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L'imposta patrimoniale, talvolta anche indicata in ambito giornalistico come "imposta o tassa sui ricchi",[1][2] è un'imposta sul patrimonio personale e generale delle persone fisiche.
Il motivo, dal punto di vista fiscale, è generalmente quello di esigere maggiormente dai "più-ricchi", mentre dal punto di vista politico è quello di redistribuirericchezza a favore dei non appartenenti alla fascia dei "più-ricchi", sotto forma di sgravi fiscali o sotto forme di spesa pubblica e assistenza (perequazione sociale).
Terminologia del diritto comparato
Nella terminologia del diritto francese, l'espressione completa usata del legislatore, impôt de solidarité sur la fortune, appare pleonastico se si considera che, nel linguaggio comune, i francesi usano la forma "impôt sur la fortune", terminologia generale per l'imposizione sul patrimonio.
Per la traduzione dell'istituto nell'inglese l'espressione più usata è "wealth tax" (talvolta "tax on wealth"), sicché in India vige il "Wealth-tax Act" (1957).
Nel diritto tedesco il termine equivalente è "vermögensteuer".
Terminologia della politica italiana
Nella terminologia politica e giornalistica italiana l'espressione "Legge sui ricchi" è entrata per la prima volta nel dibattito politico nel marzo 2009, in un'accesa polemica nella quale è intervenuto il premierSilvio Berlusconi. Tuttavia, l'espressione da lui usata, "Tassa ricchi", non può riferirsi al concetto di "tassa sui ricchi" ricavabile dal diritto comparato, bensì a significati eterogenei.[3]
Esempi di applicazione
In Francia, dal 1982, si chiama impôt de solidarité sur la fortune (ISF, in italiano: imposta di solidarietà sulla ricchezza) ed è annualmente pagata dai contribuenti aventi un patrimonio personale elevato, che nell'anno 2009 deve essere superiore a 750.000 euro.
Effetti sugli investimenti
Alcuni economisti hanno stimato un effetto disincentivante dell'imposta patrimoniale sui risparmi personali.[4]
Alcuni studi hanno rilevato e stimato un effetto di decrescita sul PIL.[5][6]
Storia
Italia
In Italia si attuò un'imposta patrimoniale in periodi particolari di crisi economica congiunturale, come nel 1922 (con il R.D.L. 5 febbraio 1922, n. 78) a seguito della depressione del 1920-1921, oppure per esigenze straordinarie, come fu quella di finanziamento delle guerre d'Africa (1936-1938), biennio in cui con questa finalità furono decretate tre imposte patrimoniali straordinarie[7], oppure quella per la ricostruzione postbellica del 1947.
1922
R.D.L. 5 febbraio 1922, n. 78. Essa si applicò sia alle persone fisiche che agli enti collettivi (comprese le società per azioni).
1936 - 1938
R.D.L. 5 ottobre 1936, n.1743, convertito in legge n.151 del 14 gennaio 1937. Si applicò alla proprietà immobiliare.
R.D.L. 19 ottobre 1937, n. 1729. Si applicò al capitale delle società per azioni.
R.D.L. 9 novembre 1938. Si applicò al capitale delle aziende industriali.
1947
Legge 1 settembre 1947, n. 828. Imposta straordinaria sul patrimonio delle persone fisiche.
L'applicazione di tasse patrimoniali solleva questioni piuttosto complesse.[10]
Infatti:
tassando uno stock (una quantità fissa, non un flusso che si rinnova annualmente), tassarla a percentuali elevate finirebbe per ridurla drasticamente in poco tempo.
A questo si aggiunge la diversità della composizione della ricchezza nelle varie fasce di reddito: in particolare, i maggiori redditi sono composti soprattutto da quote societarie. È pertanto aperto il dibattito sulla tassazione del patrimonio societario, piuttosto che i redditi derivanti da quote societarie.
Da un punto di vista operativo, l'applicazione di imposte patrimoniali ha lo svantaggio di generare costi amministrativi elevati.[11]