Grazie soprattutto al brevissimo intenso ritratto che ne ha lasciato Quinto Orazio Flacco, è stato consacrato dalla tradizione successiva come archetipo del maestro pignolo, retrivo e irascibile.
Biografia
Gaio Svetonio Tranquillo fornisce la biografia di Orbilio nel suo De grammaticis et rhetoribus[7]. In quest'opera, che costituisce la principale fonte di informazioni su Orbilio, l'autore, pur indulgendo in particolari biografici curiosi e scandalistici, li accompagna con citazioni di fonti esterne componendo un ritratto coerente e caratteristico.
Nato a Beneventum, Orbilio affrontò fin da ragazzo studi regolari con grande impegno[8]. In giovinezza, subì il grave trauma della perdita nello stesso giorno di entrambi i genitori per morte violenta[9]: era infatti il periodo della guerra civile dell'83-82 a.C. tra Mario e Silla e della guerra sociale, che provocarono migliaia di morti in tutta la Magna Grecia orientale.
Orbilio dovette dunque ingegnarsi come apparitor, cioè passacarte e fattorino amministrativo[10]. Prestò successivamente servizio militare prima come ausiliario e poi come cavaliere (cornicularius) in Macedonia. Terminata la leva militare, riprese e completò gli studi[11].
Dopo aver a lungo insegnato nella sua terra natale, a cinquant'anni si trasferì a Roma nell'anno del consolato di Cicerone (63 a.C.) e lì insegnò con maggior fama che guadagno[12]: infatti, in età assai avanzata ammise in un suo scritto di vivere in povertà e di abitare in un sottotetto[13].
Con la vecchiaia, il suo carattere si inasprì[14]; avversava in qualunque occasione, anche in pubblico e con parole sguaiate, non solo rivali letterari e personaggi famosi[15], ma anche i suoi studenti, come lascia intendere Orazio, che, avendo avuto Orbilio già sessantenne come insegnante, gli affibbiò il soprannome di plagosus ("che causa ferite/piaghe"[16], vale a dire "manesco"[17] o addirittura "contundente"[18]):
(LA)
«Non equidem insector delendave carmina Livi esse reor, memini quae plagosum mihi parvo Orbilium dictare; sed emendata videri pulchraque et exactis minimum distantia miror.»
(IT)
«E comunque non depreco e non voglio distrutti i poemi di Livio che — ricordo — a me da ragazzo Orbilio dettava a suon di botte, ma mi meraviglio che siano creduti puri, leggiadri, praticamente perfetti.»
Tale attitudine non fu riservata solo alla didattica, ma fu usata anche contro personaggi politici, ai quali Orbilio non risparmiava allusioni sarcastiche: lo assicura Svetonio, riferendo un aneddoto[19] e riportando un verso del poeta Domizio Marso[15]:
(LA)
«Si quos Orbilius ferula scuticaque cecidit.»
(IT)
«Se quelli che Orbilio con la sferza e la verga colpì...»
Il suo interesse per la letteratura antica è testimoniato da un altro aneddoto riportato da Svetonio[20]: il grammatico Pomponio Andronico, divenuto povero, vendette l'intera sua opera di Confutazioni degli Annali di Ennio a uno sconosciuto per sedicimila sesterzi. Sparita dalla circolazione tale opera, secondo Svetonio Orbilio sostenne di aver ricomprato questi libri per curarne la diffusione a Roma sotto il nome del loro autore[21].
Gli fu dedicata una statua a Benevento, dove appariva seduto, vestito di pallio e con ai lati due scrigni[23]. Lasciò un figlio con il suo stesso nome, anch'egli grammatico e insegnante[24].
Di quanto scritto da Orbilio non ci è rimasto praticamente nulla. Svetonio però riferisce la pubblicazione di un'opera, intitolata Perialogos riguardante le lamentele per le offese che gli insegnanti ricevono a causa della negligenza o l'ambizione dei genitori[26]. Tale titolo, così come riportato dalla tradizione manoscritta di Svetonio, è parola non documentata altrove né in latino né in greco; a meno che non si tratti di un neologismo essa più probabilmente testimonia un errore di trascrizione del testo: il titolo in lingua greca — sia esso in alfabeto greco o già traslitterato in alfabeto latino — non è stato compreso generando un errore che è giunto a noi nella forma Perialogos. Sono state formulate dai filologi diverse ipotesi di emendazione per risalire alla sua corretta lettura: tra esse, Brugnoli, oltre a Peri algeos[27], cita Περιαλγής[28], Peri alogon[29], Παιδαγωγός[30], Periautologos[31], Αἰτιαλόγος[32] e Περιαλουργός[33].
Frammenti
Della sua opera ci sono giunti per tradizione indiretta solo tre frammenti che attestano l'interesse di Orbilio per le sinonimie:
Il primo è citato da Svetonio stesso nel De grammaticis et rhetoribus:
(LA)
«Sunt qui litteratum a litteratore distinguant, ut Graeci grammaticum a grammatista, et illum quidem absolute, hunc mediocriter doctum existiment. Quorum opinionem Orbilius etiam exemplis confirmat: namque apud maiores ait cum familia alicuius venalis produceretur, non temere quem litteratum in titulo sed litteratorem inscribi solitum esse, quasi non perfectum litteris sed imbutum.»
(IT)
«Ci sono quelli che distinguono letterato da letteratore, come i Greci il grammatico dal grammatista, e l'uno lo definiscono assolutamente colto, l'altro mediocremente. Orbilio ne conferma l'opinione anche con esempi: e infatti afferma che i nostri avi, quando gli schiavi di qualcuno erano esposti in vendita, erano senz'altro soliti scrivere sul cartello non già letterato ma istruito, quasi per dire che lo schiavo non era un perfetto conoscitore della letteratura ma soltanto uno che sapeva leggere e scrivere.[34]»
Il secondo è citato da Isidoro di Siviglia nelle Differentiae, in riferimento a un frammento di Afranio:
(LA)
«Inter criminatorem et criminantem hoc interesse auctor Orbilius putat, quod criminator sit qui alteri crimen inferat et id saepius faciat, criminans autem qui crimen inferat et cum suspicione quoque id faciat, qua re quis magis noxius videatur.»
(IT)
«Tra accusatore e incriminatore l'autorevole Orbilio sostiene che ci sia questa differenza: il criminator è uno che intenta un'accusa contro qualcuno e lo fa fin troppo spesso, il criminans invece chi intenta un'accusa e lo fa anche con un indizio, per cui risulta più pericoloso.[35]»
Il terzo è citato da Prisciano nelle Institutiones grammaticae, nella sezione dell'ottavo libro sulle forme verbali, dove vengono citati alcuni casi in cui verbi normalmente deponenti (cioè di forma passiva ma di diatesi attiva) sono usati passivamente. A questi esempi sono accostati verbi di uguale comportamento in greco, a testimonianza dell'estrema sopravvivenza della diatesi mediopassiva anche in latino.
(LA)
«Orbilius: quae vix ab hominibus consequi possunt, ἀνύεσθαι.»
(IT)
«(Da) Orbilio: che a malapena possano essere conseguiti dagli uomini, ἀνύεσθαι (pron. anýesthai).»
Finite nell'oblio le sue opere, la fortuna della figura di Orbilio fu per secoli legata a quella del suo alunno più noto, Quinto Orazio Flacco, che ne consegnò ai posteri il brevissimo ritratto di istitutore puntiglioso, retrivo e violento. Tale reputazione divenne ben presto stereotipo del personaggio di Orbilio, trasformato così nell'icona dell'istitutore incline alla punizione corporale, come appare da alcune testimonianze di epoche successive.
L'orbilianismo
Lo stereotipo di Orbilio generò in epoca illuminista la parola Orbilianismo, indicante la parafilia degli Orbilianisti, educatori che abusano della flagellazione sugli studenti provandone piacere. I termini compaiono nel curioso libello francese dal titolo Memorie storiche sull’orbilianismo e sulle correzioni dei gesuiti[36] pubblicato nel 1764. In esso la denuncia dei metodi sadici e violenti degli educatori religiosi non era tanto ispirata a volontà umanitarie quanto a un'esplicita propaganda antigesuitica nella Francia che di lì a poco avrebbe intrapreso la via della Rivoluzione.
Pieter van Braam
Il filologo e poeta olandese Pieter van Braam oltre a pregevoli carmina in lingua latina scrisse anche diverse poesie in olandese tra cui una intitolata Orbilius Antibarbarus:
(NL)
«De schrandre Orbilius, de Valla van zijn' tijd, Die al zijn geestvermogens wijdt Aan 't oordeelkundig onderzoeken Van oude en nieuwe spelleboeken,
Hij, die de doling van een komma fiks betrapt, En, wijl de letters 't woord en woorden zaken maken, Eerst om de letters denkt, en eindlijk om de zaken; Hij, wien geen streep, geen stip ontsnapt.
Die held, die door zijn edelmoedig pogen, De taal dus keurig schift en zift, Sloeg onderdaags de scherpziende oogen Toevallig op een luifelschrift:
Wat ziet hij?... hij staat stil, verbleekt, en zegt: ô Narren! Waar zal 't in 't eind nog heen?... ô wee! Zoo durft men thans uw schoone taal verwarren, Rampzalig vaderland!... Ach! Koffie met een C!»
(IT)
«Il bravo Orbilio, il Valla del suo tempo, che dedica tutta l'energia della sua mente a investigare con appropriato giudizio vecchi e nuovi abbecedari
lui che scopre severamente una virgola fuori posto, e, mentre le lettere indicano la parola e le parole oggetti, pensa prima alle lettere e dopo al loro senso; lui a cui non sfuggono punti o linee,
quell'eroe, grazie ai suoi nobili tentativi, così elegantemente soppesa la lingua. La sua vista acuta recentemente è caduta per caso su un'insegna pubblicitaria:
Cosa vede?... Si ferma, impallidisce e dice: «O folli! Dove andremo a finire?... Ahimè! a tal punto adesso osate confondere la nostra bella lingua, O rovinata madrepatria... Oh! Caffè con la K!»»
La poesia fu inclusa da Pieter Gerardus Witsen Geysbeek nel Dizionario biografico, antologico e critico della poesia olandese[37] come rappresentativa della personalità del suo autore. Essa era rimasta originariamente inedita ma fu scoperta fra le carte del poeta da Ewald Kist che l'inserì nel suo Elogio di Pieter van Braam.[38]
Arthur Rimbaud
Il poeta francese Arthur Rimbaud, esempio di genio precoce, a quattordici anni appena compiuti era già abile versificatore in latino. Studente esterno al collegio di Charleville, il 6 novembre 1868 propose il suo primo saggio di poesia, Ver erat[39]. Esso inizia descrivendo il poeta Orazio, a sua volta giovane studente, mentre approfitta di un'assenza forzata del maestro per effettuare una scampagnata:
(LA)
«Ver erat, et morbo Romae languebat inerti Orbilius: diri tacuerunt tela magistri Plagarumque sonus non jam veniebat ad aures, Nec ferula assiduo cruciabat membra dolore...»
(IT)
«Era primavera, e a Roma languiva per morbo infermo Orbilio: tacquero gli strali del crudele maestro Non più giungeva alle orecchie il suon delle percosse, Né la sferza tormentava le membra con diuturno dolore...»
Involontaria o intenzionale, l'identificazione dell'autore con il protagonista crea nello sviluppo successivo di questo poemetto un'impressionante profezia del futuro poeta simbolista e ribelle a ogni coercizione: Orazio si addormenta presso la riva di un fiume e in sogno viene incoronato d'alloro da uno stormo di colombe. Gli appare poi Apollo in persona che gli scrive sul capo TV VATES ERIS ("Tu sarai un veggente"); le colombe si riveleranno infine essere le nove Muse.
Giovanni Pascoli
Il poeta italiano Giovanni Pascoli nel suo carmen latino Sosii fratres bibliopolae ("Fratelli Sosii Editori"), scritto nel 1899 e vincitore del Certamen poeticum Hoeufftianum di Amsterdam nel 1900, rievocò Orbilio assieme a Publio Valerio Catone, nello scenario di una famosa casa editrice romana del I secolo a.C., mentre brontolano contro le nuove mode letterarie che stanno decretando il successo della poesia virgiliana e se ne vanno, uno da una parte, uno dall'altra, scuotendo la testa[40].
Goffredo Coppola
Un ritratto di Orbilio fuori dal coro è quello tratteggiato nel 1939 dal filologo Goffredo Coppola, che pone l'accento sulla povertà[41] che accompagnò Orbilio per tutta la vita travagliata anche dalle noiose lamentele delle famiglie degli alunni[7], a partire dall'infanzia tristissima, passando per le infelici condizioni economiche di emigrato a Roma fino a giungere alla vecchiaia trascorsa nella decrepitezza e nello squallore[42].
Tuttavia a questa premessa biografica Coppola fa seguire un elogio del personaggio interpretandone l'indole acerba come "rustica, burbera e tagliente", retaggio di "quella sanità contadina che dopo tanti secoli contraddistingue la gente campana", mentre le battute sarcastiche attribuitegli da Svetonio e Macrobio sono definite da Coppola lo spirito di chi "è stato educato giorno per giorno alla rude franchezza del carattere"[43].
La provocatoria simpatia di Coppola per Orbilio arriva al punto di fargli affermare che l'aggettivo plagosus attribuitogli da Orazio sia in realtà "un omaggio finemente allusivo alla virtù sua di perspicace interprete di vocaboli", e che l'apprendistato sotto Orbilio abbia contribuito a risvegliare in Orazio la vocazione alla scrittura satirica con la proprietà di linguaggio che contraddistingue il poeta venosino[44].
^De Carlo, p. 299: «Orbilius è gentilizio rarissimo, con due sole attestazioni epigrafiche a Roma, rinvenute nel sepolcreto sulla via Salaria 134, in una delle due, purtroppo frammentaria, si legge il cognomen Pupillus.»
^Orbilius Pupillus è traducibile con "orfanello minorenne" (vedi il lemma Pupillus nel Dizionario Olivetti, per cui il pupillus era il soggetto che necessitava di tutela parentale in caso di morte dei genitori fino ai 25 anni.
^Coppola, p. 118: «Posso dire con certezza che ancora oggi in Benevento, delle antiche statue allineate sulla facciata del Duomo, una ve ne mostrano che dicono fosse già quella di Orbilio: ma i più non sanno chi fosse Orbilio, e lo credono un santo, o almeno un uomo di chiesa...»
^Svetonio, IX, 1: studia [...] quae iam inde a puero non leviter attigerat..
^Svetonio, IX, 1: Morte parentum una atque eadem die inimicorum dolo interemptorum destitutus.
^Svetonio, IX, 1: Primo apparituram magistratibus fecit.
^Svetonio, IX, 1: Deinde in Macedonia corniculo, mox equo meruit, functusque militia studia repetiit.
^Svetonio, IX, 1: Professus diu in patria quinquagesimo demum anno Romam consule Cicerone transiit docuitque maiore fama quam emolumento.
^Svetonio, IX, 1: Namque iam persenex pauperem se et habitare sub tegulis quodam scripto fatetur.
^Frisone, cap. V: «E poiché l'umile mestiere di docente era riservato ai cittadini collocati nei livelli più bassi della scala sociale o ai liberti e agli schiavi, si sentiva umiliato e con percosse sfogava sugli alunni la sua frustrazione dovuta pure al fallimento della pubblicazione di un'opera biografica mediocre.»
^Santamaita, § 3.3: «...a Orbilio interessava che Orazio apprendesse il corretto uso della lingua latina; se per raggiungere questo obiettivo era necessario picchiare il giovinetto, ebbene lo picchiava senza tanti scrupoli, e anzi con la più profonda convinzione di agire "per il suo bene" [...] si trattava di una convinzione molto diffusa tra gli educatori, [...] agli occhi di chi lo praticava quel metodo garantiva [...] una buona conoscenza della grammatica [...] un salutare rispetto per la figura del magister, nonché per estensione dell'autorità in quanto tale. I maestri non avevano uno status sociale di rilievo, come tutti coloro che dovevano lavorare per vivere: ormai nella Roma repubblicana era decaduto il valore del lavoro, uno dei presidi fondamentali dell'età arcaica».
^Massarenti-Banda: «Forse si potrebbe rendere quel plagosus con un più ardito contundente. Orbilio maestro contundente.»
^Svetonio, IX, 4. Si tratta di una frecciata che Orbilio indirizzò nel corso di un processo in cui era stato chiamato a testimoniare contro un ottimate: l'avvocato della difesa, non conoscendolo, gli chiese che professione praticasse, ed egli rispose che era solito "spostare i gobbi dal sole all'ombra", riferendosi all'imputato che era gobbo. L'oscurità della battuta è testimoniata dal fatto che il medesimo aneddoto è riferito anche da Macrobio, II, 6, 4, ma con nomi e parole differenti.
^Svetonio, IX, 2: Librum etiam cui est titulus †Perialogos† edidit, continentem querelas de iniuriis quas professores neglegentia aut ambitione parentum acciperent.
^Traslitterazione di Περὶ ἄλγεος, Il dolore: Brugnoli, p. 12.
^Aitialogos, secondo Achille Stazio, p. 6, sarebbe un neologismo che indica un "discorso di reclamo", coerentemente alla descrizione che ne fa subito dopo Svetonio.
^Perialurgós, imporporato tutt'intorno ipotesi di Martin Hertz in Prisciano, GLK 2, p. 381: è parola tratta dagli Acarnesi di Aristofane, in cui un certo Lisistrato è «tinto dai mali in porpora, cui del freddo le offese e della fame, premono trenta e più giorni al mese» (traduzione di Ettore Romagnoli).
^Coppola, p. 119 parafrasa così: "«letterato» è assai più di «letteratore», essendo esso perfettamente educato nelle lettere rispetto all'altro che è soltanto iniziato alle lettere, dappoiché risultava in documenti che gli antichi se dovessero assumere a mercede un insegnante, l'assumevano sempre con la qualifica di «letteratore», e però pagavano assai meno che se l'avessero assunto con la qualifica di «letterato»".
^Coppola, p. 119 parafrasa così: "l'«incriminante» è assai più pericoloso dell'«incriminatore», giacché se questi accusa con leggerezza e per abitudine, l'altro invece accusa con diffidenza e circospezione".
^Vedi anche Frisone, cap. V: La professione di maestro di scuola era scarsamente considerata e poco retribuita. Il compenso consisteva nella modesta cifra di otto assi per alunno e in piccoli saltuari donativi da parte delle famiglie degli scolari. Questa misera condizione fu prevalente per tutta l'età repubblicana e cambiò solamente in epoca imperiale quando Vespasiano riconobbe l'importante ruolo degli educatori, stabilendo uno stipendio annuo di 100.000 sesterzi tratti dalla cassa imperiale privata, il fiscus.
^«...un pover'uomo che tirava a campare con poche, asciutte ed aspre lezioni di grammatica... in soffitta, povero e sempre alle porte del bisogno.» Coppola, pp. 117-118.
(LA) Gaio Svetonio Tranquillo, Suetonius, De grammaticis et rhetoribus, a cura di Robert A. Kaster, Oxford Clarendon Press, 1995, pp. 128–137, ISBN978-019814091-7.
(FR) Henry Bardon, collana La Littérature latine inconnue, vol. 1, L'époque républicaine, Parigi, Klincksieck, 1952, pp. 293–294, SBNRMS0036632. Parametro titolo vuoto o mancante (aiuto)
Antonella De Carlo, Il ceto equestre di Benevetum romana (PDF), in Paola Caruso (a cura di), ANTIQVA BENEVENTANA, vol. 1, n. 1, Benevento, La provincia sannita, 2013, p. 263-315, ISBN978-88-907651-7-9. URL consultato il 24 ottobre 2022.
Redi Sante Di Pol e Cristina Coggi (a cura di), La Scuola e l'Università tra passato e presente. Volume in onore del Prof. Giorgio Chiosso, Milano, FrancoAngeli, 2017, ISBN978-889175907-8.
Questa è una voce in vetrina, identificata come una delle migliori voci prodotte dalla comunità. È stata riconosciuta come tale il giorno 2 settembre 2005 — vai alla segnalazione. Naturalmente sono ben accetti suggerimenti e modifiche che migliorino ulteriormente il lavoro svolto.