Carta di Nicita
La Carta di Nicita[2] è il primo documento della tradizione scrittoria in volgare sardo, si tratta dell'atto di donazione alla basilica e monastero di San Benedetto di Montecassino di terre e delle chiese di Santa Maria de Bubalis e di Sant'Elia di Montesanto sottoscritto dal giudice Barisone I di Torres e da suo nipote Mariano. Si tratta del primo documento originale prodotto in palaczio regis nella reggia di Ardara intorno alla metà dell’XI secolo. La pergamena, dotata di sigillo di piombo con legenda "Barisone rex"è attualmente custodita presso l'archivio dell'abbazia di Montecassino.[3] PremessaDopo una lunga fase di silenzio documentario, dalla seconda metà dell’XI secolo la Sardegna presentava una produzione documentaria, caratterizzata dall’uso preminente del volgare sardo in campo giuridico, e l’uso cancelleresco del volgare era ormai prassi normale [4]. Questa improvvisa rinascita, susseguente a una lunga fase di isolamento linguistico, è stata ricondotta principalmente agli influssi dovuti alla presenza massiccia degli ordini monastici, primi fra tutti i benedettini [5]. Il documento e la storiaCarta di donazione di Barisone I di Torres (1064/1065) (testo parziale)
(SC)
«In nomine Dei eterni miserator et pii. Rennante donno Barossone & nepote eius donno Marianus, in renno quo dicitur Ore, deinde donnicelo Mariane & donicelo Petro & donnicelo Comita simul cum omnibus fratres1 & parentes eorum, considerabimus & memorabimus nobis de omnibus peccatis nostris & pro mercede & redenzione anime nostre ud ic ed in eternum domini requie & misericordia inbenire baleamus. Sit tradidimus atque concedimus Basilica Sancte Marie Dei genetricis Domini, de loco quod diccitur Bubalis, deinde Sancto Elias de Monte Sancto, cum omnibus que modo abent & antea3 iubante Deo dare illis potuerimus cum caritate perfecta. Sit tradidimus illos monasterios nostros a basilica & monasterio Sancte Benedictus qui dicitur Castro Caxinom &d a donno Desiderio gratia Domini abbas & a suos succesores ad abendu, tenendu atque possidendu & faciendu omnia quidquid utd illis necesaria in isos monasterios.
Nicita lebita iscribanus in palaczio regis iscrisi quod in illa ora fuit tenebre & paucu lumine abuit inn illa ora, et grande press’erat michi. Domino abate de Casinensis mons, quod setis in serbizziu Dei et Sanctum Benedictum, no michi teneatis in detuperiu s’imbennietis lictera edificata male, bos qui sapiens estis, et mendate in corde bestro &d orate pro me misero et gulpabile, quo ego so testimoniu.» (IT)
«n nome di Dio eterno, misericordioso e pio. Sotto il regno di donno Barisone e di suo nipote donno Mariano, nel regno chiamato de Ore, e donnicello Mariano e donnicello Pietro e donnicello Comita, insieme con tutti i fratelli e i loro parenti, dopo aver preso in considerazione e aver riconosciuto tutti i nostri peccati, e per la remissione e redenzione dell’anima nostra, affinché ora e in eterno possiamo trovare la pace e la misericordia di Dio, così consegniamo e concediamo la Basilica di Santa Maria di Dio, Madre del Signore, del luogo che è chiamato Bubalis, e inoltre Sant’Elia di Monte Santo, con tutte le cose che ora possiedono, e in futuro per volontà di Dio daremo a loro con perfetta carità. Così consegniamo i nostri monasteri alla basilica e al monastero di San Benedetto che è detto Castro Cassino e a donno Desiderio, abate per grazia di Dio, e ai suoi successori affinché lo abbiano, lo detengano e lo possiedano e facciano tutto ciò che è necessario nei suddetti monasteri.
Nicita levita scriba scrissi nel palazzo del re, a quell’ora c’era buio e c’era poca luce, e avevo molta fretta. Signore abate di Montecassino, che siete al servizio di Dio e di San Benedetto, non biasimatemi se trovate la lettera scritta male, voi che siete saggio, perdonate nel vostro cuore e pregate per me misero peccatore, di cui sono testimone.» Il testo riveste una certa importanza sia per l'aspetto linguistico che per quello storico. Infatti da un lato il documento attesta «la sopravvivenza […] di una scripta latina rustica di Sardegna» [8] dall'altro testimonia i rapporti che vengono a stabilirsi, già nell'XI secolo, tra i Giudici di Torres e l'ordine dei benedettini. Nel 1063 Barisone aveva chiesto a Desiderio, abate di Montecassino, l'invio di monaci nel suo «rennu» per fondarvi un monastero. Desiderio mandò un gruppo di 12 monaci con codici, reliquie, ed altri oggetti sacri ma questi furono catturati e derubati dai pisani presso l'isola del Giglio e non arrivarono mai a destinazione. Barisone sollecitò, facendo pressione anche su papa Alessandro II, fino ad ottenere che i pisani restituissero il maltolto e permettessero ad un nuovo gruppo di monaci di raggiungere l'isola. A seguito di una nuova spedizione nel 1065, i monaci presero possesso dei beni donatigli dal Judike [9]. I beni elencati nel documento comprendevano una vasta area e alcune pertinenze, fra queste le chiese di Santa Maria nel luogo detto Bubalis e la chiesa di Sant'Elia di Monte Santo. Note
Bibliografia
Collegamenti esterni |
Portal di Ensiklopedia Dunia