Battaglia del Mincio (1814)

Battaglia del Mincio (1814)
parte della Campagna d'Italia (1813-1814)
Bellegarde e il suo stato maggiore durante la battaglia in un quadro del 1815
Data8 febbraio 1814
LuogoValeggio, Roverbella, Marmirolo, Pozzolo, Quaderni, sponde destra e sinistra del Mincio
EsitoTatticamente inconcludente, strategicamente una parziale vittoria francese
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
34 000 uomini[1]32 000 uomini[1]
Perdite
3 500 tra prigionieri e caduti[1]4 000 tra prigionieri e caduti[1]
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La battaglia del Mincio fu combattuta l'8 febbraio 1814 fra l'esercito franco-italiano del viceré del Regno d'Italia, Eugenio di Beauharnais, ed un'armata austriaca comandata dal feldmaresciallo Bellegarde durante la campagna d'Italia.

Al termine di una giornata di aspri combattimenti, le due armate contrapposte si ritrovarono nelle posizioni iniziali di partenza senza che nessuna delle due fosse riuscita a raggiungere gli obiettivi prefissati alla vigilia. Fu una delle battaglie tatticamente più insolite mai combattute nei fronti europei, dato che le due parti si ritrovarono a fronteggiarsi su ambedue le sponde del fiume Mincio a fronti rovesciati, senza che una si fosse resa conto dei movimenti dell'altra.

Contesto storico

Lo stesso argomento in dettaglio: Sesta coalizione e Campagna di Germania del 1813.
La Grand Armée affronta l'inverno russo

La Grand Armée versava in una condizione pietosa dopo la fine della campagna di Napoleone in Russia: degli oltre 600000 uomini partiti, ne tornarono meno di un decimo, quasi tutti stremati dal freddo e dalla fame.[2] Non passò molto tempo prima che la Prussia decidesse di cambiare schieramento ed attaccare le deboli forze francesi, al momento ferme in Polonia.[3]

Napoleone, chiamando una leva straordinaria,[4] riuscì a raccogliere un esercito sufficiente ad affrontare le armate prussiane e russe in Germania, ottenendo due buone vittorie a Lutzen e Bautzen, ma senza riuscire a sconfiggere definitivamente il nemico. L'armistizio di Pleiswitz, ordito dagli austriaci, non portò ad alcun cambiamento favorevole ai napoleonici:[5][6][7] non solo la guerra proseguì,[8] ma anche la Svezia, prima neutrale,[9] e l'Austria stessa, formalmente alleata della Francia ma mantenutasi neutrale, entrarono in guerra dalla parte della Coalizione.[8]

Antefatti

Il fronte italiano

Eugenio di Beauharnais in combattimento nel 1813

L'ingresso dell'impero asburgico nel conflitto segnava l'apertura di un nuovo fronte a sud, tra l'Italia e le Province Illiriche. Napoleone, avendo parzialmente intuito la strategia austriaca, aveva preventivamente inviato il proprio figliastro e viceré d'Italia, Eugenio di Beauharnais, a Milano per raccogliere un nuovo esercito e gestire il fronte italiano.[10] Dopo un inizio promettente, le forze di Eugenio furono rapidamente costrette a retrocedere sulla linea dell'Adige:[11] la tremenda sconfitta di Lipsia aveva avuto un impatto notevole sulla fedeltà degli alleati della Francia, causando la defezione della Baviera[12] e conseguentemente minacciando le retrovie di Eugenio se questi fosse rimasto in Friuli.[11]

Arretrato in Veneto,[13] Eugenio difese efficacemente la linea dell'Adige dalle forze del maresciallo austriaco Hiller, sconfiggendo dapprima un forte distaccamento austriaco nei pressi di Caldiero e resistendo pochi giorni dopo ad un attacco a San Martino e San Michele.[14] Il 22 novembre giunse una proposta del re di Baviera, Massimiliano I Giuseppe, suocero di Eugenio, che garantiva lui il trono del Regno d'Italia in caso di una sua defezione. Eugenio, da sempre fedele al padre adottivo, rifiutò la proposta, continuando nella lotta.[15] Dopo questi eventi, il fronte cadde in uno stato di inerzia: nessuno scontro rilevante si verificò per mesi sulla linea dell'Adige,[16] sebbene il corpo di Nugent, terminato l'assedio di Trieste, fosse sbarcato nel Polesine e stesse trovando dei buoni risultati.[17]

Eugenio retrocede sul Mincio

Dopo il ritorno dalla Germania, il maresciallo Murat, re di Napoli, cercò di trovare una soluzione per mantenere il proprio trono alla fine del conflitto. Aveva già avviato in precedenza dei contatti con l'Austria e con l'Inghilterra, sebbene questi ultimi si fossero conclusi in un nulla di fatto. Nonostante ciò, Murat, complice anche un errore del diplomatico inglese Aberdeen, riuscì a trovare un accordo con gli austriaci, la cui priorità era strappare a Napoleone quanti più alleati possibile. A gennaio 1814, l'intesa tra le due parti era stata raggiunta: Murat avrebbe combattuto contro i napoleonici e questo gli sarebbe valso l'appoggio austriaco nella sua lotta per il trono partenopeo.[18]

Mappa del Veronese

Nel frattempo, per non destare eccessivi sospetti, aveva mobilitato il proprio esercito, composto da circa 30000 uomini ed aveva iniziato a risalire la penisola. I primi sospetti sulle ragioni di questo comportamento si ebbero quando i suoi generali, invece di avviarsi sulla linea del Po per combattere le forze asburgiche, si fermarono ad occupare le principali città italiane, come ad esempio Roma ed Ancona.[19] Ulteriori rapporti epistolari tra Eugenio e Murat contribuirono ad alimentare i dubbi sulla fedeltà di Murat alla causa francese.[20] Comprendendo di non poter più contare sul maresciallo, Eugenio dovette ricorrere a delle misure drastiche per mantenere stabili le sue difese di fronte alla possibilità dell'ingresso delle forze napoletane nella Coalizione. Non essendo possibile difendere contemporaneamente il Quadrilatero ed il Po tra Piacenza e Borgoforte, Eugenio decise di abbandonare Verona e Legnago, mantenendo solo le fortezze di Mantova e Peschiera, schierando il suo esercito lungo la linea del Mincio.[21][22] Il movimento iniziò il 3 febbraio[23] e venne completato entro il 5, giorno in cui gli austriaci del maresciallo Bellegarde, subentrato a Hiller, entrarono nella città scaligera.[24][25] Vi fu anche un piccolo combattimento tra due distaccamenti dei due eserciti nei pressi di Villafranca.[26]

Posizione degli eserciti prima della battaglia del Mincio

Eugenio, considerando critica la situazione, decise di passare all'attacco, piuttosto che difendersi passivamente: avrebbe attraversato il Mincio e colpito gli austriaci a Villafranca con il grosso del suo esercito. Se l'attacco fosse riuscito, gli austriaci, grazie all'imprevedibilità della manovra stessa, avrebbero subito pesanti perdite ed avrebbero necessariamente dovuto ritirarsi, concedendo tempo e risorse ad Eugenio per spostarsi rapidamente sull'altra sponda del Po e colpire gli austro-napoletani. Se avesse fallito, avrebbe comunque potuto facilmente difendere la linea del Mincio, una delle posizioni difensive migliori d'Italia.[27] Le rassicurazioni da parte di Murat che egli non avrebbe attaccato i franco-italiani, almeno per il momento, permettevano ad Eugenio di lasciare parzialmente scoperto il Po ed utilizzare a prè o le sue forze nella manovra contro Bellegarde.[28] Ad ogni modo, l'obiettivo principale del viceré non era vincere, ma guadagnare tempo.[29]

Bellegarde, d'altra parte, aveva ricevuto un rapporto che evidenziava il movimento dell'artiglieria di Eugenio verso Cremona e sull'abbandono di Valeggio: il maresciallo austriaco si convinse che il viceré d'Italia stesse per arretrare nuovamente la propria linea difensiva e pianificò di avanzare per inseguirlo.[30][31] Il 6 febbraio ebbe un incontro con Murat a Bologna[32] e, dopo aver trattato a proposito dell'occupazione dell'Emilia-Romagna, chiese al maresciallo e a Nugent, nel frattempo trasferito assieme al suo corpo sotto il comando dei napoletani, di attaccare Piacenza, in modo da garantirsi un facile passaggio del Mincio grazie al diversivo. In realtà, solo Nugent si mosse nelle vicinanze di Reggio e Parma, senza però ingaggiare le posizioni di Gratien e Severoli.[33]

Le forze in campo

L'esercito franco-italiano

Fuciliere del 3º reggimento di fanteria di linea italiano

Nonostante il grosso dell'esercito italiano fosse andato perduto in Russia, Eugenio si era sforzato di creare un'armata sufficientemente preparata per contrastare gli austriaci.[34] Ad agosto disponeva di circa 50000 uomini,[35] ma questi erano andati scemando, complici gli scontri con le forze asburgiche e le numerose diserzioni che seguirono alla ritirata verso l'Adige, tanto che nella seconda parte di dicembre aveva a propria disposizione al massimo 32000 uomini.[36] I rinforzi arrivarono nella seconda metà di dicembre e nei primi giorni di gennaio: in parte si trattava delle truppe di Severoli, di ritorno dalla Spagna,[37] in parte di coscritti.[38] Nel complesso, il totale delle forze del suo esercito era tornato ai livelli di agosto.[39]

Una parte delle forze disponibili era necessariamente posizionata sull'altra sponda del Po, a contrastare i movimenti di Nugent e le armate di Murat.[40] Un altro distaccamento era impegnato nella zona di Brescia, per evitare che qualche divisione austriaca potesse scendere dal Tirolo e presentarsi alle spalle dei franco-italiani.[N 1] L'esercito franco-italiano su suddiviso in due gruppi: le divisioni di Rouyer, Marcognet e Zucchi furono affidate al generale Grenier; quelle di Fressinet, Palombini e Quesnel furono poste sotto la supervisione di Verdier.[41] Sulla linea del Mincio, il giorno precedente alla battaglia, erano schierate la maggior parte delle truppe napoleoniche, circa 33000 uomini e 44 cannoni.[42][N 2] Ad ogni modo, la qualità di queste truppe, per la maggior parte coscritti alle prime esperienze, lasciava parecchio a desiderare.[43]

Il giorno 7 febbraio, la disposizione delle truppe di Eugenio fu la seguente:

  • la divisione Rouyer era piazzato a Mantova, con due battaglioni distaccati a Borgoforte;
  • la divisione Marcognet controllava Pozzolo e dintorni;
  • la divisione Zucchi si trovava anch'essa a Mantova, con due battaglioni posti a Governolo e Borgoforte;
  • la divisione Quesnel controllava Goito e dintorni;
  • la divisione Fressinet occupava Borghetto e Volta, di fronte a Pozzolo;
  • la divisione Palombini copriva Peschiera e Monzambano;
  • la cavalleria fu divisa in tre brigate, rispettivamente posizionate a Mantova, Goito e l'ultima tra Rivalta, Saracinesco e Castellucchio;
  • la guardia reale fu posizionata a Mantova, dove era stabilito il quartier generale di Eugenio.[41][44]

L'esercito austriaco

Il feldmaresciallo Bellegarde

Tra i due eserciti, quello austriaco fu sicuramente il più "fortunato": pur partendo con numeri leggermente inferiori rispetto ai franco-italiani,[45] il numero dei suoi soldati era andato in crescendo in seguito all'occupazione dell'Illiria.[46] La sconfitte autunnali avevano parzialmente contribuito ad assottigliare i ranghi,[47] ma l'arrivo di rinforzi dal fronte tedesco tra dicembre e gennaio aveva riportato il numero di soldati a circa 55000 unità.[48][N 3] Di queste, una consistente parte, circa 17000 unità totali,[49] fu impiegata per bloccare le fortezze di Mantova e Peschiera, la prima sotto il generale von Heldenfeld mentre la seconda sotto Vlašić,[50] mentre una brigata sotto il comando di Stanissavlevich era impegnata sul lago d'Idro.[51] Quindi. complessivamente, sulla linea del Mincio Bellegarde non aveva più di 35000 unità di fanteria e 3500 di cavalleria.[49][N 4] Differentemente dai franco-italiani, le truppe di Bellegarde erano in buon numero veterani o comunque soldati ben addestrati.[43]

Il 7 febbraio il quartier generale austriaco fu spostato da Verona a Villafranca.[31] La disposizione delle forze austriache per il giorno della battaglia fu la seguente:

  • Sommariva ricevette l'ordine di recarsi sulle alture di Castelnuovo e Salionze, minacciando di attraversare a Monzambano;[52]
  • von Radivojevich si posizionò a Valeggio, con l'ordine di attraversare il Mincio il giorno seguente con le brigate Bodagn e Steffanini;[53]
  • la brigata di Vécsey avrebbe formato l'estrema sinistra dello schieramento e si sarebbe stabilita a Pozzolo, con il corpo di von Heldenfeld a fare da riserva se necessario;[54]
  • Pflacher si posizionò dietro a Valeggio, sostenendo von Radivojevich.[55]
  • Merville, originariamente posto a fianco di Pflacher, ricevette a Sommacampagna nella notte tra il 7 e l'8 l'ordine di spostarsi su una piccola altura dietro a Pozzolo.[55][56]

Inoltre, fu chiesto a von Heldenfeld di mantenersi il più vicino possibile alla sponda del Mincio nei pressi di Mantova e valutare un possibile attraversamento delle sue truppe nei pressi di Goito.[55]

La battaglia

I primi scontri tra Cereta e Monzambano

Piano di battaglia

La notte tra il 7 e l'8 febbraio trascorse tranquilla, con entrambi gli eserciti a compiere gli ultimi spostamenti nel massimo silenzio. Mentre il generale Fressinet prendeva le sue misure per affrettare il raduno della sua divisione sulle alture di Monzambano, compì l'imprudenza di ritirare durante la notte gli avamposti stabiliti fino a quel momento sul corso del Mincio da Monzambano fino a Pozzolo, interrompendo ogni tipo di sorveglianza del fiume nei pressi di Valeggio. I cacciatori della brigata Steffanini, senza farsi notare e senza incontrare la minima resistenza, presero posizione sulla sponda destra del Mincio tra le 3 e le 4 del mattino, iniziando la costruzione di un ponte di barche all'altezza dei mulini di Volta e riparando un ponte in pietra parzialmente distrutto dai francesi in precedenza.[57][58] Mentre le brigate Steffanini e Bogdan superavano senza incidenti il Mincio a Valeggio e a Borghetto, il generale Vecsey aveva fatto lo stesso più a valle, a Pozzolo: costruito un ponte di barche e fatto guadare il fiume dalla cavalleria, si apprestò a giungere sulla riva sinistra del Mincio con la sua brigata, operazione compiuta senza intoppi verso le 9:30 del mattino.[59][58]

I primi scontri tra le due fazioni non tardarono ad arrivare: nei pressi di Valeggio, la cavalleria austriaca attaccò le ultime posizioni della retroguardia di Fressinet, nei pressi di Olfino. Mentre un battaglione di fanteria e due squadroni a cavallo respingevano gli austriaci, Verdier si recò di persona ad Olfino a monitorare la situazione, molto più grave del previsto: l'intero corpo di von Radivojevich e la testa della divisione di Pflacher erano a Valeggio. Verdier ordinò immediatamente a Fressinet di cessare il proprio movimento e di organizzare una linea di difesa tra il monte Oliveto ed il Mincio, posizionandosi dietro al torrente che scorre ad Olfino. Al generale Palombini fu ordinato di tornare a Peschiera.[60][61][62] Pochi chilometri più a nord, Fenner era giunto nei pressi di Monzambano ma, trovando il letto del fiume troppo profondo e fangoso per attraversarlo immediatamente, decise di sorbegliare la sponda del fiume in attessa dell'arrivo di Sommariva.[63]

Mulini sul Mincio a Borghetto

Allo stesso tempo, la cavalleria di Vécsey si era addentrata nel territorio francese ed aveva incontrato tra Cereta e Cerlongo alcuni reparti della brigata del generale Bonnemains privi di alcuna scorta: un fulmineo attacco degli ulani mise in fuga i francesi.[59][58] Parte di questi giunse a Goito, dove si diffuse la notizia dell'arrivo degli austriaci, alimentando il panico. Solo la disciplina impedì loro di abbandonare la postazione.[59] In quel frangente, a Pozzolo giunse la divisione di Merville, che a seconda dei casi avrebbe dovuto rinforzare Vécsey o von Heldenfeld. Trovando l'ambiente tranquillo e sentendo i colpi dei cannoni di Radivojevich allontanarsi, si convinse dell'andamento favorevole della battaglia e si piazzò con su una piccola altura a nord di Pozzolo, schierando in due linee prima i granatieri di Stutterheim e poi 10 dei 40 squadroni di Wrede.[64][58][65]

La cavalleria austriaca riferì a von Radivojevich della presenza e della posizione dei franco-italiani. Bogdan inviò due reggimenti per scacciarli: dopo un iniziale successo contro la prima linea di Verdier, questi furono messi in difficoltà e costretti a richiedere ulteriore supporto. Nonostante l'intervento della cavalleria del tenente colonnello Bretfeld, gli austriaci furono costretti a ripiegare. Fu allora che le forze asburgiche appresero di avere contro l'intera divisione di Fressinet ed un'ulteriore brigata.[64] Verdier volle approfittare del vantaggio per occupare il monte Oliveto, cosa che non aveva ancora fatto, ma ormai era già troppo tardi: Bellegarde era stato informato da Radivojevich del passaggio a Valeggio e da Vécsey che non vi era traccia dei francesi sul quel versante del fiume. Bellegarde inviò il generale Best oltre il Mincio ad occupare la catena di alture che si estende fino al monte Oliveto e allo stesso tempo Vécsey si diresse in supporto del centro austriaco.[66] Entrambi arrivarono prima che Verdier occupasse l'altura e riuscirono a mantenerne il possesso per il resto della giornata. Verdier, osservando i movimenti austriaci, rinunciò all'offensiva ed arretrò la propria posizione, posizionando la divisione di Fressinet dietro al canale Redone, ai piedi del monte Giacomotti. L'unico reparto austriaco rimasto a Valeggio era la brigata di Quosdanovich.[67] Sfruttando la superiorità numerica, von Radivojevich voleva aggirare la destra di Fressinet e scalzarlo dalla sua posizione. Questo piano fu sventato dal generale francese, grazie al valore dimostrato dalle truppe e ad una batteria perfettamente piazzata sul monte Giacomotti. L'attacco del centro austriaco fu quindi efficacemente bloccato dagli uomini di Verdier.[68][62]

La sinistra austriaca sotto attacco

Rappresentazione di uno scontro tra squadroni di dragoni

Mentre i combattimenti al centro proseguivano, nulla fece sospettare a Bellegarde la propria sinistra, formata da von Heldenfeld, Merville e Vécsey, potesse essere in pericolo. Ad ogni modo, prese la precauzione di inviare il tenente Kohl a fare rapporto sulla condizione della propria ala sinistra. Questi prima raggiunse Merville, dove constatò non vi fosse alcun movimento francese, e ripartì in direzione di Marengo una volta appresa la strada. Pochi minuti dopo la sua partenza da Pozzolo, le prime sparatorie, provenienti dai poderi di Malavicina, iniziarono a farsi sentire. Infatti, il viceré Eugenio, non avendo ricevuto notizia dell'attacco austriaco, aveva iniziato la propria manovra offensiva,[69] attraversando il ponte di Goito e dirigendosi verso Roverbella.[70] Le forze austriache su quel lato erano particolarmente vulnerabili: non solo erano estese su un fronte così lungo da non potersi sostenere a vicenda, ma una parte della divisione al comando del generale Watlet (precisamente un battaglione del reggimento Reisky, mezza batteria ed uno squadrone di dragoni Hohenlohe), era stata incaricata di marciare da Marengo verso Goito, indebolendo ulteriormente la posizione austriaca nei pressi di Mantova. Giunto a metà strada tra Goito e Marengo, Watlet notò le due colonne francesi di Eugenio dirigersi da Goito verso Massimbona. Il generale austriaco fermò immediatamente il proprio movimento ed aprì il fuoco sulla seconda colonna, la più piccola delle due, composta da soli tre battaglioni e 450 uomini di cavalleria. Nel frattempo, le forze francesi di Zucchi e Grenier attaccarono tutta la linea degli avamposti austriaci che avrebbero dovuto contribuire al blocco di Mantova.[69] La schiacciante superiorità numerica dei francesi permise loro di rovesciare piuttosto rapidamente gran parte delle postazioni austriache. Quelle che resistettero al primo attacco furono presto circondate dalla cavalleria e costrette a deporre le armi.[71]

Fanteria austriaca

L'avanguardia di Bonnemains collegava la colonna di Eugenio a quella di Grenier, che seguiva la strada tra Mantova e Verona e intendeva unirsi alla colonna del viceré, mentre Zucchi, percorrendo la strada verso Castiglione Mantovano, cercava di aggirare la sinistra delle forze di blocco austriache.[71] Nel frattempo, la sinistra austriaca era in totale crisi: quasi tutti gli avamposti erano stati rovesciati; le comunicazioni con le brigate di Fölseis ed Eckhardt erano interrotte e Watlet, sopraffatto dalla colonna francese, per non essere aggirato dovette abbandonare la posizione e ripiegare su Roverbella, dove i francesi arrivarono poco dopo. Von Heldenfeld compì la drastica scelta di rinunciare a difendere Roverbella e ripiegò su Mozzecane, non senza fatica, con le truppe restanti.[71][72] I francesi, che avevano appena preso 500 soldati e 12 ufficiali austriaci, proseguirono nella loro marcia, non sapendo nulla del movimento di Bellegarde a causa della fitta nebbia presente in pianura, nella convinzione di trovare il centro dell'esercito austriaco ancorato a Villafranca. L'avanguardia di Bonnemains fu incaricata di andare in avanscoperta a Belvedere mentre le colonne di Eugenio e Grenier avanzavano parallele, seguite sul fianco da Zucchi,[73] che stava marciando verso Pellaloco.[72]

Eugenio voleva aspettare Verdier, che non era ancora arrivato alla posizione stabilita, fece andare avanti Grenier verso Verona, mentre egli si sarebbe avvicinato al punto in cui Fressinet avrebbe dovuto attraversare il Mincio. Fece svoltare la divisione di Quesnel tra Quaderni e Belvedere, facendone coprire la sinistra dalla brigata di cavalleria di Perreymond, che avrebbe percorso la strada tra Marengo e Valeggio, passando per Pozzolo.[73] Mentre von Heldenfeld si preparava a ritirarsi a Mozzecane, intendendo bloccare la strada che conduceva a Villafranca, ove si trovavano tutti i bagagli, le provviste e la riserva dell'artiglieria austriaca, Eugenio iniziò a sentire i primi colpi di cannone provenienti dalla posizione di Verdier. Salito sulle alture di Massimbona, non appena diradata la nebbia, fu pienamente in grado di constatare che gli austriaci stavano attaccando in forze la sua sinistra, notando anche il movimento di una colonna austriaca da Borghetto verso Monzambano.[72]

La nuova strategia del viceré Eugenio

Si può intuire quale ansia e quali timori assalirono improvvisamente il viceré a quella vista. Capì subito cos'era accaduto e quali pericoli stava correndo la sua armata. Verdier era isolato, egli stesso correva il rischio di essere assalito da Goito. Tornare indietro significava perdere 6 ore buone di tempo prezioso e le 10 erano già passate da un pezzo, inoltre le truppe si sarebbero sfiancate per la contromarcia, Zucchi poi si sarebbe trovato scoperto alla propria sinistra; meglio proseguire dunque ma ora non più su Villafranca bensì su Valeggio. D'altra parte Verdier e le truppe che combattevano alla testa di ponte di Monzambano, in caso di insuccesso, potevano sempre trovare rifugio a Peschiera e lui, in una evenienza simile e privato del passaggio di Goito, poteva farlo su Mantova. Un rischio calcolato dunque che gli permetteva per il momento di agire offensivamente con tutte le sue truppe e con quelle che erano uscite da Mantova. Non era poi detto che da Peschiera il generale Palombini riuscisse a prendere sul rovescio il nemico che stava sulla sponda destra del fiume. In ogni caso la prima cosa da fare era proteggere il ponte di Goito guardato solo da pochi uomini rinchiusi nel ridotto fortificato.

Mandò indietro la compagnia della Guardie d'onore con l'incarico di rendersi conto della situazione e fare un'esplorazione in direzione di Volta. Saputo da queste che a Cerlungo scorrazzavano quegli ulani che abbiamo visto catturare il convoglio della brigata Bonnemains, il viceré ordinò alla Guardia reale di accorrere a Goito per presidiare il ponte e difenderlo ad ogni costo.

Presa la decisione di lasciare l'ala sinistra a cavarsela da sola, il viceré ordinò alle sue truppe di fare una conversione a sinistra per dirigersi su Valeggio. Egli tuttavia trascurò di far seguire il medesimo movimento alle truppe uscite da Mantova che così, proseguendo la loro marcia in direzione di Villafranca, si sarebbero distaccate sempre di più dal grosso. Quest'ultimo puntò dritto su Pozzolo dove già si trovava, con la fonte rivolta al Mincio, la divisione di riserva austriaca Merville. I suoi due battaglioni a 4 compagnie stavano alle ali (Faber e Purczell) gli altri tre, a 6 compagnie, erano schierati al centro (brigata Stuttenheim). Dietro ad essi, in seconda linea, i 10 squadroni dragoni della brigata Wrede, 4 del reggimento Hohenlohe e 6 di Savoia. A guardia del ponte di Pozzolo Vecsey aveva lasciato 2 squadroni di ulani con mezza batteria a cavallo (3 pezzi). Un terzo squadrone era stato mandato verso Goito sia per accertarsi che non vi si trovassero truppe nemiche sia per stare in guardia da possibili sortite da Mantova. Siccome Pozzolo era troppo importante per la brigata Vecsey, questo generale fece chiedere a Merville un apporto di fanteria per rinforzare il presidio al ponte. Merville accondiscese e dislocò sulla sponda destra del fiume il battaglione Purczell. Dall'altra parte del fiume rimasero gli altri 4 battaglioni di granatieri (22 compagnie pari a 2686 uomini) e circa 1200 dragoni.

Gli scontri tra le opposte cavallerie

Quando Merville giunse da Quaderni nei pressi di Pozzolo, la divisione Radivojevich era sul punto di superare il fiume a Borghetto. In tutta la zona la calma regnava assoluta ma poi, una volta diradata la nebbia, si udì distintamente il rumore dei primo scontro tra gli ussari di Bretfeld ed il nemico, rumore che si allontanò sempre di più verso Olfino. Oltre il fiume si perse di vista anche la retroguardia di Vecsey in marcia verso ovest. Dato che Pozzolo era al sicuro da tutte le provenienze, Merville ordinò ai granatieri di posare i fucili in fascio e alla cavalleria di mettere piede a terra. Appena date queste disposizioni si udì da sud (dalla parte di Goito dunque) un intenso rumore di fucileria che però finì quasi subito e tutto tornò calmo come prima. Gli alberi e la vegetazione impedivano di vedere in lontananza e perciò non si poté appurare l'origine di quegli spari. Da Valeggio anche Bellegarde aveva udito la fucileria e preoccupato per il suo fianco sinistro, spedì da quella parte un suo ufficiale per avere notizie delle truppe incaricate del blocco di Mantova. Questi passò per Pozzolo dove Merville gli indicò la strada da percorrere, poi, appena l'ufficiale mandato da Bellegarde si fu allontanato al galoppo, si udirono altri colpi d'arma da fuoco provenire da Corte Malavicino di Sopra, cioè quasi alle spalle della posizione dove erano schierati gli uomini di Merville. Subito i tamburi chiamarono gli uomini alle armi e per capire cosa stava succedendo da quella parte, Merville ordinò ad una pattuglia di dragoni di andare a perlustrare la zona. Poco dopo giunse a spron battuto l'ufficiale di Bellegarde annunciando che forti colonne nemiche si stavano avvicinando dalla parte di Massimbona. Poco dopo si scorse anche lo squadrone di ulani mandato verso Goito, frammisto a truppe nemiche di cavalleria con le quali stava combattendo. Si trattava del tenente colonnello Mengen che con un solo squadrone accettò lo scontro con gli uomini della brigata Perreymond, poi però sopraffatto dal numero, anche se rinforzato da due plotoni accorsi da Pozzolo, dovette ritirarsi combattendo in direzione del ponte.

Frattanto i 4 battaglioni di granatieri di Stutterheim si disposero ad affrontare le colonne nemiche che si stavano avvicinando. La cavalleria francese, visti i granatieri in formazione di battaglia che aprirono il fuoco contro di essa, ebbe qualche esitazione. Di ciò ne approfittò Merville che, messosi egli stesso in testa ai dragoni Savoia, attaccò la cavalleria nemica. Lo stesso fece il tenente colonnello Mengen con i suoi ulani che agirono sul fianco. Il 1º rgt. ussari francese appena uscito dalla formazione di colonna, attese da fermo l'attacco anziché correre incontro ai cavalieri nemici. Dragoni e ulani piombarono loro addosso scompaginandoli del tutto e disperdendoli. Il colonnello Narboni, che guidava in seconda linea i dragoni Regina, cercò invano di raccogliere gli ussari francesi, ma venne da essi travolto insieme con parte dei suoi uomini e trascinato via. Gli artiglieri franco-italiani (era la batteria del capitano Camurri) che non avevano avuto tempo di mettere in batteria i pezzi, vistisi abbandonati dalla propria cavalleria, tagliarono le tirelle dei cavalli e fuggirono con essi. Tuttavia uno solo dei pezzi poté essere portato via dagli Austriaci per mancanza di cavalli. L'euforia dell'inseguimento portò i cavalieri più avanzati a ridosso della fanteria nemica che naturalmente aprì il fuoco appena li ebbe a tiro. Anche il colonnello Narboni, raggruppati i suoi uomini, si buttò di nuovo nella mischia sostenuto dal fuoco dei quadrati della divisione Quesnel. Il vittorioso attacco dei dragoni Savoia rischiava di trasformarsi in una rotta rovinosa. Ma in quel momento intervennero i 4 squadroni Hohenlohe, tre davanti e uno in riserva, che, guidati dal loro colonnello Schlotheim, molto abilmente avvolsero alle ali i cavalieri nemici e li spazzarono via. I superstiti corsero in disordine verso la propria fanteria che si scompaginò. Da quel momento la brigata di cavalleria Perreymond cessò di essere operativa e per il resto della giornata non intervenne più sul campo di battaglia. Ciò costrinse il viceré Eugenio a richiamare da Goito la cavalleria della Guardia per non restare scoperto sul proprio fianco sinistro. Nel frattempo le truppe di seconda linea della divisione Quesnel, raccolti i compagni che si erano sbandati, riformò la propria linea di battaglia.

Merville sbarra il passo al principe Eugenio

Rappresentazione della battaglia del Mincio

Mentre avveniva il combattimento della cavalleria, la brigata di granatieri Stutterheim aveva operato un cambio di fronte a sinistra in modo tale che due battaglioni si schierarono per masse divisionali in prima schiera insieme con 4 pezzi di artiglieria, ed il resto, vale a dire 5 divisioni a massa anch'esse, in seconda. Tutta la manovra avvenne nel più perfetto ordine. Il fronte di battaglia andava da Pozzolo a cascina Ramelli con l'ala destra che si raccordava al battaglione Purczell schierato in difesa del ponte. Tutta la cavalleria fu mandata più indietro per formare la terza linea. Il terreno prospiciente era praticamente privo di ostacoli, a parte qualche filare di gelsi, favorendo così l'attacco e l'azione dell'artiglieria. Il luogotenente feldmaresciallo Merville si rese conto che le ali non si appoggiavano ad alcun sostegno adeguato e così fece avanzare sui due fianchi la cavalleria.

I successi che questa aveva riportato sulle sue prime linee e la vista delle truppe austriache schierate a battaglia pronte a fronteggiarlo, indussero il viceré Eugenio ad attendere l'arrivo di tutte le sue forze prima di proseguire l'avanzata. Ciò comportò una perdita di tempo di almeno tre quarti d'ora che favorì i movimenti dell'armata imperiale austriaca. L'offensiva del viceré consisteva nel sopravanzare il nemico sul lato destro (ala sinistra austriaca) in modo da avvolgerlo da quella parte e tagliarlo fuori da Villafranca, obiettivo della divisione Marcognet, e stabilire il contatto con quest'ultima.

Sul lato destro austriaco erano stati fatti avanzare i 3 squadroni di ulani del colonnello Gorczkovsky, mentre i dragoni della brigata Wrede vennero a trovarsi su quello sinistro. Questi, appena furono in vista delle truppe nemiche, le attaccarono confidando di ripetere il successo di poco prima, ma l'onnipresente 31º reggimento cacciatori a cavallo francese del colonnello Desmichel, che proteggeva i due battaglioni dell'intraprendente Bonnemains e che poco prima presso Belvedere si era impadronito di tutto il bagaglio del reggimento Chasteler, li assalì sul fianco costringendoli alla ritirata. La linea francese poté così portarsi avanti, prima i due battaglioni di Bonnemains, poi le altre truppe di Quesnel in modo da costituire un fronte unico. In seconda linea si collocarono gli uomini della divisione Rouyer, mentre da Goito giunse anche la cavalleria della Guardia italiana che andò ad occupare l'ala sinistra. Più indietro stava la malconcia brigata Perreymond che per quel giorno ne aveva avuto abbastanza. Una trentina di pezzi piazzati negli intervalli delle varie unità, si misero a battere le posizioni dei granatieri austriaci che, dal canto loro, disponevano di soli 4 pezzi.

I granatieri austriaci tengono testa alle truppe del viceré

A lungo andare il fuoco dei cannoni francesi, che avevano libero il campo di tiro, avrebbe messo fuori combattimento tutta la fanteria austriaca. Occorreva perciò fare qualcosa per uscire da quella situazione e dato che nessuno pensava di retrocedere non restava altro da fare che lanciarsi in avanti. Il battaglione Welsperg fu comandato di attaccare i cannoni al centro. Dietro di lui la seconda linea di granatieri si spostò verso sinistra allo scopo di proteggere il fianco dei compagni che si misero ad avanzare sotto il fuoco a mitraglia e riuscirono a raggiungere la linea dei cannoni.

Il contrattacco nemico non si fece attendere: un battaglione francese stava manovrando per assalire i granatieri di fronte e di fianco in modo da tagliare loro la via della ritirata. Ma il generale Stuttenheim aveva fatto avanzare altre compagnie di granatieri e nel punto dove si trovavano i cannoni la lotta divenne ancora più aspra e cruenta. Il nemico che avanzava sul fianco fu neutralizzato dagli uomini del tenente colonnello Chimany, mentre della cavalleria avversaria che voleva assalire il battaglione Welsperg si occupò con successo il capitano Dupuis con i granatieri del reggimento Saint Julien. Per ultimo giunsero sul posto anche gli uomini del battaglione de Best i quali aiutarono i compagni del battaglione Welsperg a disimpegnarsi. A quel punto le divisioni di granatieri si erano allineate tutte alla stessa altezza, ma Merville, volendo sottrarle al fuoco di artiglieria a cui erano sottoposte fin dall'inizio dei combattimenti, ordinò di retrocedere fino ai filari di gelsi che effettivamente offrivano qualche protezione. Le perdite erano state gravissime: i capitani von Thurn e Brambilla del battaglione Welsperg erano rimasti uccisi e molti altri ufficiali feriti.

Intanto il generale Bonnemains non aveva desistito dal tentativo di aggirare la linea austriaca sulla destra. Superate le cascine di Remelli e Vanoni piegò a sinistra per prendere di fianco le divisioni Simbschen e arciduca Francesco Carlo. Il 31º reggimento cacciatori sosteneva tale manovra ma il tenente colonnello Chimany accorse con la divisione Jallacic permettendo alle tre divisioni di granatieri di abbassare le baionette e attaccare la cavalleria avversaria. Due pezzi della mezza batteria prepararono il movimento bersagliando la cavalleria con cartocci a mitraglia. Approfittando dell'altimo d'incertezza che aveva colto i cacciatori francesi, le due compagnie Jellacic si buttarono loro addosso e in un attivo li fecero arretrare. Animati dal comportamento di queste due divisioni intervennero nel combattimento ravvicinato anche le altre compagnie di granatieri le quali, tramite fuoco di fucileria, baionette e calcio del fucile, ebbero ragione della cavalleria avversaria che si disperse.

I granatieri austriaci sono costretti ad arretrare

Una volta superate le poc'anzi citate cascine da parte delle truppe di Bonnemains, i dragoni della brigata austriaca Wrede si separarono sempre più dal fianco sinistro dei granatieri che dovevano proteggere, sia per trovare un terreno adatto per le loro manovre sia per affrontare più efficacemente un tentativo nemico di aggirare Quaderni. In questo modo tra le due unità austriache venne a formarsi un vuoto sempre più ampio tra fianco sinistro dei granatieri e la brigata Wrede. A quel punto i combattimenti entrarono in una fase che vide le opposte avanguardie impegnate, lungo tutta la linea, in nutriti scontri a fuoco a distanza, intervallati da qualche assalto all'arma bianca. La lotta si accendeva intorno a qualsiasi ostacolo del terreno dove trovare un appiglio per resistere, alberi, fossati, cumuli di sassi e addirittura siepi. In questo genere di combattimento in ordine sparso le truppe francesi erano avvantaggiate e nel complesso guadagnavano costantemente terreno. Nella falla che si era aperta tra il battaglione granatieri Faber (4 compagnie) ed i dragoni, il viceré spinse un battaglione della divisione Quesnel e ordinò nel contempo a tutta la sua linea di avanzare. Ciò costrinse il battaglione austriaco ad arretrare e tale movimento obbligò Merville a portare tutti gli altri battaglioni alla stessa altezza. Una nuova linea austriaca venne stabilita grosso modo tra la cascina Mazzi e l'abitato di Quaderni. Ciò ebbe il vantaggio di avvicinarsi ai rinforzi che il maresciallo Bellegarde aveva ordinato di mandare dall'altra sponda del Mincio e da Valeggio. Il ripiegamento avvenne nel massimo ordine, cedendo terreno solo palmo a palmo e opponendo al nemico sempre una dura resistenza.

Il combattimento intorno a Pozzolo

Scontri di cavalleria nel corso della battaglia

Il movimento retrogrado della linea austriaca lasciò scoperto l'approccio est del ponte di Pozzolo, dove il viceré fece dirigere i 4 battaglioni della brigata Forestier. In prima linea rimase l'altra brigata della divisione Quesnel (Campi), nonché tutta la divisione Rouyer, la cavalleria della Guardia, quella dei generali Bonnemains e Perreymond. Erano in tutto 17 battaglioni e 10 squadroni. Una riserva era costituita dalla brigata Forestier e da un'altra brigata fatta venire dalla divisione Marcognet che però giunse sul posto la sera inoltrata.

All'approssimarsi della brigata Forestier sulla sponda sinistra del fiume il tenente colonnello Purczell, perso il contatto con i compagni della sua brigata e non avendo forze sufficienti per contrastare il passo al nemico, si preoccupò di asportare alcuni elementi di ponte ancorati alla sponda sinistra e prese posizione dall'altra parte del fiume. Il fuoco dei suoi granatieri e dell'artiglieria che stava con loro favorì il ripiegamento dell'ala destra di Stutterheim, protetta dai tre squadroni di ulani e dall'artiglieria piazzata oltre il fiume.

Dal punto presso Cereta dove intanto era giunto il generale Vecsey, notato il movimento del nemico nei pressi di Pozzolo, sospese prudentemente la sua marcia di avvicinamento all'Oglio e chiese nuovi ordini.

Dal canto suo il viceré dispose di rinnovare la spinta offensiva partendo dalla linea Maffa – Vanoni avendo reso sicuro il fianco destro in direzione di Villafranca con l'occupazione di Vanoni, Ramelli e Malavicina di Sopra. Per contro il Merville fece disporre le sue truppe a circa mezz'ora di cammino da Valeggio nella speranza di vedere sboccare da quella parte i rinforzi. L'ala destra si appoggiava all'argine ad ovest della strada, quella sinistra a Mazzi che divenne così il punto d'appoggio principale di tutto il suo schieramento. Qui si trovavano gli uomini del reggimento Saint Julien e dietro ad essi, come sostegno, quelli di arciduca Carlo. I pochi pezzi disponibili si piazzarono all'ala destra, in prossimità della strada dove disponevano di un ottimo campo di tiro. Gli scontri divennero furiosi nelle località Mazzi-Campanella, punti di vitale importanza per gli Austriaci se volevano tenere il fronte. I granatieri respinsero tutte le ondate d'assalto portate dal viceré anche se uno alla volta vennero messi fuori uso i 4 pezzi che li appoggiavano. Per dare un attimo di respiro alle compagnie Saint Julien e Francesco Carlo, il generale Stutterheim ordinò alle altre compagnie Welsperg e de Best di contrattaccare il nemico che effettivamente venne buttato indietro, raccolto dalla sua seconda schiera. Ma il viceré, riconoscendo l'importanza strategica che aveva la cascina Mazzi, spinse avanti anche la divisione Rouyer, sostenuta da numerosa artiglieria, mentre Bonnemains marciava oltre Quaderni per cogliere sul fianco i granatieri austriaci. Questi, fortemente diminuiti di numero, dopo tre ore di accaniti combattimenti nel corso dei quali avevano assalito l'artiglieria e la cavalleria avversarie, senza riserve né soccorso alcuno e dunque mai sostituiti in prima linea, alla fine dovettero cedere nuovamente terreno. Il FML Merville ordinò di retrocedere fino alla case Foroni cosa che avvenne lentamente, sempre combattendo, a scaglioni e per masse divisionali, cosicché le cascine Mazzi, Campanella e Pasini caddero in mani nemiche.

L'arrivo di rinforzi austriaci da Valeggio

Il maresciallo Bellegarde evidentemente riteneva ancora che lo scontro decisivo dovesse avvenire ad ovest del Mincio, tanto che non fece muovere da Valeggio la brigata Quosdanovich, la quale, invece, aveva continuato a mandare sue truppe di rinforzo ai reparti che combattevano ad ovest del fiume. A lungo andare il comandante in capo delle forze austriache si rese conto che il fulcro della battaglia doveva essere cercato sulla sponda sinistra del Mincio e non su quella destra. Peraltro il rumore dei combattimenti giungeva insistentemente non solo da Mozzecane ma anche da Belvedere e si estendeva fino a Pozzolo. Era ormai evidente che su quel fronte non combatteva solamente quella parte di armata avversaria uscita da Mantova, bensì forze ben più consistenti che indubbiamente avevano il compito di prendere Valeggio con l'intento di tagliare in due la linea austriaca. Fu così che le truppe rimaste a Valeggio furono fatte gravitare più a sud e così si fece anche con una batteria da 12 libbre della riserva. Al luogotenente feldmaresciallo Sommariva si ordinò poi di non far transitare alcuna truppa al di là del fiume, anzi di cominciare a mandare qualche sua unità verso Valeggio. Al luogotenente feldmaresciallo Mayer fu fatto pervenire l'ordine di tenere fino all'ultimo uomo la posizione di San Zeno in Mozzo.

Dunque i rinforzi per le truppe di Merville sarebbero ben presto arrivati anche se in numero inadeguato come vedremo. Per il viceré era ormai sfuggita l'occasione di battere a forze riunite le truppe austriache a sud di Valeggio e di impossessarsi così del loro unico passaggio sicuro sul fiume che avevano. Egli lasciò marciare le sue unità di destra a ventaglio facendole così distanziare una dall'altra, mentre se si fossero trovate a combattere più raggruppate avrebbero potuto sostenersi vicendevolmente, anziché agire ognuna per conto proprio come di fatto accadde. Infatti Zucchi, che combatteva all'estrema ala destra franco-italiana tra Molinella e Due Castelli, non poté coadiuvare la divisione Marcognet quando questa, conseguiti alcuni successi iniziali a Roverbella, spinse una sua brigata a Mozzecane (l'altra rimase in riserva) ma non poté procedere oltre perché arrestata dalle truppe del Mayer. Al centro del fronte la brigata Vecsey, che agiva sulla destra del Mincio, rappresentava una serissima minaccia per la guarnigione francese di Goito, mentre a Monzambano Verdier era completamente tagliato fuori. Come si vede la situazione dei franco-italiani non era delle più rassicuranti e fortuna volle che il luogotenente feldmaresciallo Radivojevich avesse sospeso gli attacchi per attestarsi sulle alture di Monte Oliveto, dove rimase fino a sera. Egli aveva ricevuto ordine di mandare due suoi battaglioni sulla sponda sinistra in modo da rafforzare la posizione di Valeggio e agire verso meridione contro le truppe del viceré.

In quanto a Quosdanovich, due suoi battaglioni del reggimento Koburg erano andati di rinforzo a Mozzecane cosicché ora disponeva degli altri due battaglioni di quel reggimento e due di Saint Julien, oltre ad una batteria a piedi. Il maresciallo non ritenne di mandare queste truppe tutte insieme in aiuto di Merville ma vi destinò solo i due battaglioni Saint Julien con la batteria di brigata, seguita da due altre batterie della riserva. Tale rinforzo, consistente in fatto di artiglieria, ma piuttosto debole come fanteria, giunse proprio quando la divisione Merville stava completando il suo nuovo schieramento all'altezza di cascina Foroni. Erano circa le 15:30. Come è facile intuire l'apparire del tanto sospirato aiuto riportò la fiducia agli stremati granatieri. Merville organizzò subito un contrattacco per non lasciare tempo alle truppe del viceré di rinforzarsi alle cascine Pasini e Mazzi, vere chiavi di volta di tutto il dispositivo sia austriaco che franco-italiano che avrebbero permesso di conseguire un vantaggio decisivo sia per una che per l'altra parte in lotta. Il generale Quosdanovich guidò i due battaglioni Saint Julien alla sinistra dei granatieri, in posizione un po' più avanzata rispetto a loro. Ancora una volta ecco dunque i granatieri eseguire un attacco frontale contro i loro avversari, mentre i due battaglioni Saint Julien lo fecero sul fianco destro. Le divisioni arciduca Carlo e Hohenlohe furono le prime a scontrarsi coi Franco-Italiani al centro, mentre il battaglione Chimany riconquistò di slancio cascina Mazzi.

L'avanzata del principe Eugenio è arrestata davanti a Foroni

Carica di ulani austriaci

Molti erano i caduti tra gli ufficiali imperiali, ma le schiere dei Franco-Italici cominciarono a vacillare e numerosi fuggiaschi già punteggiavano la campagna a tergo della loro linea. Tuttavia il viceré, chiamata a sé la divisione Marcognet, la fece dirigere contro il fianco sinistro di Merville. Le punte avanzate delle sue colonne vennero avvistate verso le h 5 di pomeriggio davanti a Quaderni. Tutta la linea del viceré Eugenio riprese così ad avanzare e la cascina Mazzi, nuovamente investita, cadde in potere dei franco-italiani che minacciarono il reggimento Saint Julien sul fianco sinistro. Il generale Quosdanovich, nel tentativo di riconquistare quell'importante baluardo, venne colpito alla testa e portato via dal campo di battaglia. La linea Franco-Italiana si portò di nuovo verso Foroni dove i contrattacchi eseguiti alla baionetta dagli austriaci ed il fuoco della loro artiglieria impedirono alle truppe del viceré di procedere oltre.

Sul posto si era portato anche il maresciallo Bellegarde che finalmente aveva riconosciuto l'importanza del settore meridionale del suo fronte. Dopo ore di combattimenti e di assalti continui, le file dei granatieri si erano fortemente diradate. Molti gli ufficiali caduti o feriti. Tra questi ultimi i tenenti colonnelli Faber e de Best; le divisioni dei reggimenti Simbschen e Lusignan avevano perduto tutti gli ufficiali ed ora erano comandate da sergenti maggiori. Le cartucce scarseggiavano ed a Foroni fu grazie al fuoco a mitraglia dei cannoni che il nemico poté essere tenuto a distanza. A Mazzi, per liberarsi delle insistenti puntate offensive dei franco-italiani, i granatieri si prodigarono in un ennesimo attacco frontale spinti solo la forza della disperazione. Il generale Stuttenheim conduceva i suoi uomini sostenuti dal fuoco dei cannoni della riserva che rimpiazzarono quelli messi fuori combattimento negli impari duelli di artiglieria di poco prima. Alle ali si erano piazzati altri cannoni delle batterie giunte di rinforzo. Il combattimento continuò in questo modo per diverso tempo senza che una parte riuscisse a prevalere in maniera decisiva sull'altra. Il sole era già sceso all'orizzonte e la divisione Merville stava per essere aggirata di nuovo sul proprio fianco destro, quando davanti a Foroni giunsero due battaglioni Gran Maestro che prima avevano preso una posizione di rincalzo a Campagnola. Il colonnello Ertmann che li comandava, vedendo subito quanto critica era la situazione per gli imperiali, non esitò a dare l'ordine di attaccare immediatamente. I granatieri, vedendo quel provvidenziale soccorso, si rianimarono e urlando il loro saluto ai compagni del reggimento di Vienna si riportarono in avanti assieme a loro. Tutta la zona di Foroni venne liberata dalla presenza delle truppe avversarie che vennero anche inseguite per un tratto. Sul posto giunsero poco dopo anche 1 battaglione Koburg (brigata Quosdanovich) e 2 battaglioni Beaulieu (brigata Bogdan) oltre ad un paio di squadroni di ussari Stipsics (brigata Paumgarten).

I combattimenti di Mozzecane, Pellaloco e Peschiera

Mentre si combatteva a sud di Valeggio, in quello che era diventato il fronte principale, più ad est il luogotenente feldmaresciallo Mayer con le truppe che gli erano rimaste, vale a dire tre battaglioni del reggimento Splény più alcuni reparti che erano sfuggiti all'accerchiamento degli avamposti, si frappose alle truppe del generale Zucchi che tentavano di raggiungere Villafranca. Un paio di compagnie del reggimento Splény, che erano riuscite a passare tra le maglie della brigata Bonnemains, avevano partecipato, quale estrema ala sinistra della divisione Merville, alla difesa di Remelli e Quaderni. Ora davanti a Mozzecane si trovava il GM Watlet con 3 battaglioni, 2 squadroni e mezza batteria. Dietro ad essi era dispiegata la brigata di cavalleria Spiegel. Più lontano, a chiudere Mantova da est, era sparpagliata la brigata Eckhart, anch'essa facente parte delle truppe di blocco. Una volta radunate, le sue forze avrebbero avuto buone possibilità di manovra per costituire una seria minaccia sul fianco destro del generale Zucchi. Il barone Mayer, che proveniva dallo stato maggiore generale e a Würzburg si era guadagnato la croce dell'Ordine di Maria Teresa, era un soldato troppo esperto per non capire che con un atteggiamento puramente difensivo avrebbe lasciato l'iniziativa all'avversario e a lungo andare sarebbe stato costretto a ritirarsi.

Il generale Zucchi aveva occupato con 3 battaglioni di fanteria e qualche plotone di cavalleria il piccolo nodo stradale di Pellaloco sulla strada di Villafranca. Tra l'altro da quella posizione le truppe franco-italiane, se opportunamente guidate e con un cambio di direzione a sinistra (ovest), avrebbero potuto piombare sul fianco della divisione Merville. Del resto quella manovra era stata compiuta prima da una brigata della divisione Marcognet, chiamata dal viceré Eugenio ad operare contro Valeggio. Dato che il nemico non sembrava dispiegare una grande energia per procedere decisamente su Villafranca e Watlet non aveva difficoltà a sostenersi a Mozzecane contro Marcognet, il barone Mayer decise di assumere l'iniziativa agendo offensivamente su Pellaloco. Per questo compito si designarono 10 compagnie del reggimento Splény: 6 di esse, cioè un battaglione, avrebbero dovuto attaccare di fronte e 4 sul fianco. Ben guidate dai propri ufficiali, le 10 compagnie assalirono con decisione le truppe del generale Zucchi che furono costretto a ripiegare fino a Castiglione Mantovano. I combattimenti proseguirono all'interno dell'abitato e a Due Castelli. Ciò bastò per rimanere in quelle posizioni fino a sera. Dopo avere ripreso possesso di quel nodo stradale, il generale austriaco si sentì abbastanza forte per mandare oltre Malavicina di Sopra 4 compagnie Splény, allo scopo di portare un aiuto concreto alle truppe di Merville e ristabilire il contatto con esse.

In quanto alle truppe di Peschiera, all'estrema ala sinistra francese, il generale Palombini non poté fare altro che una semplice sortita respingendo davanti a sé i posti di guardia nemici. Appena oltre Mandella, tra questa località e Cavalcaselle, l'opposizione della brigata Vlasits, sostenuta da una parte della divisione Fenner, lo fece desistere da qualsiasi proposito offensivo. Non erano passate le h 2 di pomeriggio che le truppe franco-italiane della guarnigione erano rientrate tutte nella fortezza.

Le posizioni assunte a fine giornata

È incontestabile infatti che la divisione Merville abbia combattuto per cinque ore da sola, solo più tardi aiutata da 4 battaglioni di fanteria con alcune batterie, nello spazio di terreno che va da Pozzolo fino a Foroni località questa che rimase definitivamente in mano austriaca. Il merito della difesa del terreno a sud di Valeggio va ascritto ai granatieri ed ai dragoni e il loro comandante, barone Mauroi de Merville, meritò ampiamente l'Ordine di Maria Teresa che gli venne conferito, avendo salvato, grazie al suo valoroso comportamento, l'intero esercito del maresciallo Bellegarde da una possibile disfatta.

Le due parti in lotta si trovarono a combattere su fronti semirovesciati che si rispecchiavano quasi esattamente sulle due sponde del fiume Mincio. Furono delle posizioni insolite per una battaglia che nella storia difficilmente presentano riscontri analoghi. Presso Monzambano il luogotenente feldmaresciallo Radivojevich aveva cercato in tutti i modi di aggirare il nemico sulla sinistra, mentre sulla destra il fiume impediva di compiere qualsiasi manovra. Il generale francese Verdier che qui aveva il comando, si limitò a tenere le sue truppe sulla difensiva, vuoi per sua insufficiente azione di comando vuoi perché costretto dal nemico. A sud di Monzambano i due schieramenti correvano lungo il corso del torrente Redone, divisi solamente da una sottile striscia di terreno che l'artiglieria francese teneva costantemente sotto tiro. Tuttavia le truppe austriache da quella parte si trovavano in vantaggio non solo perché erano arrivate ad occupare tutto il terreno e le cascine prospicienti la testa di ponte, ma anche per il fatto che una parte dell'abitato era caduta in mano loro. Ad ogni modo la divisione Fressinet oppose qui, al pari della divisione austriaca Merville dall'altra parte del fiume, una strenua ed eroica resistenza impedendo al nemico di progredire. Alla difesa di Monzambano contribuì il presidio italiano mandato da Peschiera dal Palombini.

Questa situazione venne a modificarsi quando il comandante in capo austriaco, fatti distaccare alcuni battaglioni da mandare in aiuto alla divisione Merville, ordinò di assumere un atteggiamento più difensivo e spostarsi in posizioni più arretrate ma vantaggiose sulle alture di monte Oliveto e Olfino. In questo modo l'accesso di Borghetto era protetto dalla provenienza di Monzambano e ciò rendeva sicura la marcia di ripiegamento della brigata Vecsey alla quale, nel frattempo, era stato ingiunto di tornare sui suoi passi. Lo stesso doveva fare la brigata Steffanini davanti a Borghetto.

Dato che lo spostamento al di là del Mincio dei due battaglioni (Gran Maestro dell'Ordine Teutonico) non poteva passare inosservato, ne approfittò il generale Verdier per prendere l'offensiva contro le alture. I suoi tentativi però rimasero sempre infruttuosi.

Il generale Vécsey, ricevuto l'ordine di tornare indietro, ripercorse a ritroso la strada che lo avrebbe portato a ripassare il Mincio a Pozzolo, ma vedendo ciò che era accaduto al di là del fiume, prese la direzione di Valeggio. Il maggiore Purczell rimase al suo posto fino alla mezzanotte poi, isolato e senza ordini, temendo di essere infine catturato, risalì il fiume fino a Valeggio portandosi dietro la mezza batteria. Queste truppe e quelle della brigata Steffanini presero posizione nel tratto di terreno antistante Borghetto. Qui, a sera inoltrata, dalle posizioni di Monte Oliveto confluirono anche le truppe del luogotenente feldmarescillo Radivojevich con le brigate Bogdan e de Best. Per ordine del maresciallo Bellegarde a Olfino rimase solo una retroguardia e a est di Borghetto fu lasciata solo la brigata Steffanini rinforzata da due battaglioni Gran Maestro, a tutte le altre truppe fu ordinato di spostarsi sulla sponda sinistra del fiume. La divisione Radivojevich mise il campo a Valeggio dove si sistemò anche il quartier generale. Il luogotenente feldmaresciallo Sommariva rimase a Salionze e la brigata Vlasits ritornò a controllare gli approcci di Peschiera da est.

Verso le ore 3 di mattina del giorno 9 vennero richiamati anche i picchetti di Olfino ma senza spegnere i fuochi dei bivacchi per far credere al nemico che le alture arano ancora presidiate. La linea degli avamposti della brigata Steffanini correva ora per Ca' dei Boschi (a nord di Pozzolo), Montaldo, Monte Frati, Fenilazzo, La Gobbina e si raccordava con le altre truppe sopra monte Piva. A Borghetto i pionieri del maggiore Wirker sistemarono a difesa la cinta esterna di case. Insomma si approntò tutto in vista di proseguire la lotta l'indomani in posizioni più rispondenti al manuale di tattica militare.

Anche il viceré Eugenio corresse l'andamento del suo fronte. La sera, dopo la battaglia, le sue truppe erano schierate come segue: la divisione Zucchi stava dietro a Castiglione Mantovano, Marcognet davanti a Roverbella, la brigata Bonnemains tra questa località e Pozzolo, le divisioni Rouyer e Quesnel tra Roverbella e Cascina Aldegatti con la fronte rivolta verso Valeggio, la brigata Perreymond e la cavalleria della Guardia stavano più indietro, a Marengo, mentre la fanteria della Guardia presidiava Goito e le sue adiacenze. La divisione Fressinet non si era mossa da Monzambano e Palombini stava sempre a Peschiera. La linea degli avamposti francesi correva da Pozzolo a Roverbella. Già prima che albeggiasse il viceré, da Marengo dov'era, tornò a Goito. Protette dalla brigata Bonnemains, che da avanguardia era diventata retroguardia, le truppe franco-italiane si portarono tutte sulla sponda destra del Mincio. Prima di mezzogiorno anche Bonnemains mise piede a Goito. La divisione Zucchi rientrò a Mantova insieme con la brigata di cavalleria Rambourg (la terza della divisione di cavalleria Mermet di cui facevano parte le brigate Perreymont e Bonnemains). Ora le truppe francesi, appoggiate con le ali alle fortezze di Peschiera e Mantova, occupavano posizioni più centrali atte a coprire le strade per Cremona e Brescia e a controllare tutta la linea del Mincio. Il quartier generale francese si spostò più centralmente a Volta.

Di fronte ad uno schieramento di questo tipo, con i passaggi principali del Mincio saldamente in mano al nemico e l'atteggiamento sempre incerto del re di Napoli, il maresciallo Bellegarde non aveva possibilità alcuna di forzare il fiume. In sostanza la battaglia non aveva cambiato praticamente nulla rispetto alla situazione del giorno 7, salvo far avvicinare di più al fiume le truppe austriache che prima si trovavano in posizioni più decentrate e piuttosto allargate e, soprattutto, tenere un piede sulla sponda destra del fiume con un passaggio attraverso cui far transitare l'esercito in caso di avanzata. Abbiamo visto che sulle alture davanti a Borghetto era appostata la brigata Steffanini con i suoi 4 battaglioni di fanteria, 6 squadroni ed una batteria. I due battaglioni Gran Maestro che stavano con lei erano stati mandati a riposare a Valeggio. Questo saliente naturalmente lasciava inquieto il viceré e un paio di giorni dopo tentò di eliminarlo (senza riuscirvi).

Conseguenze e bilancio

Alla fine della battaglia, entrambi gli schieramenti erano tornati alle loro posizioni iniziali.[74] Per quanto inizialmente entrambe le parti avessero reclamato per sé la vittoria, in realtà lo scontro era terminato con un costoso pareggio. Forse, ma solo parzialmente, i franco-italiani potevano considerare la battaglia come una parziale vittoria, essendo stato il loro scopo quello di rallentare gli austriaci fin dal principio, ed in ciò sicuramente riuscirono.[N 5]

Quanto alle perdite, le varie fonti inizialmente discordarono sul numero effettivo di caduti da ambe le parti, ovviamente facendo di ciò un mezzo di propaganda. Ergo, le fonti austriache gonfiarono i bilanci in loro favore, esattamente come fecero i francesi nell'altra direzione. Si stima, in realtà, che le perdite siano state di circa 3500-4000 uomini a testa.[1]

Il giorno 9, fu tentato nuovamente il passaggio del Mincio a Borghetto, ma Eugenio non si fece trovare impreparato ed inviò Grenier a gestire la cosa: gli austriaci furono nuovamente respinti sulla sponda destra del fiume.[75] Per tentare di aggirare la formidabile linea del Mincio, gli austriaci tentarono successivamente di passare tramite la Val Trompia e tramite Salò, ma vennero abilmente respinti dal generale Bonfanti.[76] Conseguentemente, constatata l'impossibilità di aprire un varco nelle difese franco-italiane, Bellegarde abbandonò, almeno per il momento, ogni offensiva, anche attendendo l'ingresso in guerra di Murat a fianco della Coalizione, cosa effettivamente accaduta il 15 febbraio.

Note

Note esplicative

  1. ^ Cfr. Vignolle, pp. 132-134. Viene menzionata la divisione di Bonfanti, che non figura tra i comandanti che combatterono sul Mincio e che in precedenza aveva già combattuto sotto Gifflenga contro gli austriaci in Val Trompia. Essendo Gifflenga partito alla volta di Napoli, si può supporre ragionevolmente che la divisione al suo comando non si sia mossa dalla propria posizione originaria.
  2. ^ Il numero effettivo dei franco-italiani è dibattuto. Si stima che fosse più o meno equivalente agli austriaci. Bodart lo colloca a 34000, Vacani addirittura a poco oltre i 40000.
  3. ^ Consideriamo in questo caso solo le unità sotto il suo diretto comando e non quelle distaccate tra l'Italia e la Dalmazia, come ad esempio il corpo di Nugent. In tal caso, le cifre sarebbero nettamente superiori. Cfr. Vacani, p. 14.
  4. ^ Alcuni autori, come Bodart, suggeriscono che il numero di effettivi per Bellegarde fosse leggermente più basso, attorno alle 32000 unità. In generale, si stima che gli eserciti fossero più o meno equivalenti.
  5. ^ Bodart, p. 471, attribuisce la vittoria ai francesi, in quanto furono gli austriaci a declinare ulteriori combattimenti.

Note bibliografiche

  1. ^ a b c d e Bodart, p. 471.
  2. ^ David G. Chandler, Le campagne di Napoleone, vol. II, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1992, pp. 1020-1021, ISBN 88-17-11577-0.
  3. ^ Coppi, pp. 16-20.
  4. ^ (EN) Andre Castelot, Castelot, Andre. (1991). Napoleon. Easton Press., Norwlak, Easton Press, 1991, p. 460.
  5. ^ Hugo, p. 113.
  6. ^ Cust, pp. 34-35.
  7. ^ Coppi, pp. 22-26.
  8. ^ a b Coppi, pp. 26-28.
  9. ^ Coppi, p. 20.
  10. ^ Coppi, p. 45.
  11. ^ a b Hugo, pp. 156-159.
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