Spandakārikā
La (o anche 'le') Spandakārikā è un'opera religioso-filosofica dello shivaismo kashmiro, attribuita a Vasugupta (VIII-IX sec. CE), o più probabilmente a un discepolo di costui, Bhaṭṭa Kallaṭa (IX sec. CE), fondamentale nella scuola kashmira dello Spanda.[1] GeneralitàIl termine spanda deriva dalla radice «spand-», "vibrare", e si può pertanto tradurre con "vibrazione".[2] Qui il termine può essere inteso come "energia vibrante", con riferimento alla realtà oggettiva nella sua natura essenzialmente dinamica, pulsante, così come quest'ultima è intesa nell'opera stessa.[1] Kārikā sta per strofa, ed è suffisso adoperato nelle opere sanscrite in versi, a volte sintesi di opere più ampie: il titolo può pertanto essere reso come "Le strofe dell'energia vibrante". Quest'opera, insieme agli Śivasūtra del filosofo kashmiro Vasugupta, è alla base della scuola religioso-filosofica detta appunto Spanda, sorta nel Kashmir intorno all'VIII secolo.[1] Secondo questa scuola, oggi estinta, la realtà oggettiva, Coscienza di Śiva, è in perenne movimento, tutto è vibrazione, manifestazione del "gioco" eterno e sovrano del Dio. L'opera, nel descrivere come ciò avvenga, guida l'adepto a riconoscere questa energia, manifestazione divina quindi; a concepire la realtà stessa, in tutti i suoi aspetti, in termini di energia dotata di coscienza.[1] L'opera«Colui che ha conseguito questo stato di coscienza, vedendo il mondo intero come gioco, ininterrottamente compenetrato con la suprema realtà, è senza dubbio un liberato in vita.» I commentiIl filosofo Kṣemarāja, vissuto più di un secolo dopo Vasugupta, commentò due volte le Spandakārikā, con lo Spandanirṇaya prima e lo Spandasaṃdoha poi. Oltre questi, esistono diversi altri commenti, tra i quali: lo Spandapradīpikā di Bhagavadutpala, lo Spandaviṛtti di Bhaṭṭa Kallaṭa, lo Spandavivṛti di Rāyānaka Rāma.[3] NoteBibliografia
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