Giovanni Battista Fioretti
Giovanni Battista Fioretti (Montepulciano, 4 ottobre 1905 – Cefalonia, 24 settembre 1943) è stato un ufficiale italiano; fu capo di stato maggiore della 33ª Divisione fanteria "Acqui" durante i tragici fatti di Cefalonia del settembre del 1943. «Il colonnello Gian Battista Fioretti, capo di Stato Maggiore della divisione, è poco discosto dal colonnello Romagnoli. È circondato da altri ufficiali di Stato Maggiore del comando di divisione. A un certo momento vede avvicinarsi un soldato che tenta di strappargli l'orologetto d'oro dal braccio. Lo respinge energicamente. Poi si toglie l'orologetto da se stesso, si china a terra, e con un sasso, lo riduce in frantumi. Quindi fa un ghigno al tedesco e lo lancia lontano, con ampio gesto. Invita gli ufficiali di Stato Maggiore a recarsi tutti insieme, con lui, sotto il plotone di esecuzione. Poi viene da me. Mi consegna gli ultimi ricordi per l'adorata famigliola lontana, tra cui una piccola fotografia delle due tenerissime figliolette, e mi dice: Cappellano guardi. Queste son le mie due bambine. Resteranno senza babbo. Se avrà salva la vita, porti a quelle creature la mia benedizione e a mia moglie la sua parola di conforto! Mi abbraccia, mi bacia, e - precedendo tutti - con passo fermo, nobilissimamente, col sorriso sulle labbra, il capo di Stato Maggiore della divisione Acqui va al supplizio.» BiografiaNacque a Montepulciano il 4 ottobre 1905, figlio di Paolo e di Giustina Trabalzini. Visse tra Umbria e Toscana e in particolare a Pozzuolo Umbro di Castiglione del Lago. Col grado di Sottotenente di complemento d'artiglieria conseguito alla Scuola Allievi Ufficiali di Pola nel 1924, entrò nell'Accademia militare di Torino, uscendone con il grado di Tenente nel 1928. Per quasi quattro anni prestò servizio nel 29º Reggimento artiglieria da campagna, e poi chiese ed ottenne nel 1932, di essere inviato in Africa Orientale,[1] assegnato al Regio corpo truppe coloniali della Somalia. Scoppiata la Guerra d'Etiopia nell'ottobre 1935,[2] prese parte alle operazioni per la conquista dell'Ogaden,[3] meritando una Medaglia di bronzo al valor militare e una Croce al merito di guerra. Ufficiale di stato maggioreRimpatriato sul finire del 1936 perché ammesso a frequentare il 66º Corso della Scuola di guerra dell'esercito, prestò servizio per pochi mesi nel Comando della 133ª Divisione corazzata "Littorio"[4] e, ritornato nel 29º Reggimento artiglieria da campagna, dopo l'entrata in guerra[5] dell'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, prese parte alle operazioni[6] belliche contro la Francia nel settore delle Alpi Occidentali.[6] In esperimento per il servizio di Stato maggiore, col grado di Maggiore, venne destinato al Comando della 18ª Divisione fanteria "Messina"[7] operante in Albania, partecipando all'attacco alla Jugoslavia[4] e, quale capo sezione operazioni, partecipò alle operazioni per la conquista delle Bocche di Cattaro meritandosi una prima Medaglia d'argento al valor militare. Rientrato in Italia nel giugno 1941 perché destinato alla Stato maggiore del Regio Esercito, vi prestò servizio fino a luglio 1943, quando fu promosso Tenente Colonnello preparandosi quindi al servizio di Capo di stato maggiore. L'Eccidio di CefaloniaTransitato nel Corpo di Stato Maggiore, raggiunse l'isola di Cefalonia[8] dove si trovava di stanza la 33ª Divisione fanteria "Acqui",[9] allora al comando del generale Antonio Gandin[8] della quale fu nominato Capo di stato maggiore. Dopo la proclamazione dell'armistizio dell'8 settembre 1943 prese parte ai combattimenti contro le truppe tedesche.[8] Una volta catturato, fu fucilato alla cosiddetta Casetta Rossa il 24 settembre per non aver voluto accettare la resa incondizionata ed essersi unito all'ordine di resistenza impartito del generale Gandin.[8] Onorificenze«Addetto al comando di una divisione, collaboratore attivo ed instancabile del proprio comandante, nel campo organizzativo, assolveva serenamente, nel corso di una operazione, sotto il fuoco avversario, i vari e delicati compiti affidatigli. Alla testa di una autocolonna, che arditamente penetrava nel territorio nemico ancora infestato da elementi attivi avversari, era di esempio per coraggio e sprezzo del pericolo. Antivari-Cattaro (fronte serbo), aprile 1941.»
«Capo di S.M. della Divisione, sostenitore convinto della lotta contro i tedeschi, all'atto dell'armistizio, con il suo comportamento coraggioso e disciplinato fu di costante esempio ai propri dipendenti. Durante la battaglia di Cefalonia, circondato l'osservatorio ove egli si trovava con l'arma alla mano, alla testa di pochi audaci, si apriva il varco riuscendo ad evitare la cattura. Preso successivamente prigioniero e condannato a morte dai tedeschi, affrontava la fucilazione con eroica fermezza così da riscuotere l'ammirazione dello stesso nemico. Cefalonia, 15-24 settembre 1943.»
«Comandante di una pattuglia comando del comando di artiglieria, prodigandosi incessantemente per fornire dati precisi per il tiro e utili informazioni, e per ristabilire i collegamenti attraverso una zona fortemente battuta dal fuoco nemico, dava esemplare prova di perizia, serenità e sprezzo del pericolo. Birgot, 24-25 aprile 1936.»
Note
Bibliografia
Voci correlateCollegamenti esterni
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