito a san Simone Stock e Visione di san Giovanni della Croce, entrambe di Francesco Solimena, e la terza cappella Addolorata, opera pittorica sempre del De Matteis[19]. Sul lato destro i dipinti sono tutti di Paolo De Matteis, in particolare, nella prima cappella Raffaele e Tobiolo, nella seconda Assunta tra i santi Nicola e Biagio e nella terza Annunciazione[19]: tutte le pitture presenti nella chiesa sono datate al 1719 o comunque qualche anno dopo la sua consacrazione[20].

Madonna del Carmine e santi Giuseppe e Teresa di Paolo De Matteis

L'altare maggiore, in stile barocco e rococò, è stato realizzato dall'artista napoletano Agostino Chirola, dopo che aveva realizzato dei modelli in creta[21], su disegno dell'ingegnere Angelo Barletta[22] e commissionato da Francesco Cattaneo, educatore di Ferdinando I, nel 1761[21]: questo venne realizzato a Napoli e trasportato sull'isola di Capri tramite delle feluche, salito ad Anacapri a dorso di mulo percorrendo la scala Fenicia e infine assemblato sul posto[23]; venne consacrato l'11 ottobre 1761[22]. L'altare è realizzato in marmo di Carrara e pietre dure come lapislazzuli, alabastro e marmo verde antico e giallo antico: non si è esclude che pezzi di marmi possono essere stati riutilizzati da alcune ville di epoca romana presenti sull'isola[23]; alle estremità dell'altare due angeli a tutto tondo, sempre in marmo di Carrara: sembra che inizialmente le monache avrebbero voluto affidare la realizzazione di queste due sculture a Francesco Pagano o Giuseppe Sanmartino, ma successivamente la scelta sarebbe caduta sullo stesso Chirola e al termine dei lavori, soddisfatte del risultato finale, avrebbero pagato all'artista un compenso di seicentocinquanta ducati invece di seicentoquindici come precedentemente pattuito[23]. Completano la zona dell'altare maggiore una pala di Nicola Malinconico raffigurante San Michele arcangelo, con ai lati due dipinti di angeli, opera di Paolo De Matteis[19], e sulle pareti laterali Orazione nell'orto e Natività entrambe di Giacomo del Pò[6], mentre nella lunetta sopra la pala è posta una statua in legno dell'Immacolata[24]; il pavimento dell'abside è sempre in maioliche con la raffigurazione di un pellicano che si strappa le carni per nutrire i piccoli con il proprio sangue[25], contornati da ghirlande e putti[26]: probabilmente il cartone preparatorio per l'opera è stato realizzato da Giuseppe Sanmartino[27]. Alle spalle dell'altare maggiore è sepolto il vescovo Michele Gallo di Vandeneynde[14]. Su tutti gli altari sono presenti candelabri, croci e giare contenenti delle frasche ricamate con perle, lavoro delle monache di clausure risalenti a quando il convento era ancora attivo[28].

Nella sacrestia, adibita a spazio museale, sono presenti due piccole statue in legno raffiguranti Santa Teresa d'Avila e San Giovan Giuseppe della Croce, probabilmente della bottega di Francesco Patalano ma scolpite da due artisti diversi[29].

Note

Bibliografia

  • Guida d'Italia - Napoli e dintorni, Milano, Touring Club Italiano, 2008, ISBN 978-88-365-3893-5.
  • La chiesa di San Michele a Anacapri, Napoli, Arte'm, 2010, ISBN 978-88-569-0129-0.
  • Luciana Arbace, Chiesa monumentale di San Michele Arcangelo in Anacapri, Napoli, Enzo Albano Editore, 2012, ISBN non esistente.

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