SenioratoCon il termine seniorato si indica il criterio - già seguito in età preislamica e nell'Islam delle origini e in varie realtà statuali del mondo arabo moderno e contemporaneo - per il quale la successione a una carica di governo o anche solo rappresentativa avviene in funzione dell'anzianità e non strettamente agnatizia, da padre a figlio. L'anzianità (valore fondamentale nel mondo arabo, non solo per le questioni di guida e rappresentanza) sottintende infatti grande esperienza, nonché moderazione e di controllo di sé stessi (ḥilm): qualità che evidentemente mancano a un giovane. A questo, nelle età più antiche arabe, doveva essere aggiunta la memoria del passato, e quindi la capacità di dirimere le controversie insorte nel gruppo recuperando la tradizione consolidata (sunna), i precedenti aviti che fungevano da legge comportamentale (adab) e sanzionatoria. In quest'ultimo caso la scelta dell'arbitro (ḥakam) poteva più di frequente avvenire al di fuori del gruppo, per le caratteristiche di "terzietà" che ciò più facilmente garantiva.[1] La "legge" del seniorato operò nel corso del periodo califfale cosiddetto "ortodosso"[2] per essere sostituita dalla più nota successione dinastica (padre-figlio) in età omayyade, abbaside o fatimide. In età contemporanea essa vale in Arabia Saudita, dove si mantengono maggiormente le antiche tradizioni arabe valide al tempo del Profeta. Note
Bibliografia
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