Giovanni Luigi Satta
Giovanni Luigi Satta (Ozieri, 14 aprile 1892 – Roma, 21 aprile 1962) è stato un militare italiano, insignito della medaglia d'oro al valor militare nel corso della seconda guerra mondiale. BiografiaNacque a Ozieri il 14 aprile 1892, figlio di Salvatore.[1] Interruppe gli studi ginnasiali e si arruolò giovanissimo nell'arma dei carabinieri nel dicembre 1911.[2] Prese parte alla prima guerra mondiale con il 2º Squadrone autonomo mobilitato, operando sul Carso, con il grado di vicebrigadiere nelle operazioni di conquista del Monte Sabotino - per le quali fu insignito nel 1916 della Medaglia d'Argento al Valor Militare e, sul Piave, di brigadiere per le quali gli fu concessa nel 1917 la Medaglia di Bronzo.[1] Promosso maresciallo maggiore nel luglio 1921 nella legione di Cagliari, venne collocato a riposo per anzianità di servizio nel maggio 1935, ottenendo la nomina a sottotenente di complemento.[2] Richiamato temporaneamente servizio a domanda dal marzo 1937 e promosso tenente nell'agosto 1939, fu inviato in Africa Orientale Italiana sbarcando a Massaua, in Eritrea, nel novembre dello stesso anno, assegnato al gruppo C.C. di Addis Abeba.[1] Il 21 giugno 1940 fu trasferito al gruppo C.C. dell'Eritrea mobilitato, e si distinse in combattimento nella difesa di Agordat e di Cheren.[2] Rimasto gravemente ferito in combattimento il 15 marzo 1941, venne ricoverato presso l'ospedale "Regina Elena" di Asmara, dove fu fatto prigioniero di guerra.[1] Rientrò in Patria nell'agosto 1945, ritornando in servizio presso la Legione C.C. di Sassari e promosso capitano con anzianità retrodatata al gennaio 1943 fu collocato in congedo nel maggio 1949.[2] Richiamato in servizio attivo nel 1951 fu assegnato dapprima al Comando gruppo C.C. di Sassari e poi, dal febbraio 1954, alla legione territoriale di Roma che lo assegnò al Comando della IV Brigata C.C. di stanza nella Capitale.[1] Collocato in congedo assoluto per età il 31 maggio 1955, si spense a Roma il 21 aprile 1962.[2] Onorificenze«Leggendaria figura di eroe faceva rifulgere in aspri, durissimi combattimenti ed in circostanze quanto mai difficili, il suo alto valore di soldato e di comandante. Nella difesa contro un avversario assai superiore per forze e mezzi, il suo eroismo, nell'impari lotta destò ammirazione. Nelle furiose mischie corpo a corpo, conclusesi sempre con la nostra vittoria, il suo ardimentoso slancio fu superbo. Più volte ferito mai abbandonò il campo della lotta. Animatore e trascinatore impareggiabile, in altro aspro epico combattimento, nell'accingersi al lancio della penultima bomba rimastagli, riceveva in pieno un colpo avversario che provocava lo scoppio dell'ordigno impugnato, il quale gli asportava nettamente la mano e l'avambraccio destro ferendolo gravemente anche al petto ed alla gola. Straziato nelle carni, noncurante del dolore, trovava modo di rincuorare la sua gente nella ferma volontà di vincere ad ogni costo. In uno sforzo di sublime, ferrea volontà, quando le sue forze cominciavano ormai fatalmente a vacillare, trovava ancora la forza di lanciare sull'avversario l'ultima bomba, la cui sicura strappò faticosamente con i denti. Sul suo volto esangue, alla fine affiorò l'espressione radiosa che la vittoria sa conferire a chi la conquistò a tutti i costi ed a gravissimo prezzo. Difesa di Agordat e di Cheren, 24 gennaio – 15 marzo 1941.[3]»
— Decreto del Capo Provvisorio dello Stato del 30 luglio 1947. «Volontario di un drappello di carabinieri impiegato in prima linea, fu di esempio ai compagni per la calma, l'audacia e l'attività dimostrata durante l'azione di Gorizia dando altresì prova di singolare valore e d'arditezza non comune, tanto che sprezzante del pericolo, di sua iniziativa e da solo, riusciva ad impossessarsi di una mitragliatrice ed a esplorare con buon esito varie caverne situate al di là delle nostre linee avanzate, in posizione di facile accesso al nemico. Alto Sabotino, 6-9 agosto 1916.»
«Accorso in difesa di tre suoi dipendenti accerchiati da un preponderante numero di ribelli che volevano liberare un arrestato reo di oltraggio, e proditoriamente ferito di coltello alla coscia ed al fianco sinistro da uno dei rivoltosi, noncurante del grave stato in cui versava, dando mirabile esempio di coraggio e di alto sentimento del dovere, non abbandonava il suo posto, riuscendo col suo energico contegno a tener fronte ai ribelli e a far tradurre in caserma l'arrestato. Orune (Sassari), 31 agosto 1919.»
«Avvenuto lo scoppio di un deposito di munizioni, spontaneamente si dirigeva sul posto e vi si adoperava ad allontanare la popolazione civile dalla zona pericolosa. Travolto fra le macerie prodotte da una forte esplosione, si liberava da se, e benché contuso con fermezza e coraggio concorreva a salvare alcune altre persone che con lui erano state pure travolte. Recatosi poi all'ospedale per farsi medicare dalle contusioni riportate, tornava subito dopo sul luogo del disastro per continuare l'opera di salvataggio. Sant'Osvaldo (Udine), 27 agosto 1917.»
NoteAnnotazioni
FontiBibliografia
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