Jacques DelilleJacques Delille noto come abbé Delille (Clermont-Ferrand, 22 giugno 1738 – Parigi, 2 maggio 1813) è stato un poeta e traduttore francese, considerato il più importante poeta francese, assieme a Voltaire, del XVIII secolo[1]. BiografiaDelille studiò dapprima presso il parigino Collège de Lisieux, poi in quello di Beauvais e infine al Collège de la Marche di Parigi.[2] Intraprese in seguito la carriera di insegnante di humanae litterae ad Amiens ed a Parigi, e divenne improvvisamente celebre per la sua traduzione, nel 1769, delle Georgiche di Virgilio, realizzata nonostante il parere contrario di Louis Racine.[1] Questa opera indicò il proliferare di una "agromania" sempre più crescente, e manifestò la via da seguire per intraprendere un ritorno verso la via della natura. Ricevette molti consensi e lodi anche da personaggi autorevoli, quali Federico il Grande e Voltaire, che ottenne per il suo collega Delille la nomina all'Accademia francese.[1] Infine il governò gli offrì il ruolo di professore di poesia latina presso il Collegio di Francia.[3] La fama di Delille aumentò vertiginosamente dopo la morte di Voltaire e in quegli stessi anni Delille ricevette la personale protezione da parte di Madame Geoffrin, di Maria Antonietta e di Carlo X di Francia. Nel 1782, la pubblicazione del poema didattico-descrittivo Les Jardins, nel quale l'autore evidenziò i primi segnali di una sensibilità preromantica, fu un vero e proprio trionfo, che però fu di effimera durata, a causa della Rivoluzione francese, durante la quale Delille non solo fu messo in ombra, ma rischiò anche la vita, che gli fu salvata grazie all'amicizia del procuratore della Comune, Chaumette.[1][3] Dal 1794 Delille preferì scegliere l'esilio, dapprima in Svizzera, poi in Germania e infine in Inghilterra, dove incominciò la traduzione dell'Eneide di Virgilio (1804) e la composizione di un poema sulla natura intitolato L'Homme des champs, bissato da Les Trois règnes de la nature (1804), dove cercò di esprimere attraverso un linguaggio poetico verità filosofiche e metafisiche.[2] Dopo aver terminato la traduzione del Paradiso perduto di John Milton, si attirò le ire e le critiche dei rivoluzionari con il libretto La Pitié, di impronta legittimista.[1] Richiamato in patria da Napoleone, intorno al 1802, riprese tutti i suoi privilegi ed i suoi incarichi e ripropose una versione aggiornata de L'Homme des champs, nel quale propose il binomio felicità e vita di campagna.[3] Concluse la sua carriera letteraria con un'opera deludente rispetto alle precedenti, la Conversation, poemetto in tre atti (1812).[2] Opere
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