Nella sua Historia LangobardorumPaolo Diacono parla della migrazione dei Proto-bulgari nel Benevento: sotto la guida del Khan Alcek andarono dal re dei Longobardi Grimoaldo I (662 – 671). Il re nominò Alcek Gastaldo e lo mandò dal figlio Romualdo I a Benevento. Alcek si stabilì con la sua gente a Sepino, Bojano e Isernia nel Molise.[1] Paolo Diacono però, non dà informazioni sulla provenienza dei Proto-bulgari di Alcek e mancano maggiori informazioni a riguardo.[2]
Un altro Khan di nome Alcek (Alciocus, forma latinizzata di Alcek) è noto agli studiosi. Questi fu a capo dei Proto-bulgari nel Khanato degli Avari. Una delle fonti principali a riguardo è la Cronaca di Fredegario. Nel 631 scoppiò la guerra fra i Proto-bulgari di Alcek e i capi Avari per il trono del Khanato, in cui i Proto-bulgari furono sconfitti e si trasferirono in Baviera. Il re franco Dagoberto I permise ad Alcek di stabilirvisi con la sua gente, ma diede l'ordine ai suoi comandanti di massacrarli di notte. I Bavaresi, allora dipendenti dai Franchi, attaccarono e trucidarono i Proto-bulgari. Secondo l'ipotesi dello storico tedesco Heinrich Kunstmann, i resti di quasi 6.000 morti non identificati rinvenuti nel XIII secolo nel cimitero dell'Abbazia di San Floriano, nella provincia dell'Alta Austria apparterrebbero proprio ai Proto-bulgari assassinati.[3][4] Dei 9.000 Proto-bulgari di Alcek soltanto 700 riuscirono a salvarsi dal massacro e ad attraversare le Alpi, per poi stabilirsi nelle terre italiane. Il re dei Longobardi Grimoaldo I nominò Alcek Gastaldo (governatore) e lo mandò dal figlio Romoaldo I a Benevento: lui vi si stabilì nel 668 con la sua gente e fondò le città di Saepinum (Sepino), Bovianum (Bojano) ed Esernia (Isernia) nel Molise. Quel piccolo gruppo proto-bulgaro si stabilì nella cosiddetta Pentapoli tra Venezia e Ravenna, per poi spingersi più a sud in Campania[5], fino ad arrivare nella zona[6] tra Bari e Metaponto di fronte all'isola di Sicilia. I nobili Proto-bulgari conservarono la coscienza delle proprie origini: Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum scrisse che i loro discendenti parlavano ancora il loro idioma originario, così come il latino.[7][8][9]
Ancora oggi i toponimi di questa zona italiana sono collegati ai Proto-bulgari del VII secolo. La popolazione italiana ha conservato costumi, usanze, cornamuse e parole propri dei Proto-bulgari.
Le tombe steppico-nomade, così come le sepolture equine databili dalla seconda metà dell'VIII secolo, attestano la presenza proto-bulgara nel Molise. Nel 1987-2007 a Vicenne (Campochiaro) è stata scoperta e studiata una grande necropoli proto-bulgara con la tomba di Alcek, i cui reperti sono conservati nel museo di Campobasso.[6][10]
L'8 giugno 2016 è stato inaugurato un monumento dedicato al Khan Alcek a Celle di Bulgheria, opera dello scultore bulgaro Dishko Dishkov.[11][12][13]
Anna Vlaevska-Stantcheva e K. Stantchev, 'Bulgaro' > 'Castro Bulgaro' > 'Borgo Vercelli' e la questione della presenza dei protobulgari nell'Italia altomedievale, in V. Dolcetti Corazza (a cura di), Vercelli tra Oriente ed Occidente, tra tarda Antichità e Medioevo, Torino, Ed. dell'Orso, 1998, pp. 117–158.
G. Palmieri, Vincenzo D'Amico: un erudito fra i Bulgari di Altzek, Jelsi e il Molise, in G. Palmieri e A. Santoriello (a cura di), Jelsi. Storia e tradizioni di una comunità, Foggia, Edizioni Enne, 2005, pp. 83–112.
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