Eureka (Edgar Allan Poe)
Eureka: A Prose Poem è un saggio scritto da Edgar Allan Poe, derivato dalla rielaborazione di un testo presentato il 3 febbraio del 1848 a New York ad una conferenza sulla "Cosmogonia dell'Universo". La cosmologia scientifica di PoePoe era convinto di aver scritto l'opera più importante della sua vita ed intendeva proporre seriamente una teoria cosmologica su basi metafisiche e scientifiche[1], anche se descritta in un'opera letteraria, un "poema in prosa". Eureka non ebbe il successo che Poe si attendeva, nonostante fin dall'inizio la critica letteraria ne abbia dato un giudizio generalmente positivo: addirittura vi è una tradizione letteraria, che risale a Paul Valéry, la quale attribuisce a Poe intuizioni relativistiche. AnalisiUn'attenta analisi mostra che in realtà Poe non ha anticipato la relatività, ma ha posto e trattato diverse problematiche che sono al cuore della cosmologia moderna[2]. Il motivo alla base di questo apparente anacronismo è che Poe ha concepito un universo newtoniano non statico ma in evoluzione dinamica. Convinto che l'universo abbia avuto origine da una condizione di unità e che a questa condizione di unità esso tenda a tornare (come si manifesta dall'universalità della gravitazione), Poe attribuisce la nascita dell'universo dalla frammentazione di una particella primitiva in un "flash" per l'azione di una forza repulsiva; una volta esauritasi l'azione di questa forza, gli atomi diffusi nello spazio hanno cominciato ad attrarsi e a formare le stelle e i sistemi stellari (Poe riprende esplicitamente e generalizza l'ipotesi della nebulosa primordiale di Laplace). L'insieme di questi sistemi stellari ("the Universe of Stars"), ciascuno dei quali ha un rango paragonabile alla Via Lattea (ovvero, in termini moderni, è una galassia), ha una distribuzione sferica di raggio grande ma non infinito, ed è destinato a causa della gravità a collassare in futuro e a tornare all'unità primordiale. «Se la successione delle stelle fosse senza fine, allora il fondo del cielo si presenterebbe come una luminosità uniforme, come quella mostrata dalla Galassia [la Via Lattea, ndr], dato che non ci sarebbe assolutamente alcun punto, in tutto il cielo, nel quale non esisterebbe una stella. La sola maniera, perciò, con la quale, in questo stato di cose, potremmo comprendere i vuoti che i nostri telescopi trovano in innumerevoli direzioni, sarebbe supporre che la distanza del fondo invisibile sia così immensa che nessun raggio proveniente da esso ha potuto finora raggiungerci.[3]» Traduzioni italiane
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