Il 20 agosto 1977 commette il suo primo omicidio "eccellente", uccidendo il colonnello dei carabinieriGiuseppe Russo con la complicità di Giovanni Brusca; nel 1978 partecipa all'omicidio del boss di CaltanissettaGiuseppe Di Cristina, che prima di morire riesce a ferirlo. Nel gennaio 1979 uccide, in Viale Campania, con 6 pallottole il giornalista Mario Francese, che investigava sugli affari dei Corleonesi, e in particolare, sulla costruzione della diga di Garcia.
Il 21 luglio 1979 Bagarella uccise all’interno del Bar Lux di via Francesco Paolo Di Blasi a Palermo il vice questore Boris Giuliano, capo della Squadra mobile,[7] che stava indagando su di lui dopo essere riuscito a scoprire il suo nascondiglio, un appartamento in via Pecori Giraldi, da dove però Bagarella era riuscito a fuggire in tempo: all'interno dell'appartamento gli uomini del vice questore Giuliano scoprirono armi, quattro chili di eroina e documenti falsi con fotografie che ritraevano Bagarella e i suoi amici mafiosi.[8][9] Il 10 settembre 1979, due mesi dopo l'omicidio del commissario Giuliano, Bagarella venne arrestato a Palermo ad un posto di blocco dei Carabinieri, a cui aveva esibito documenti falsi.[10]
Nel novembre 1993, insieme a Giovanni Brusca, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro, ordinò il rapimento del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per 779 giorni, poi strangolato e sciolto nell'acido, per costringere il padre Santino a ritrattare le sue confessioni.[19] Nel 1995, fu il mandante di altri omicidi, come quello di Domenico Buscetta (ucciso solo perché nipote del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta), quelli di Giuseppe Giammona, della sorella Giovanna e del marito Francesco Saporito (uccisi a Corleone perché sospettati di essere affiliati ad una cosca rivale) e del dottor Antonio Di Caro, capo-mandamento di Canicattì (AG) strangolato e sciolto nell'acido da Vincenzo Chiodo e Giovanni Riina (figlio di Totò e nipote di Bagarella) perché sospettato di avere fatto una soffiata alla polizia.[20][21]
Sempre nel 1995 intervenne personalmente nella faida di Villabate in appoggio alla famiglia Montalto, che si contrapponeva ai Di Peri, appoggiati invece da Provenzano ed Aglieri. Si servì perciò del "gruppo di fuoco" di Brancaccio guidato da Antonino Mangano e Gaspare Spatuzza come braccio armato per altri spietati omicidi, che avvenivano solitamente con il rapimento della vittima, la quale veniva torturata per farla parlare e poi strangolata e sciolta nell'acido o fatta ritrovare incaprettata,[22] come avvenne nel caso del fioraio Gaetano Buscemi[23] del giovane Marcello Grado (figlio del boss Gaetano, rivale storico dei Corleonesi) e dei suoi amici Luigi Vullo e Giammatteo Sole.[24]
Il suicidio della moglie Vincenzina
La moglie di Bagarella, Vincenzina Marchese, che condivideva la latitanza con il marito, entrò in depressione dopo aver subito due aborti spontanei e per la vergogna di essere sorella di Pino Marchese, "il primo ‘corleonese’ pentito, il collaboratore di giustizia più odiato dalla famiglia Riina".[25] In particolare, la donna rimase “profondamente turbata, come gran parte del popolo di Cosa nostra, dalla storia del piccolo Giuseppe Di Matteo” (rapito e poi strangolato e sciolto nell'acido),[25] al punto da convincersi “che non avere figli [fosse] una sorta di castigo di Dio, una punizione per il rapimento di quel ragazzino innocente eseguito dagli uomini di suo marito.[25] Stando alla testimonianza di Alfonso Sabella, prima di suicidarsi, Vincenzina avrebbe interrogato suo marito riguardo alle sorti del bambino, il quale a quel tempo era ancora vivo; tuttavia, nonostante il boss le avesse detto la verità, la donna si diede la morte per disperazione, impiccandosi con una corda nella cucina del loro appartamento di Palermo. Secondo Tony Calvaruso, ex autista di Bagarella diventato in carcere collaboratore di giustizia,[26] dopo la morte fu seppellita in gran segreto dal marito su una collina di Altarello, vicino a Palermo. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.[27][28]
Arresto e carcere
Fu arrestato dalla DIA il 24 giugno 1995[29][30][31] in corso Tukory, affollata via di Palermo che collega la Stazione Centrale al campus universitario. Gli inquirenti lo individuarono grazie ad un suggerimento del collaboratore di giustizia Tullio Cannella, il quale gli consigliò di seguire un suo "autista", Antonio Calvaruso (detto Tony), titolare di un negozio di abbigliamento, che verrà pure lui arrestato e diverrà collaboratore di giustizia.[32] Da allora è sottoposto al regime del 41bis.
Nel 2002, durante un'udienza del processo "Arca" a Trapani alla quale Bagarella partecipò tramite videoconferenza, lesse un comunicato di protesta verso il sistema del carcere duro, indirizzato al mondo politico, che suscitò scalpore perché ritenuto da molti un messaggio intimidatorio per le promesse non mantenute.[33]
Il 24 aprile 2005 nel carcere di Spoleto gettò dell'olio bollente addosso a un altro detenuto (un boss della 'Ndrangheta), minacciandolo di morte, mentre il 28 settembre 2006, sempre in tale carcere, aggredì un agente della polizia penitenziaria.[34] A seguito di questi episodi di violenza, venne trasferito nel carcere di Parma.[34][35]
Nel 2021 fece notizia un'altra sua aggressione a un agente della polizia penitenziaria, agente che lo stava scortando nel corridoio del carcere di Sassari.[36]
Sempre nel 2001 Bagarella viene condannato all'ergastolo insieme al nipote Giovanni Riina e i fratelli Michele e Vito Vitale per gli omicidi dei fratelli Giuseppe Giammona, Giovanna Giammona, suo marito Francesco Saporito e il boss agrigentino Antonio Di Caro, commessi tra gennaio e giugno 1995.
Nel 2003, al termine del processo denominato "Arca" che trattava oltre cento omicidi avvenuti nell'ambito della faida mafiosa di Alcamo, Bagarella venne condannato all'ergastolo insieme ad Andrea Mangiaracina, Totò Riina e Salvatore Madonia.[46]
Nel 2008, Bagarella è condannato all'ergastolo per l'omicidio di Salvatore Caravà.[47][48]
Nel 2009, una sentenza della prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Palermo ha condannato all'ergastolo per l'assassinio di Ignazio Di Giovanni (ucciso per rifiutarsi di cedere alcuni sub-appalti) i capimafia Leoluca Bagarella e Giuseppe Agrigento (boss del paese in cui l'omicidio fu fatto), grazie alle dichiarazioni di Giovanni Brusca.[48]
Nello stesso 2009 subisce l'ergastolo, questa volta per il duplice omicidio avvenuto nel 1977 di Simone Lo Manto e Raimondo Mulè, uccisi per futili motivi.[49]
Processo per la "Trattativa Stato-mafia" (prescritto)
La serie TV Il cacciatore ha tra i personaggi principali Leoluca Bagarella, interpretato dall'attore David Coco. Nella serie TV vengono illustrate alcune sfaccettature della vita di Bagarella rivelate dal pentito Tony Calvaruso (nel film interpretato da Paolo Briguglia). Infatti, viene ben illustrata la sua ammirazione per la cantante Ivana Spagna e il rapporto controverso con la moglie Vincenzina Marchese, morta probabilmente suicida nel marzo 1995.