Lucio Tario Rufo
Lucio Tario Rufo (in latino: Lucius Tarius Rufus; Piceno o Liburnia, 63 a.C. circa – 13 d.C. o 24 d.C.) è stato un politico e militare romano, console dell'impero romano. BiografiaAl servizio di OttavianoOriginario dell'agro Piceno oppure della regione dalmatica della Liburnia[1], Lucio Tario Rufo aveva origini umilissime, ma la sua militaris industria gli fece ottenere il riconoscimento e l'amicizia di Ottaviano Augusto[2]. Già sostenitore di quest'ultimo al tempo del triumvirato e forse introdotto in senato proprio in quel tempo dal suo patrono[3], Tario compare come praefectus classis[4] della flotta di Ottaviano ad Azio a capo di una piccola flottiglia che, poco prima della battaglia di Azio (forse nell'agosto 31 a.C.), fu attaccata di sorpresa nella zona del golfo aziaco e messa in fuga dalle navi di Gaio Sosio, per poi essere salvata dall'arrivo del grosso della flotta ottavianea guidata da Agrippa[5]. Probabilmente Tario fu poi utilizzato da Ottaviano in altre campagne a noi ignote[3], anche se sembra non essere lui il proconsole di Cipro attestato da un'epigrafe mutila da Pafo[6]. Carriera sotto AugustoTario ricompare nelle fonti nel 17 a.C. in Macedonia con il titolo di pro praetore, misterioso in un'epoca in cui i governatori provinciali avevano il titolo di proconsole o di legatus Augusti pro praetore, ma che probabilmente sta a significare un comando provinciale proconsolare di rango pretorio[7]. In questa veste, Tario, fino alla prima metà del 16 a.C., governò la provincia e gli eserciti di Macedonia come anche gli eserciti di Tracia, che guidò in una importante vittoria contro i Sarmati del Basso Danubio, oltre il quale i barbari furono ricacciati[8]. Per questo è possibile che abbia ricevuto da Augusto gli ornamenta triumphalia[9]. Grazie alla sua prodezza militare e all'amicizia di Augusto, Tario fu eletto console suffetto per la seconda metà del 16 a.C.: egli, homo novus[2][10], si trovò così alla massima carica dello stato al fianco del nobile Lucio Domizio Enobarbo, parente di Augusto, in sostituzione dell'altrettanto nobile Publio Cornelio Scipione[11]. Sposato con una moglie a noi ignota[12], Tario, grazie ai bottini ottenuti in guerra e alla generosità di Augusto, riuscì ad accumulare un'immensa fortuna, tra cui immense proprietà nell'agro Piceno adibite sicuramente alla produzione vinicola[13], anche se, a causa di speculazioni fondiarie, dovette, nonostante la sua antiqua parsimonia, perderne gran parte con il passare del tempo[2]. Iscrizioni ritrovate in una tomba servile sulla Via Salaria attestano anche un gran numero di schiavi di Tario, che si unirono in un collegium funerarium e costruirono per sé la suddetta tomba[14]. Tario ebbe verosimilmente un unico figlio, il quale, istigato da altri a raccogliere l'eredità paterna, tentò di assassinare il padre fallendo a causa della sua timidità. Tario allora convocò un consilium cui partecipò anche Augusto in persona, che richiese la messa per iscritto delle punizioni proposte dai presenti e affermò dietro giuramento di non voler ereditare i beni di Tario. La votazione, sicuramente influenzata dall'affermazione del princeps, si concluse con il verdetto di esilio per l'adulescentulus: Tario gli scelse come meta la gradevole città di Massalia in Gallia Narbonense e, nonostante tutto, continuò a sovvenzionare il figlio[15]. Ultimi anniTario ricompare nelle fonti sotto Tiberio, all'interno della lista di curatores aquarum stilata da Frontino come successore di Ateio Capitone, morto nel 22 d.C.[16] La presenza inaspettata e bizzarra di Tario, che sarebbe stato ormai ultraottantenne e preceduto da consolari più giovani, ha indotto Ronald Syme a ipotizzare una corruttela con lacune nel testo del de aquaeductu e, ripristinando l'ordine consolare, a collocare così Tario come secondo curator aquarum dopo la morte di Messalla Corvino nell'8 fino al 13 d.C., quando evidentemente il consolare morì e fu sostituito da Capitone: Syme spiegava la corruttela con la possibilità che dopo Capitone fosse diventato curator Vibio Rufo, dal cui cognomen si sarebbe poi generata la confusione nella tradizione del testo[17]. L'ipotesi non è stata però accettata unanimemente dalla critica[18], in particolare perché gli interventi di Syme andrebbero a modificare pesantemente il testo tràdito mentre si trovano anche altri casi di senatori molto anziani preposti a cariche civili alla fine della loro vita[19]. Note
Bibliografia
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