Non essere cattivo«Una storia degli anni novanta. Quando finisce il mondo pasoliniano.» Non essere cattivo è un film del 2015 diretto da Claudio Caligari, terzo e ultimo lungometraggio del regista. Il film costituisce la chiusura dell'ideale trilogia di Caligari, iniziata con Amore tossico e proseguita con L'odore della notte. Non essere cattivo è un Amore tossico ambientato dodici anni dopo, ma negli stessi luoghi, e segna quello che lo stesso regista definì la fine del mondo pasoliniano.[2] Caligari, malato di cancro da tempo, morì poco dopo il termine delle riprese. Il 7 settembre 2015 viene presentato fuori concorso alla 72ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia[3] riscuotendo un buon successo. Il 28 settembre 2015 viene designato come film rappresentante il cinema italiano alla selezione per l'Oscar al miglior film straniero del 2016[4]. Il 18 dicembre 2015 è stato escluso dalla candidatura, non riuscendo a entrare nella short-list. TramaOstia, 1995. Vittorio e Cesare, due giovani delle borgate romane, si conoscono da sempre e il loro rapporto è più vicino all'essere fratelli che solo amici. Entrambi si dedicano coi loro conoscenti a varie attività illegali nonché al consumo e allo spaccio di stupefacenti, rifiutando la vita da operai e cercando nella droga una via di fuga dai problemi della vita: Cesare, in particolare, vive con la madre e con la nipote Debora, figlia della sorella deceduta a causa dell'AIDS e malata lei stessa. Una sera Vittorio, dopo aver assunto diverse pasticche, ha una serie di allucinazioni che lo spingeranno a cambiare vita, trovando un lavoro onesto e cercando di coinvolgere Cesare in modo da salvarlo da se stesso. La nuova vita prende lentamente forma, tra difficoltà di ogni tipo (su tutte ricadute nella droga e la malattia della piccola Debora, che peggiora sempre più), ma alla fine i due sembrano davvero riuscire ad adattarsi ad un'esistenza normale: Cesare si mette con Viviana, una ex di Vittorio, mentre questi va a vivere con Linda e suo figlio Tommaso. Cesare, tuttavia, non riuscirà mai a sopprimere del tutto il desiderio di tornare ad essere quello di prima: devastato dal dolore dopo la morte della piccola Debora, rientrerà nel mondo della droga e morirà dopo un tentativo di rapina. Un anno dopo Vittorio è sistemato con Linda e cresce Tommaso come figlio suo; incontrerà Viviana e suo figlio, chiamato come il padre[3]. Le ristrettezze economiche e il fascino del crimine, però, sembrano ancora tentare Vittorio - e anche il piccolo Tommaso - in quel pericoloso mondo da cui si era affrancato. ProduzioneLa realizzazione di Non essere cattivo è avvenuta anche grazie al supporto di Valerio Mastandrea, amico del regista e attore protagonista in L'odore della notte, sempre per la regia di Caligari. L'attore ha terminato il lavoro sul film a causa della prematura scomparsa del regista, deceduto poco dopo il termine delle riprese.[5] All'inizio della produzione del film, Luca Marinelli era stato scelto per interpretare Vittorio ed è passato al ruolo di Cesare dopo l'ingresso di Alessandro Borghi.[6] Tra i numerosi interventi di Mastandrea a supporto di Caligari per la realizzazione del suo ultimo film, il 3 ottobre 2014, il quotidiano Il Messaggero ha pubblicato una sua lettera aperta indirizzata al regista Martin Scorsese (chiamato per l'occasione Martino, proprio come faceva Caligari), tesa a cercare di sollevare un piccolo polverone mediatico per supportare Caligari nell'intento di completare il suo ultimo film. Un appello a cui il regista americano non ha mai risposto ma che, in qualche modo, è riuscito ugualmente a raggiungere il suo obiettivo.[7] Modelli e riferimentiLa storia di Non essere cattivo e, in particolare, il destino opposto dei due protagonisti è ispirato al film Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno di Martin Scorsese. Molte scene del film sono state girate negli stessi luoghi di Amore tossico: entrambe le pellicole iniziano con la stessa scena (Cesare corre verso Vittorio che è seduto sulla balaustra del pontile della Vittoria di Ostia e discutono per un gelato: in Amore tossico questa scena veniva interpretata alla stessa maniera da Ciopper ed Enzo nello stesso luogo e con le stesse inquadrature). Il nome di Vittorio è un riferimento all'omonimo protagonista di Accattone di Pier Paolo Pasolini,[8] mentre Cesare è un'autocitazione del regista da uno dei protagonisti di Amore tossico.[8] Diversi aspetti della trama richiamano inoltre quella del film Morte di un amico di Franco Rossi, la cui stesura del soggetto vide la partecipazione proprio di Pasolini.[8] DistribuzioneDopo essere stato presentato fuori concorso alla 72ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, è stato distribuito nelle sale cinematografiche italiane l'8 settembre 2015 in circa sessanta copie, distribuito da Good Films.[9] AccoglienzaIncassiNel primo weekend di programmazione nelle sale, il film ha incassato 85000 €. Il film ha incassato complessivamente 582081 € (dato aggiornato al 6 dicembre 2015)[10]. CriticaCaligari immaginava il film come la terza parte di una ideale trilogia iniziata con Accattone e seguita da Amore tossico, come se il protagonista di Accattone decidesse a un certo punto di mollare la vita d'espedienti e andare a lavorare. Il 1995 è idealmente l'anno di passaggio, tra l'epoca dell'eroina del primo film e quella delle droghe sintetiche e poi nuovamente l'eroina, ma questa volta da sniffare, non più per endovena[11]. Secondo la sceneggiatrice Francesca Serafini, «è anche il fallimento dell'ideologia del lavoro: il lavoro era uno dei punti di partenza del film. In questo suo terzo film Accattone prova a lavorare, ma se fai il manovale in borgata i soldi non bastano per vivere, l'unico modo è essere cattivo. Caligari fa perdere ai suoi personaggi parte del candore raccontato da Pasolini»[11]. Il film ha avuto generalmente un'ottima accoglienza da parte della critica. Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera ha elogiato il film per la sceneggiatura che «riesce a evitare un registro troppo naturalistico, fermandosi sempre un attimo prima di cadere nel compiacimento effettistico», la regia di Caligari che riesce a far «appassionare ai personaggi e alle loro storie ma non per questo impedendoci di giudicare le loro azioni» e infine la «recitazione efficace e però controllatissima» soprattutto dei quattro protagonisti, «tutti eccellenti», in particolar modo Luca Marinelli ()[12]. Concita De Gregorio su La Repubblica dell'8 settembre 2015 scrive: «[...] i corpi e le voci. Non sono quelli di Accattone, è vero. Sono quelle dei figli dei suoi figli. [...] Più di mezzo secolo dopo Claudio Caligari mette in scena l'esito finale del mondo pasoliniano. I nipoti di Accattone hanno i corpi e le voci di Luca Marinelli e Alessandro Borghi che più che interpretare, incarnano i ventenni-bambini cresciuti in un posto dove non c'è nient'altro che tutto quel che manca. [...] È il più bel film italiano visto finora a Venezia, e uno dei più riusciti in assoluto. Fuori concorso, però»[13]. Anche Mariarosa Mancuso de Il Foglio ha elogiato l'opera postuma del regista, concentrandosi anch'essa in particolare sulla «naturalezza e la precisione» recitativa dei due protagonisti maschili che hanno «una presenza capace di bucare lo schermo», augurandosi che «non restino appiccicati ai ruoli da piccolo delinquente pasoliniano», sulla regia di Caligari «bravissimo a scatenarli evitando lo scivolamento nella caricatura» e sui «dialoghi in romanesco, così ben scritti da sembrare improvvisati».[5] Emiliano Morreale de L'Espresso parla di un film come «un oggetto indefinibile, insieme raffinato e popolare. E soprattutto è un film vero, di un vero regista». Elogia il montatore il cui lavoro «tiene in piedi tutto con efficacia», la recitazione di Marinelli e Borghi definita «una delle migliori performance d'attori del cinema italiano recente», per come danno «forza [al] film [e riescono a] creare scene forti»[14]. Andrea Chimento de Il Sole 24 Ore elogia anche lui la recitazione di Marinelli, la sceneggiatura e i dialoghi (in particolare nella parte centrale), il lavoro del regista nel «notevole talento visivo» e nella «capacità non banale di gestire al meglio i tempi di montaggio», criticando però alcuni cliché narrativi, che però sono offuscati dalle emozioni provocate, soprattutto nel finale[15]. Riconoscimenti
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