Donna Anna Maria Falchi (o Falqui[1]) nacque a Bortigali nell'agosto 1824, da don Efisio e donna Maria Giuseppa Passino. Era quindi di famiglia nobile e benestante. Questa condizione privilegiata le aveva garantito un buon livello di istruzione, che certamente influì sulla sua produzione letteraria[2]. Sposò nel 1843 don Pietro Paolo Massidda (1812/1897), un ricco possidente di Santulussurgiu, che la seguì a Bortigali, di cui divenne anche sindaco, verso il 1850 e dal 1883 al 1887. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Efisio, Caterina, Nicolò[3], battista[4], Giomaria, Giuseppa Antonia. Morì a Bortigali, relativamente giovane, la sera di Natale del 1873, nella propria abitazione posta in Via Nazionale[5]
Le opere
Sotto il suo nome ci sono state tramandate sedici “Glossas”[2][6] e tre “Muttos”, grazie soprattutto ai quaderni manoscritti di Vittorio Mura di Santu Lussurgiu e Raimondo Pili di Seneghe[2]. La poesia che le ha dato maggiore notorietà è sicuramente “Lenta sonat sa campana”, citata da Nichita Ordioni Siotto[7] in un articolo de Il Giornale d'Italia del 16 aprile 1925[8] e pubblicata in riviste di poesia sarda[9]. Ma in tutte, come dice Giovanna Cerina[2]
«ci sorprendono gli accenti di una sensibilità moderna e la singolarità di valenze letterarie insospettate, particolarmente preziose per comprendere i modi di sviluppo della tradizione poetica in sardo attraverso i contatti e prestiti derivanti da una tradizione colta. Va sottolineato inoltre il particolare significato che ha il recupero della produzione in versi di una donna, presenza rara[10]nel contesto di una tradizione poetica in cui sono quasi del tutto dominanti le voci maschili.»
La biblioteca di Bortigali, nel 1999, ne ha curato la raccolta, con la pubblicazione del libro Glossas[2], curato da Giovanna Cerina[11], col testo critico di Maurizio Virdis[12] e con le traduzioni di Duilio Caocci[13].
La poesia "Lenta sonat sa campana"
(SC)
«Lenta sonat sa campana, tristu de morte un’ispiru, sonat de dantza unu giru, una chitarra profana.
Sa chitarra armoniosa dat pro su ballu trasportu, nos avvisat chi ch’at mortu, sa campana lamentosa e, sonende luttuosa, mustrat ch’ogni pompa est vana: ca cando si crêt lontana sa morte messat in giru, già chi de morte un’ispiru lenta sonat sa campana.
Fusu e a cordas filadu, unu e atteru est metallu, unu at sonadu unu ballu s’atteru a mortu at toccadu: su coro meu affannadu, ch’appena traet respiru, non pius da danza in su giru dêt sigundare su pe, ma dêt sonare pro me tristu de morte un’ispiru.
Chissà, Su chi hat formadu s’unu e s’atteru sonu, s’in cuss’ora su perdonu m’at a dare s’appo erradu, cando su coro, portadu de giovanile regiru, de su ballu in su deliru currìat s’ora festosa, ca sa chitarra briosa sonât de dantza unu giru.
Ca cando in sa gioventude sas festas nos faghen corte, no si pensat a sa morte, no si curat sa salude: bi cheret troppu virtude e fortza pius che umana, pro chi sa trista campana sa morte a pensare ispingat, cando su coro lusingat una chitarra profana.»
(IT)
«Lenta suona la campana
triste di morte un sospiro,
suona di danza un giro
una chitarra profana.
La chitarra armoniosa
dona al ballo trasporto
e ci avvisa che c’è un morto
la campana lamentosa;
poi suonando luttuosa,
mostra che ogni pompa è vana
perché, quando si crede lontana,
la morte miete in giro,
giacché di morte un sospiro
lenta suona la campana.
Sia fuso che a corde filato,
l’uno e l’altro è metallo,
uno ha suonato il ballo,
l’altro a morto ha rintoccato:
il cuore mio è affannato
e a stento trae respiro,
lesto nel giro di danza
non più seguirà il mio pie’,
ma suonerà per me
triste di morte un sospiro.
Chissà se Chi ha formato
l’uno e l’altro suono
in quell’ora perdono
mi darà se ho peccato,
quando il cuore portato
da follia giovanile,
nel delirio del ballo
seguiva l’ora festosa,
ché la chitarra briosa
suonava di danza un giro.
Ché quando in gioventù
le feste ci fanno la corte,
non si pensa alla morte,
non si cura la salute:
ci vuole troppa virtù
e forza sovrumana
perché la triste campana
a pensare alla morte ci spinga,
quando una chitarra profana
il nostro cuore lusinga[14].»
(Anna Maria Falchi Massidda, Glossas)
Note
^Secondo la dicitura “spagnola” riportata nel suo Atto di battesimo. Mentre negli Atti di morte – parrocchiale e comunale – compare il termine “italiano” Falchi. Nei documenti anagrafici relativi ai figli si trovano, senza una logica “temporale”, entrambe le versioni: per esempio, il figlio Nicolò nasce Massidda-Falchi nel 1847 e muore Massidda-Falqui nel 1918
^1847/1918. Insegnante, segretario comunale, ricoprì numerosi incarichi amministrativi: sindaco di Bortigali dal 1901 al 1905; consigliere comunale dal 1883 alla sua morte; assessore in varie legislature; membro di commissioni comunali
^Questo metro nacque in Spagna nell'ambito della cultura alta e si diffuse nei paesi dell'area ispano-americana. La sua struttura si compone di un ritornello di quattro versi e di quattro strofe – ognuna di dieci versi – che sviluppano i nuclei tematici enunciati, riprendendo in chiusura i versi del ritornello
^Letterato e giornalista. Collaborò negli anni venti con “L'Unione Sarda” e con “Il Giornale d'Italia”
^Raimondo Carta Raspi – Sardegna, terra di poesia – Editrice “Il Nuraghe”, Cagliari --- “Erbafoglio” – Rivista di cultura poetica – luglio 1997
^a Bortigali, comunque, si dilettava di poesia anche un’altra nota personalità, donna Placida Passino, “venerata” come cofondatrice della Congregazione delle Figlie di San Giuseppe di Genoni
^scomparsa nel 2009. Insegnante di Semiotica del testo nella facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari. Ha pubblicato numerosi saggi su scrittori sardi.
^Insegna Filologia Romanza nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Cagliari. Autore di numerosi saggi di argomento linguistico-letterario.
^Laureato in Lettere presso l'Università di Cagliari. Collabora regolarmente con le riviste Erbafoglio e La Grotta della vipera.
Anna Maria Falchi Massidda, Glossas, a cura di Giovanna Cerina, Cagliari, CUEC editrice, 1999, ISBN88-87088-58-6.
Raimondo Carta Raspi, Sardegna terra di poesia: antologia della poesia sarda, Cagliari, Edizioni della Fondazione il Nuraghe, 1929, ISBN non esistente.