Pasquale Baccaro
Pasquale Baccaro (Minervino di Lecce, 2 settembre 1972 – Mogadiscio, 2 luglio 1993) è stato un militare italiano, caporale della Brigata Folgore, insignito della medaglia d'oro al valor militare alla memoria durante la missione ONU UNOSOM II in Somalia. BiografiaPasquale Baccaro, paracadutista di leva, faceva parte del contingente italiano impegnato in Somalia nella Missione Ibis[1], nell'ambito della missione umanitaria UNOSOM II[2]. Era effettivo alla XV compagnia Diavoli Neri del 186º Reggimento paracadutisti "Folgore". Il 2 luglio 1993, a Mogadiscio, prendeva parte all'operazione di rastrellamento denominata "Canguro 11", a bordo di un veicolo trasporto truppe OTO Melara VCC-1 Camillino. A fine rastrellamento il veicolo ripiegò verso Balad (base del reggimento), ma a seguito dell'inasprirsi della battaglia che ne susseguì immediatamente, venne ordinato allo stesso di rientrare a Mogadiscio. Arrivato in prossimità dell'incrocio tra la via Imperiale e la via XI Ottobre, poche decine di metri dopo il Checkpoint Pasta, il veicolo fu colpito da un razzo RPG-7 e il paracadutista, gravemente ferito alla gamba sinistra dall'esplosione[3], morì dissanguato dopo pochi minuti[4]. Fu il secondo caduto italiano nella battaglia del pastificio, in cui persero la vita anche il sergente maggiore Stefano Paolicchi[5] e il sottotenente Andrea Millevoi[6][7]. I funerali di Stato furono celebrati a Roma, nella basilica di Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, in presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. A Pasquale Baccaro è stata conferita la Medaglia d'oro al valor militare[8] alla memoria.[9] Onorificenze«Paracadutista di leva, inquadrato nel contingente italiano inviato in Somalia nell'ambito dell'operazione umanitaria voluta dalle Nazioni Unite, partecipava con il 186º Reggimento Paracadutisti Folgore al rastrellamento di un quartiere di Mogadiscio. Nel corso dei successivi combattimenti, proditoriamente provocati da miliziani somali, mentre effettuava fuoco mirato da bordo di un veicolo corazzato a sostegno dell'azione condotta dalla propria squadra, veniva inquadrato dal tiro dei cecchini ma, imperturbabile, proseguiva nell'azione. Gravemente ferito a seguito dell'esplosione di una razzo controcarri, che aveva colpito il mezzo corazzato sul quale operava, manteneva, nonostante l'amputazione traumatica di un arto inferiore, spirito saldo e animo sereno, consentendo agli altri paracadutisti di continuare ad operare con immutata determinazione. Soccorso e trasportato presso una struttura sanitaria non sopravviveva alle gravissime lacerazioni subite. Immolava così la sua giovane vita nel pieno adempimento del proprio dovere per un ideale di pace e solidarietà tra i popoli. Purissima figura di uomo e combattente, esempio fulgido di assoluta dedizione al dovere e di elette virtù militari sublimate dal supremo sacrificio.»
— Mogadiscio, 2 luglio 1993.[10] Note
Bibliografia
Voci correlateCollegamenti esterni
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