Maryana Marrash nacque ad Aleppo nel 1848, nell'allora Siria ottomana, da un'antica famiglia mercantile cristiana di confessione melchita e con spiccati interessi letterari.[1][2] Pur essendosi arricchita nel XVII secolo, conquistando una posizione privilegiata ad Aleppo,[1][3] la famiglia Marrash dovette affrontare varie difficoltà, tra queste la morte di Butrus Marrash, ucciso in occasione di uno scontro tra cattolici e ortodossi nel 1818,[4][5][6] e l'esilio del prete Jibrail Marrash.[5] Il padre di Maryana, Fathallah, tentò di mettere freno ai conflitti settari tra le due comunità, scrivendo un trattato nel quale rigettò la Filioque.[4] Il padre realizzò una vasta biblioteca privata[2] in modo da assicurare ai tre figli Francis, Abdallah e Maryana un'educazione completa, in particolare per quanto riguardava la lingua e la letteratura araba.[7][8] La madre di Maryana era della famiglia al-Antaki, imparentata con l'arcivescovo Demetrius Antachi.[9][10]
Aleppo costituiva un importante centro intellettuale dell'Impero ottomano, dove una folta serie di pensatori e scrittori sviluppava la cultura araba.[8] I giovani Marrash studiarono varie lingue, tra le quali l'arabo, il francese, l'italiano e l'inglese.[8] Garantendo una formazione scolastica alla figlia, i genitori di Maryana sfidarono solide norme sociali che precludevano alle donne l'istruzione.[11][9] All'età di cinque anni Maryana fu iscritta a una scuola maronita.[9] Fu poi educata dalle suore di St. Joseph ad Aleppo[12][13] e proseguì successivamente gli studi in una scuola inglese di Beirut.[14] Aldilà della formazione scolastica, Maryana fu notevolmente esposta alla cultura francese e anglosassone, venendo assistita dalla famiglia, in particolare per quanto riguardava la letteratura araba.[2] Eccelse in particolare nella lingua araba e francese, in matematica e nelle arti del qanun e del canto.[15] In seguito alla morte della madre sposò Habib Ghadban, di una locale famiglia cristiana.[16] La coppia ebbe un figlio maschio e due femmine.[17]
Carriera letteraria
A partire dal 1870, Marrash cominciò a contribuire a giornali quali Al-Jinan e Lisan al-hal, entrambi con sede a Beirut.[18][16][19][2] Nei suoi articoli criticò la condizione delle donne arabe, esortandole, indipendentemente dalle loro affiliazioni religiose, a impegnarsi nel conseguire un'istruzione e ad esprimersi sulle questioni che le riguardavano.[2][20]
La sua raccolta di poesie Bint fikr venne pubblicata a Beirut nel 1893; il permesso di stampa fu garantito a Marrash dalle autorità ottomane dopo che ella compose un poema che esaltò il sultano Abdul Hamid II.[21] La raccolta incluse vari altri panegirici celebranti i governatori ottomani di Aleppo.[22] Rispetto a quella del fratello Francis la poesia di Maryana si caratterizzava per uno stile più tradizionale.[23][24] Maryana scrisse poi [Tarikh] [Suriya] al-hadith, incentrato sulla storia della siria ottomana e rappresentante il primo libro del suo genere.[25]
(EN) Sabry Hafez, The Genesis of Arabic Narrative Discourse: a Study in the Sociology of Modern Arabic Literature, Saqi Books, 1993, ISBN978-0-86356-149-8.
(EN) Sharon Halevi e Fruma Zachs, Gendering Culture in Greater Syria: Intellectuals and Ideology in the Late Ottoman Period, I. B. Tauris, 2015, ISBN978-1-78076-936-3.
(EN) Bruce Masters, Christians and Jews in the Ottoman Arab World: the Roots of Sectarianism, Cambridge University Press, 2001, ISBN0-521-80333-0.
(EN) Heghnar Zeitlian Watenpaugh, The Harem as Biography: Domestic Architecture, Gender and Nostalgia in Modern Syria, in Harem Histories: Envisioning Places and Living Spaces, Duke University Press, 2010, ISBN978-0822348580.
(EN) Keith David Watenpaugh, Being Modern in the Middle East: Revolution, Nationalism, Colonialism, and the Arab Middle Class, Princeton University Press, 2006, ISBN978-0691121697.
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(EN) Joseph T. Zeidan, Arab Women Novelists: the Formative Years and Beyond, State University of New York Press, 1995, ISBN978-0-7914-2172-7.
(EN) Ashraf A. Eissa, Majallat al-jinān: Arabic Narrative Discourse in the Making, in Quaderni di Studi Arabi, vol. 18, 2000, pp. 41–49, JSTOR25802893.