Carcinoma dell'ovaio
Con carcinoma dell'ovaio o carcinoma ovarico si intende un tumore che nasce dalle cellule delle ovaie. In particolare, il carcinoma ovarico è la seconda forma più comune di tumore ginecologico ed il sesto più diffuso cancro femminile.[1] Esistono diversi tipi istologici di carcinoma dell'ovaio (vedi sotto), ma la distinzione più importante è tra tumori di tipo epiteliale e tumori non-epiteliali. In casi molto rari nell'ovaio possono nascere tumori dovuti ad altri tipi di cellule (per esempio i linfomi) oppure nell'ovaio possono trovarsi cellule di tumori di altri organi che sono arrivate su questo organo (l'esempio più tipico è la presenza sull'ovaio di cellule di un carcinoma dello stomaco, dell'intestino o della mammella). ClassificazioniL'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha classificato diverse forme di carcinoma dell'ovaio
PatogenesiPer quanto riguarda i Fattori di rischio del carcinoma epiteliale i principali sono:
Tra i fattori di rischio ha un ruolo rilevante la familiarità in quanto il carcinoma dell'ovaio ha un'incidenza aumentata: Secondo una stima del National Cancer Institute, una percentuale compresa tra il 7 e il 10% di tutti i casi di tumore dell'ovaio è il risultato di un'alterazione genetica ereditaria. L'esempio più importante è rappresentato da mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 in cui può verificarsi la presenza contemporanea, o in tempi diversi, di carcinoma ovarico e carcinoma mammario.[2] BRCA1 e BRCA2 sono geni distinti che mappano su due diversi cromosomi (rispettivamente 17q21 e 13q12.3). Tali geni sono considerati geni oncosoppressori, in quanto deputati al mantenimento della stabilità genomica e quindi al controllo della crescita cellulare.[3] Le proteine BRCA1 e BRCA2 sono principalmente coinvolte nella riparazione delle rotture del doppio filamento del DNA (DSB) attraverso la ricombinazione omologa (HR). La carenza o la perdita della funzione di tali proteine, che può verificarsi a causa di mutazioni somatiche o a causa del silenziamento epigenetico, promuove l'utilizzo di metodi alternativi per la riparazione delle rotture a doppio filamento, quali la Non-Homologous End-Joining (NHEJ) e la Single-Strand Annealing (SSA). Tali procedure alternative innescano un alto grado di instabilità genomica che può portare alla formazione di trasformazioni maligne. In conclusione è possibile affermare che l'assenza della funzione BRCA1/2 è associata ad un rischio di sviluppare, nel corso della vita, cancro ovarico epiteliale dal 40% al 50% nelle pazienti portatrici della mutazione BRCA1, e dal 20% al 25% nelle pazienti portatrici della mutazione BRCA2. Fattori di rischio o protezione che hanno un ruolo meno definito:
EpidemiologiaDiagnosiPurtroppo i segni ed i sintomi del carcinoma dell'ovaio sono vaghi (dolori addominali o pelvici, senso di gonfiore) e la diagnosi è quindi molto spesso tardiva. Non esiste una metodica di screening efficace, quindi né il dosaggio del Ca125 né l'ecografia addominale o pelvica possono essere ritenuti utili in questo caso. Nel caso di un fondato sospetto di carcinoma ovarico (una donna in post-menopausa con dolenzia pelvica non riconducibile ad altre cause) il dosaggio plasmatico dei markers Ca125 e HE4 può consentire di indirizzare la diagnosi. Le metodiche radiologiche sono utilizzate sia per la ricerca e la caratterizzazione del tumore primitivo sia per la stadiazione Stadiazione
TerapiaIl trattamento dei tumori dell'ovaio dipende
In ogni caso bisogna considerare che specialmente nelle forme più limitate non è sempre necessario effettuare un intervento di laparotomia (che lascia una cicatrice che attraversa tutto l'addome dallo sterno al pube) ma è spesso possibile eseguire una laparoscopia. Tumore allo stadio I o II
Tumore allo stadio IIIL'obiettivo principale in questa fase è eliminare completamente i depositi di cellule tumorali presenti sul peritoneo o lasciare dei noduli molto piccoli (con un diametro inferiore a 1 cm). Si può effettuare subito l'intervento chirurgico o farlo precedere da cicli di chemioterapia. Terapia adiuvanteUna chemioterapia post-operatoria è indicata per i tumori allo stadio II e III (se la chemioterapia non è stata effettuata prima dell'intervento chirurgico). Poiché la disseminazione peritoneale è la forma più frequente di diffusione di questo tumore, numerosi studi sono stati negli anni messi in campo nel mondo per verificare la superiorità, in termini di intervallo libero da malattia e di sopravvivenza totale, di una chemioterapia somministrata per via intraperitoneale piuttosto che, classicamente, per via endovenosa. I risultati di tali studi sono stati estremamente probanti del vantaggio della chemioterapia intraperitoneo, tanto da indurre, già nel 2006, il National Cancer Institute ad emettere un eccezionale "clinical announcement"[4] volto ad incentivare l'uso della somministrazione intraperitoneale della chemioterapia standard, piuttosto che endovenosa, visto il guadagno medio di oltre 15 mesi nella sopravvivenza globale e questo nonostante il maggior tasso di eventi avversi a carico della somministrazione intraperitoneale. Il congresso 2013 della SGO (Society of Gynecology Oncology), 7 anni dopo il "clinical announcement" di NCI, ha certificato che ancora nel 2013 alla maggioranza delle donne americane - per ragioni di costo - non viene proposta la terapia intraperitoneale, censura giudicata "non etica" da alcuni specialisti[5]. In Italia, ancora nel 2013, alla stragrande maggioranza delle donne affette da tumore ovarico la possibilità di una chemioterapia intraperitoneale non viene nemmeno elencata tra le possibilità di trattamento. In Italia, ma anche in molti altri Paesi europei, si ritiene che il vantaggio in termini di sopravvivenza globale non giustifichi la tossicità e la complessità della terapia intraperitoneale[senza fonte]. Tumore allo stadio IVIn questo stadio la malattia non è guaribile, ma con le terapie attualmente disponibili è possibile avere in molti casi una sopravvivenza relativamente lunga con una buona qualità di vita. In particolare la chemioterapia si basa sull'uso dei sali di Platino (cisplatino o carboplatino) e del Paclitaxel. L'associazione di questi due farmaci consente di ottenere una risposta obiettiva nel 60% delle pazienti con diffusione peritoneale.
Nelle forme resistenti al platino sono disponibili alcuni altri farmaci come il topotecan, l'antraciclina liposomiale, la gemcitabina, la trabectedina. Uno studio ha dimostrato che il bevacizumab associato alla chemioterapia può prolungare la sopravvivenza. PrognosiPoiché spesso la diagnosi è tardiva la prognosi è infausta anche se la sopravvivenza mediana è intorno ai due anni anche nelle donne con tumore allo stadio III e IV. Il dosaggio del Ca125 (che come già detto non ha nessun ruolo nello screening) può essere molto utile nel valutare la risposta della paziente con carcinoma in fase avanzata alla chemioterapia. Infatti questo marcatore è quasi sempre aumentato, ma si riduce in modo notevole e rapidamente nel corso della chemioterpia, consentendo di valutare in modo rapido e semplice la risposta della malattia al trattamento. Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
|