Nacque a Firenze da Andrea di Paolo di Simone Carnesecchi ricco mercante fiorentino e da Ginevra Tani. Possedeva capacità diplomatiche sviluppatissime, era avveduto e accorto e sapeva facilmente discernere il lato debole di un discorso o di un avvenimento; di lui i contemporanei tracciano ogni genere di lode e la maggior parte sono sincere perché Pietro era di carattere molto amabile avendo il dono di piacere alle persone. Per tutte queste qualità della mente e della persona non era sorprendente che entrasse nelle grazie e nel favore di Clemente VII. Il Papa era un Medici, famiglia che era sempre stata in intime relazioni con i Carnesecchi.
Ponendo sempre maggior attenzione al Carnesecchi, Clemente VII non cessava di proteggerlo e di beneficarlo in tutte le maniere. Chiamò Pietro alla sua corte e dandogli l'ufficio di Notaro, conferendogli poi poco alla volta i titoli di famigliare, di continuo commensale, di segretario del numero dei partecipanti. Egli infine lo fece protonotario della Curia, e per designare quell'intima relazione che confina con la parentela, il 16 dicembre 1533, gli concesse il privilegio, davvero molto ambito, di aggiungere al suo nome anche quello di Medici, da quel momento si venne a chiamare Pietro Medici dei Carnesecchi.
Nel 1533 il Papa gli diede un canonicato fiorentino, l'ufficio di governatore di Tivoli e di castellano di quella fortezza, l'abbazia di San Piero a Eboli nella diocesi di Salerno e l'abbazia di Santa Maria di Gavello nella diocesi di Adria.
In ultimo il Papa lo fece suo primo segretario, facendogli balenare anche la speranza di un cappello cardinalizio nel caso il nipote Ippolito non avesse voluto saperne di continuare la carriera ecclesiastica.
«Sotto Clemente VII il Carnesecchi hebbe in Roma tanto di autorità et ho sentito de lui degni di fede che detto Papa haveva a dire che in caso chel cardinale di Medici Hippolito suo nipote non restasse cardinale, come si dubitava, di volergli dare il suo cappello e farlo de Casa Medici.»
L'ufficio di segretario era uno dei più difficili da sbrigarsi e portava con sé una serie di importanti e delicate occupazioni. A vedere che il Carnesecchi prendeva una parte così grande nel maneggio degli affari, il popolo credeva che fosse lui e non il Papa a mandare avanti tutto il meccanismo politico e a dirigere la barca dello Stato.
La morte di Clemente VII gli tolse tutto il potere; nel frattempo, però, egli aveva maturato idee e coltivato amicizie che gli impedivano di rimpiangere il passato e che lo spinsero su una nuova strada; da questo momento si comincia ad intuire la sua intenzione di modificare dall'interno il sistema ecclesiastico dei suoi tempi.
Era un uomo abituato all'intrigo dalla lunga milizia sotto Clemente: non agiva mai troppo scopertamente e non si esponeva mai più del dovuto, ma continuava a tessere una fitta ragnatela di contatti; nel 1536 nella sua casa paterna di Firenze, dove si era ritirato, si ebbe una straordinaria riunione di alcuni dei più vivaci protagonisti della storia religiosa del Cinquecento: Ochino, G.P. Carafa, Caterina Cybo, Pole, Giberti, Priuli.
Delle sue azioni atte a favorire la parte eretica poco rimane, l'inquisizione era potente e lui non era sprovveduto da lasciar traccia delle sue azioni, (a tradirlo saranno le sue lettere conservate da Giulia Gonzaga, trovate dopo la morte di lei, che gli inquisitori useranno per farlo cadere in contraddizione nonostante la sua capacità dialettica).
Fu lungamente alla corte di Francia presso Caterina de' Medici e a Venezia, e non cessò mai di tener contatto e prestare aiuto agli eretici. Processato più volte, riuscì sempre a cavarsela in virtù dei suoi appoggi e della sua abile dialettica.
Soggiornando a Firenze sotto la protezione di Cosimo I de' Medici si riteneva completamente al sicuro dall'inquisizione, ma Cosimo I, messo con le spalle al muro dal papa Pio V, fu costretto a consegnarlo a tradimento (si disse persino che il Carnesecchi al momento dell'arresto stesse cenando col duca stesso) nelle mani dell'inquisizione, pur tentando poi di aiutarlo nel successivo processo.
Torturato più volte, non coinvolse gli amici e morì con grandissima dignità, decapitato a Roma il 1º ottobre 1567.
Pietro Carnesecchi è commemorato, dagli Evangelici, come martire il 2 ottobre.
L'importanza di Pietro Carnesecchi è da mettere in relazione alla sua poderosa opera di diffusione delle nuove idee. Alla capacità di creare instancabilmente nuovi contatti ed intrecci. Alla ineguagliabile tenacia della sua azione di proselitismo.
La sentenza di morte
Il testo, tratto da Oddone Ortolani, Pietro Carnesecchi
«Noi Bernardino di Santo Mattheo de Trani, Scipione di Santo Angelo di Pisa, Francesco di Santa Croce in Hierusalem Pachecco et Giovanni Francesco di Santa Potentiana di Gambarà de' titoli per la mìseratione divina della santa romana Chiesa preti cardinali et nella universa republica christiana contro l'heretica pravità inquisitori generali dalla Santità di nostro signore Pio per la divina providentia papa quinto spetialmente deputati, ogni giorno per esperienza vederno verificarsi quello che il divino apostolo san Paulo scrivendo a Thimoteo predisse: "Erit enim tempus cum sanam doctrinam non sustinebunt, sed ad sua desíderia coacervabunt síbí magístros prurientes auríbus et a veritate quidem auditum avertent, ad fabulas autem convertentur ", sì come in questi infelici et calamitosi tempi si vede continuamente fare da molte scelerate sette di heretici, con irreparabíl danno della republica christiana et perditione d'infinite anime, et particolarmente se può considerare nella presente causa.
Poiché, essendo tu Pietro Carnesecchi, chierico fiorentino già prothonotario apostolico, in questa corte di Roma stato allevato et liberalmente beneficato di honori, beneficii ecclesiastici et pensioni, non havendo riguardo all'ineffabile verità della santa fede catholica né rispetto veruno all'authorità della santa romana et apostolica Chiesa, né considerando il grado tuo ma deviando dalla diritto strada della vera salute, cadesti in alcune beresie contro la detta santa fede et tenesti et credesti molte et diverse opinioni beretiche et erronee:
Et prima dal 1540 in Napoli, instituito dalli quondam Giovanni Valdés spagnolo, Marc'Antonio Flaminio et Bernardino Occhino da Siena et conversando con loro et con Pietro Martire' et con Galeazzo Caracciolo et con molti altri beretici et sospetti d'heresia, leggendo il libro Dei beneficio di Christo et scritti del detto Valdés.
Invocato il santissimo nome di nostro signore Jesu Christo et della gloriosissima vergine Maria, dalla faccia delli quali procedono li retti giuditii et gli occhi dei giudici riguardano la verità, in questa causa et cause vertenti nel Santo Officio, tra il magnifico m. Pietro Belo procuratore fiscale di esso Santo Officio, da una parte e te Pietro Carnesecchi, reo, processato, confesso et colpevole respettivamente ritrovato, dall'altra parte, per questa sentenza definitiva, che in questa scrittura proferimo, pronunciamo, sentenziamo, diffinimo et dechiariamo, che tu Pietro Carnesecchi dall'anno 1540 et seguenti sei stato eretico, credente agl'eretici, et loro fautore, et recettatore respettivamente, et perciò sei incorso nelle sentenze, censure e pene legittime et ecclesiastiche, dalli sacri canoni, leggi, et constitutioni, così generali come particolari, a simili delinquenti imposte. Et attesi tanti inganni fatti alla Santa Chiesa, et tanti periurii, varietà, vacillationi, et l'incostantia et instabilità tua et la durezza nel confessare la verità, et la impenitentia da te mostrata in molte cose, per molti segni, et tra gl'altri essendo prigione nel scrivere et dare avisi in favore di heretici, come si è detto, et la inveterata vita nelli errori et conversatione d'heretici et l'incorrigibilità tua, poiché in tre altre instanze oltra di questa è stato giudicato di te et tua causa, havendo in quelle deluso et ingannato il Santo Offitio, né doppo le prefate due assolutioni ti sei emendato né corretto, et considerando che perciò il Santo Offitio di te non si può più fidare né haverne sigurtà che sii vera et sinceramente pentito, né può sperarne correttione alcuna; per questo similmente ti dichiaramo et giudichiamo heretico impenitente, fintamente converso et diminuto et esser ipso iure privato, et quatenus opus est di nuovo ti priviamo d'ogni grado, honore et dignità et de' beneficii, pensioni et offitii ecclesiastici et temporali, qualunche si siano et in qualsivoglia modo qualificati, et quelli essere vacati dal tempo delle tue beresie, et doppo quello te essere stato inhabile a conseguirli, et alla confiscatione de tutti li tuoì beni mobili et stabili et semoventi, ragioni et attioni, secondo la dispositione de' sacri canoni, da applícarse sì come l'applichiamo a chi di ragione si debbono. Et come incorrigibíle, impenitente et fintamente converso parimente dechiaramo et decretiamo dovere essere degradato, sì come ordiniamo che sii attualmente degradato, dalli ordini nelli quali sei constituito. Et così degradato ex nunc prout ex tunc come inutil palmíte"' ti scacciamo dal foro nostro ecclesiastico et dalla protettione della nostra santa Chiesa et diamo et relassiamo alla corte secolare, cioè a voi monsignore governatore di Roma, che lo riceviate nel vostro foro et a vostro arbitrio da punirsi con debito gastigo, pregandovi però si come caldamente vi preghiamo a moderare la sentenza vostra intorno la persona sua senza pericolo di morte et effusione di sangue.
Ita pronunciamus nos cardinales inquisitores generales infrascripti
Bernardinus cardinalis Tranensis
Scipio cardinalis Pisarum
Franciscus cardinalis Pacheco
Ioannes Franciscus cardinalis de Gambara»
((Roma, 16 agosto 1567))
La pubblicazione della sentenza avvenne nel corso di un solenne autodafé svoltosi nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva in Roma al quale Pio V volle dare particolare importanza appunto per la funzione d'esempio che la condanna dell'alto prelato doveva assumere presso i componenti della Curia. A tutti i cardinali di stanza a Roma venne imposto di parteciparvi.
Come eretico impenitente, fu condannato alla degradazione, alla perdita di tutti i benefici ecclesiastici e alla consegna al Governatore di Roma (braccio secolare) per l'applicazione "del debito castigo" (che nella fattispecie era la pena di morte) con la solita formula intesa "a moderare la sentenza nostra intorno alla sua persona senza pericolo di morte ed effusione di sangue".
Il 1º ottobre 1567 (in questi casi la decapitazione doveva precedere il rogo) lasciò il carcere di Tor di Nona con un altro condannato a morte per eresia, il francescano Giulio Maresio, e salì al patibolo. Il taglio della testa, notano gli agenti di Cosimo I che assistettero all'evento, avvenne senza problemi nella piazzetta antistante il ponte Sant'Angelo. Qualche problema ci fu per l'azione del rogo a causa della pioggia.
Al momento di lasciare il carcere, Carnesecchi non pronunciò parole di circostanza né lasciò ricordi personali; soltanto quando fu sul punto di muoversi verso il luogo dell'esecuzione, scorgendo che la minaccia di pioggia era cessata, per il tempo che gli restava da vivere si tolse il ferraiolo per donarlo ai confortatori. Apparve allora elegantissimo, come se si recasse a una gran festa con indosso un vestito «tutto attillato con la camicia bianca, con un par di guanti nuovi e una pezzuola bianca in mano». Fra i presenti si rinnovò l'ammirazione che al cronista dell'autodafé della Minerva aveva fatto esclamare «pulcherrimus erat aspectu et magnum nobilitatis signum ostendebat».
Due anni dopo, Cosimo I riceveva il premio del suo tradimento, ottenendo il titolo ambito di granduca grazie ad una bolla pontificia emessa dallo stesso Pio V in cui, fra l'altro, si dichiarava che per suo merito, virtù e prudenza la provincia della Toscana era, tra tutte le altre, la più libera dalla perniciosa tabe delle pestifere eresie.
1536 nella sua casa paterna di Firenze dove si era ritirato si ebbe una straordinaria riunione di alcuni dei più vivaci protagonisti della storia religiosa del cinquecento: Ochino, G.P. Carafa, Caterina Cybo, Pole, Giberti, Priuli
1536-1539 diventa familiare del duca Cosimo I
1538 incontra Vittoria Colonna alle terme di Bagni di Lucca
1539 torna a Napoli e incontra Giulia Gonzaga, rimane a Napoli circa un anno e aderisce al valdesianesimo
1547 - 1552 è in rapporto a Parigi con il tipografo Roberto Stefano, d'idee calviniste
1547 - 1552 gravemente ammalato fa un atto di rinunzia a favore del cardinale Morone: è la prima notizia che si ha della loro intimità che doveva già essere molto forte
1552 rinuncia alla sua carica presso il re di Francia e si stabilisce a Lione
1552 ha intensi contatti con i mondi della riforma
1553 torna a Venezia
1553 Giulia Gonzaga finisce nel mirino dell'inquisizione
1555 muore Giulio III e sale al pontificato Papa Paolo IV Carafa: azione forte contro gli eretici: sono accusati il Pole e il Morrone
1557 secondo processo a Carnesecchi si muove in suo favore Cosimo I e Giulia fa muovere in suo favore Ferrante I Gonzaga
1565 muore Pio IV sale al pontificato Pio V Ghisleri
1565 Carnesecchi si rifugia a Firenze sotto la protezione di Cosimo I
1566 16 aprile muore Giulia Gonzaga tutto l'epistolario col Carnesecchi cade in mano all'inquisizione. La posizione del Carnesecchi è irrimediabile
1566 Cosimo I consegna il Carnesecchi all'inquisizione
1566-1567 il processo durante il quale il Carnesecchi viene torturato
1567 dopo un lunghissimo processo il 16 agosto la condanna a morte. La lettura della sentenza durò oltre 2 ore
1567 la condanna venne eseguita il 1º ottobre mediante decapitazione, quindi il corpo venne arso
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Estratto del processo di Pietro Carnesecchi a cura di Giacomo Manzoni in Miscellanea di storia italiana
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Lemmi Francesco La riforma in Italia e i riformatori italiani all'estero nel secolo XVI Milano 1939
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