Sindacalismo fascista

Con sindacalismo fascista si intende quel settore del sindacalismo improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro.

Storia

Filippo Corridoni con Benito Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a Milano.

I primordi

Lo stesso argomento in dettaglio: Sindacalismo rivoluzionario.
Fontana sulla cui lapide marmorea era scolpito il discorso che Benito Mussolini pronunciò il 20 marzo 1919 presso lo stabilimento di Dalmine, in occasione dell'autogestione operaia.

Il sindacalismo fascista ha i suoi primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!, poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno all'Unione Sindacale Italiana[1] ma da cui saranno espulse già nel 1915, per incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2]. Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza, gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari.[3]

«In Italia non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito Socialista non sarà abbattuto.»

Un altro forte legame fu, dal 1915-1916 e fino al 1919-1920, quello con la Unione Italiana del Lavoro (UIL)[5], da essi creata e di ispirazione sindacalista rivoluzionaria, diretta inizialmente da Edmondo Rossoni.[6] La nuova formazione sindacale, nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di imperialismo operaio di Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di Benito Mussolini[7], pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi, durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Edmondo Rossoni, e quella "indipendentista" di Alceste de Ambris.[6][8]

Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne il 16 marzo 1919 al Dalmine, dove si verificò la prima occupazione con autogestione operaia della storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione, d'accordo con l'ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore nazionale.[9][10] Due giorni dopo lo stesso Mussolini fu in visita agli stabilimenti:

«Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande oltre i confini»

In un primo momento la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due, con il secondo che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo d'Italia[11] ed il primo che dette un apporto considerevole al programma dei Fasci Italiani di Combattimento, costituiti il 23 marzo 1919 e dai quali prenderà spunto il fascismo durante la fase governativa.[12]

Il nucleo iniziale

Lo stesso argomento in dettaglio: Sansepolcrismo e Squadrismo.
Benito Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito.
Dino Grandi.

È da questo connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il sindacalismo fascista, i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti sindacalisti di varia estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura del nuovo movimento insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di guerra, nazionalisti e squadristi.[12]

Fra i maggiori esponenti di questo "sindacalismo squadrista", che affiancò i sindacalisti "puri", a cavallo tra gli anni dieci e venti Italo Balbo, Michele Bianchi, Gino Baroncini ma, soprattutto, Dino Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini tratti del fascismo di sinistra, basato particolarmente (a Bologna) sulle rivendicazioni contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al concetto de "la terra a chi la lavora".[13]

Alla fine del 1920 l'armonia tra sindacalismo rivoluzionario e fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in conseguenza della grave sconfitta elettorale della fine del 1919, Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi maggiori spazi politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici, che nel gennaio 1922 diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste dirette da Rossoni.[14]

La crisi tra i due movimenti si attuò essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto tra economia e politica. Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai propri canoni libertari ed autonomisti[15], concependo la nazione come identità e sostanza storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe esclusiva.[16]

«Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù delle quali l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo. In questo senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento sindacale fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario.»

Rossoni e la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste

Lo stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali.
Edmondo Rossoni.
I quadrumviri e Benito Mussolini (da sinistra a destra: Emilio De Bono, Michele Bianchi, Mussolini, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo). Il primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti.

Nel gennaio 1922 si tenne il I Convegno sindacale di Bologna, in cui si scontrarono le due visioni principali, già emerse in passato, riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica e, in questo caso, del neocostituito Partito Nazionale Fascista (PNF). Si scontrarono quindi la visione "autonomista" di Edmondo Rossoni e di Dino Grandi e quella "politica" di Massimo Rocca e Michele Bianchi, tra le quali sarà vincente la seconda[18].

A Bologna vennero inoltre affermati i principi basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali[1], una nuova formazione antisocialista ed anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno nel 1934) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica (...) con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione".[11]

«La nazione, sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di sopra degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi sono gli strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie condizioni. Gli interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a condizione che si realizzino nell'ambito dei superiori interessi nazionali.»

Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli ambienti del sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale, in sede di Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), contestava il titolo alla rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la possibilità di partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata, e l'ILO permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni nel rinnovo del mandato.[20]

In sede congressuale Rossoni dichiarò l'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo era legato al primo sia per il comune intendimento del concetto di "rivoluzione" che, al di là dell'aspetto della rivolta popolare, in ambito lavorativo ritenevano rivestisse il significato di "sopravvento di superiori capacità produttive"; inoltre, ugualmente, avevano l'obbiettivo di innalzare il "proletario" (nell'accezione negativa del termine) al rango di "lavoratore" inserito a pieno titolo nella vita nazionale.[21]

«Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro (...) e sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro, di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale, più grande.»

Nei mesi successivi, in concomitanza con il termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva militare del fascismo imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo sfondamento politico in campo sindacale, con il passaggio di interi settori operai dalle strutture del Partito Socialista Italiano e della CGdL al fascismo. Tanto che, nell'estate del 1922, la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali contava 800.000 iscritti.[23] Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni, che aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed affidabile che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo, dall'altra di fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato fascista.[24]

Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu quasi definitiva[25] e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una relativa tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine degli scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo culturale e la propria evoluzione politica.[1] Emondo Rossoni così ne spiega definizione e scopo principale:

«(...) la salvaguardia della salute spirituale del popolo (...) Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei (...) Noi rivendichiamo la concezione italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.»

Caratteristiche principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare, ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27]

Questo clima non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Edmondo Rossoni, Agostino Lanzillo, Sergio Panunzio e Angelo Oliviero Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro.[28] In tutti però[29] un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori - dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che "la nazione è il più grande sindacato".[30]

Le prime forti tensioni con i conservatori ed il padronato

Roberto Farinacci nel 1925.
Renato Ricci con la sua squadra d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del forte di Falconara 1922

Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello Stato. Tra il 1921 ed il 1923 avvennero alcuni episodi chiave:

«(Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista è per la collaborazione (...) ma con gli industriali che si impuntano e dicono comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto degno nella vita della nazione»

In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti, difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino. Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di infondere risolutezza in molti sindacalisti di periferia.[37]

La seconda fase del sindacalismo fascista

Monumento a Luigi Razza.

Si entra quindi in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista"[38], durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Sergio Panunzio ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del fascismo e del recupero del programma del '19[39], esprimendosi per la creazione di una Camera sindacale e del lavoro e di un Senato politico.[40]

Nel febbraio 1924 cadde la Confagricoltura, inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati agricoli, riunendo in un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari agricoli.[34]

Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista, dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito Nazionale Fascista e da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini.[41] Al termine dello sciopero si ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato.[42]

Nel novembre del 1924 si tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti, soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario Racheli.[32]

«Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di creare discipline contrattuali garantite dalla legge.»

In questo quadro ha luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale, legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei leader sindacali e dell'ala movimentista[44][45] e la messa in evidenza della natura anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In tale frangente lo sciopero fascista (autunno-inverno del 1924) portò ad una radicalizzazione estrema dello scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una corrente di dissidenti all'interno del fascismo "ufficiale".[46][47]

Il 3 gennaio 1925 ha luogo il discorso alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica della vicenda Matteotti.

L'8 gennaio il Direttorio delle corporazioni e quello del Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla "lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di "colpevole incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e nazionale del fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per l'intransigenza insita nel discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima da "seconda ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista.[32]

Nel marzo del 1925 avviene quindi l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M. di Brescia e la FIOM indicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta, abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Roberto Farinacci, in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto, gli appelli alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per non ripetere le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi.[32] Le agitazioni dei metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove gli operai socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il sindacalfascista Luigi Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di combinazioni politiche unitarie impreviste.[48] Dopo lunghe trattative le agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali, che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati si spostarono in massa nelle Corporazioni.[1]

«Per ben tre anni l'esistenza di un sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua forza e delle sue possibilità di azione.»

Altro commento che rivela il momento infuocato fu quello di Corradini, sindacalista nazionale:

«Il superamento del socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista. Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti (...) Vi è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione storica (...) Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale opera continua»

La trasformazione in organi di diritto pubblico

Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma) annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro.
Ugo Spirito.

La conseguenza principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925), in cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse nazionale.[1]

Va però evidenziata soprattutto la legge del 3 aprile 1926: con questa legge vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei sindacati fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il progetto corporativo a sindacato misto che verrà realizzato negli anni trenta.[50]

Dopo questa vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro (1927), testo fondamentale della politica sociale fascista in ottica di eliminazione della dicotomia tra le classi sociali[51] ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più alla segreteria nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza nazionale delle corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli conservatori (novembre 1928), capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle corporazioni) ed Augusto Turati (nuovo segretario del partito), in sei separate confederazioni di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo, disperdendolo in strutture più piccole e limitate.[52]

Il secondo Convegno di Studi sindacali e corporativi

Nel periodo che intercorse da questo momento alla legge del 5 febbraio 1934, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale dell'azione nel settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara nel maggio del 1932, nel quale emerse il concetto di corporazione proprietaria proposta da Ugo Spirito[53], nei confronti della quale il sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali.[54]

L'incapacità di accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma anche i "nuovi" come Luigi Razza e Pietro Capoferri, fu dovuta quindi essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato sindacale"[54][55]

L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle Corporazioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Corporativismo.
Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro.

Nel 1934 viene approvata la creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle cariche elettive e l'abolizione (fino al 1939) del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro.[27][56]

In ogni caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:

  • ferie pagate;
  • indennità di licenziamento;
  • conservazione del posto in caso di malattia;
  • divieto di licenziamento in caso di maternità;
  • assegni familiari;
  • diffusione delle casse mutue aziendali;
  • assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro (ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico, manifestazioni teatrali, etc).[50]

Il 21 aprile 1930 fu Mussolini stesso a rivendicare alle corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel solco della Rivoluzione continua:

«È nella corporazione che il sindacalismo fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica; si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità del sindacalismo è assicurata.»

Maggiori esponenti ed ispiratori

Riviste

  • La Stirpe
  • Il Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano)
  • Il Lavoro d'Italia
  • Cultura Sindacale
  • Rivista del Lavoro
  • L'Idea Sindacalista
  • Il Lavoro
  • I Problemi del Lavoro

Note

  1. ^ a b c d e Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988.
  2. ^ Breve storia dell'Usi di Ugo Fedeli
  3. ^ Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, 1981.
  4. ^ Curzio Malaparte e Edda Ronchi Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle Grazie, 1991.
  5. ^ operante tra il 1918 ed il 1925 e senza legami con la UIL attuale.
  6. ^ a b Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari, 1974; ristampa Firenze, La Nuova Italia, 1990. ISBN 88-221-0774-8
  7. ^ Nel cui sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista in quotidiano dei produttori
  8. ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984.
  9. ^ Renzo de Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005.
  10. ^ Filippo Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti ancora - gli scritti, Milano, Seb, 2001
  11. ^ a b Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, 2003.
  12. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005.
  13. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005.
  14. ^ Italo Mario Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, 1947.
  15. ^ Angelo Olivero Olivetti Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, op. cit., p. 72-73
  16. ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Roma, Bonacci, 1984.
  17. ^ in Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pag. 76
  18. ^ Anche per via del cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005.
  19. ^ Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, 1930.
  20. ^ R. Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, 1973, anno IV, n. 3
  21. ^ Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale (1870-1925), Feltrinelli, Milano, 2001
  22. ^ "Il Giornale d'Italia", 19 gennaio 1926; "Il Mondo", 19 gennaio 1926.
  23. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005.
  24. ^ Ferdinando Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980.
  25. ^ Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord Italia, del 1925. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989.
  26. ^ Le idee della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista, Bemporad, Firenze, 1924.
  27. ^ a b c Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
  28. ^ Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato corporativo (1930-1943), Bonacci, Roma, 1989.
  29. ^ Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il regime.
  30. ^ Angelo Oliviero Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale, Milano, 1919.
  31. ^ Deliberazione congiunta del 6 luglio 1922 del PNF e del Gruppo parlamentare del partito
  32. ^ a b c d e Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974.
  33. ^ Espressosi esplicitamente, in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 15 marzo 1923, occupatasi dell'analisi dei problemi sindacali. In questo ambito Michele Bianchi definì "dittatoriale" la "procedura introdotta dal sindacalismo fascista", mentre il sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la doppia organizzazione, cioè quella dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, allontana ogni pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e l'influenza delle organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di classe". In Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972.
  34. ^ a b Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000.
  35. ^ Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989
  36. ^ Corriere della Sera, 18 gennaio 1926
  37. ^ AA. VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980.
  38. ^ "(...) contrassegnata da un parziale ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza, Bari, 1974
  39. ^ "Il fascismo è una dottrina, una fede, una civiltà nuova. Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo. Il Fascismo deve immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità storica, al programma del '19 (...) L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il Sindacalismo Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima del 1918, prima di Vittorio Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo d'Italia, 22 giugno 1924
  40. ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953.
  41. ^ a b Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972.
  42. ^ Il Mondo, 1924
  43. ^ Rossoni stava, nel suo intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista sui contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974.
  44. ^ "In questo periodo - fine '24 - continuarono ad affiorare, in seno al sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La politica sindacale del fascismo
  45. ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974.
  46. ^ Che rientrò poi in breve tempo nell'alveo della sinistra fascista ufficiale.
  47. ^ Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986.
  48. ^ Bruno Uva, La nascita dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma, 1974.
  49. ^ Gerarchia n° 5, maggio 1925
  50. ^ a b Alberto Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965.
  51. ^ R. Arata, Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su "L'Italia", Milano, 21 aprile 1937
  52. ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. Vol. 2: L'organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Einaudi, 2008.
  53. ^ Ugo Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, 1977.
  54. ^ a b Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Ugo Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971
  55. ^ Giuseppe Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Ugo Spirito, vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1988.
  56. ^ Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989.
  57. ^ Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.

Bibliografia

Testi in lingua italiana

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  • Alberto Aquarone, La politica sindacale del fascismo.
  • Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974.
  • Alberto Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965.
  • R. Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle Corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, 1973.
  • Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale (1870-1925), Feltrinelli, Milano, 2001.
  • Giorgio Bocca, Mussolini socialfascista, Garzanti, Milano, 1983.
  • Giorgio Alberto Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze.
  • Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari, 1974; ristampa Firenze, La Nuova Italia, 1990. ISBN 88-221-0774-8
  • Renzo De Felice, Mussolini il fascista. Vol. 1: La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005.
  • Renzo De Felice, Mussolini il fascista. Vol. 2: L'organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Torino, Einaudi, 2008.
  • Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005.
  • Renzo De Felice, Autobiografia del fascismo. Antologia di testi fascisti, 1919-1945, Bergamo, Minerva italica, 1978.
  • Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. 1975.
  • Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, 1981.
  • Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Ugo Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971.
  • Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza, Bari, 1974.
  • Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, 2008.
  • Giuseppe Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Ugo Spirito, vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1988.
  • Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime (1930-1943), vol. 2, Bonacci, Roma, 1989.
  • Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988.
  • Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984.
  • Italo Mario Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, 1947.
  • Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, Vol. 3, Feltrinelli, 1961.
  • Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972.
  • Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986.
  • Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
  • Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000.
  • Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953.
  • Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, 2003.

Testi in lingua straniera

  • (EN) Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, 1930.
  • (EN) G. Lowell Field, The Syndacal and Corporative Institutions of Italian Fascism, Columbia University Press, New York, 1938.
  • (EN) David D. Roberts, The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1979.

Voci correlate

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