DehqanIl dehqān o dihqān o duhqān (in persiano دهقان), erano gli appartenenti alla classe dei proprietari terrieri durante il periodo sasanide e nel primo periodo islamico. Essi amministravano i lavoratori agricoli e gli abitanti dei villaggi che facevano parte delle loro proprietà, incassandone i proventi non necessari alla buona prosecuzione dell'attività agricola.[1] EtimologiaIl significato originale era “pertinente al deh" (lingua persiana antica dahyu), in cui deh indicava al “villaggio” in senso ampio, nel senso anche di “terra”.[1] Epoca preislamicaNell'età preislamica sasanide, i dehqān divennero progressivamente proprietari che potevano lasciare in eredità la loro carica e la loro attività. Una sorta di classe media che gestiva gli affari locali e ai quali i contadini erano obbligati ad ubbidire. A seguito della repressione dell'insurrezione mazdakita, Cosroe I dette impulso a riforme sociali di cui i principali beneficiari furono i dehqān.[2][3] Successivamente, durante i regni di Cosroe I e di Kavad I, i dehqān esercitarono una forte influenza sulla struttura portante dell'esercito sasanide e operarono anche come esattori imperiali delle tasse.[3] Nella loro ascesa, essi mantennero saldamente la loro etica, i loro ideali e le norme sociali che furono poi ripristinate nell'età islamica persiana medievale.[4] Epoca islamicaNei primi testi islamici, la funzione di dehqān talvolta si sovrapponeva a quella del Marzpān (“signore delle marche, governatore”). Ancora nell'XI secolo, i dehqān erano coinvolti nell'agricoltura, nella sua gestione e nello sfruttamento dei suoi proventi e delle sue rendite.[5] Oltre al loro ruolo politico e sociale, i dehqān (che erano anche versati nelle discipline legate alla storia e alla cultura dell'Iran, svolsero un importante ruolo culturale al servizio dei nuovi signori arabi.[6] Per esempio, il Wālī di Baṣra, secondo una fonte, aveva tre dehqān al suo servizio, che gli narravano della grandezza dell'Impero sasanide abbattuto dagli Arabi musulmani e che gli ripetevano dell'inferiorità del governo arabo. Gli Iraniani non conservarono soltanto gli ideali tipici dei dehqān fin dall'epoca sasanide in pieno periodo arabo-islamico, ma inculcavano tali ideali nelle menti dell'aristocrazia araba al governo, che non era affatto ostile ai matrimoni misti con l'elemento iranico.[6] Nel IX secolo, i Tahiridi, che tracciavano la loro origine a dehqān persiani, avviarono la rinascita della cultura persiana.[7] Durante l'era selgiuchide, i dehqān ebbero un ruolo importante quando i Turchi si rivolsero alla loro "aristocrazia" per governare il loro impero (la cui capitale era l'iranica Isfahan. L'alleanza stretta tra dehqān e Selgiuchidi tuttavia suscitò il risentimento dell'elemento tribale turcomanno dopo il 1055, quando Tughril Beg s'impadronì della capitale abbaside di Baghdad.[6] A causa dell'attaccamento dei dehqān alla cultura iranica, il termine dehqān era diventato sinonimo di “Persiano dal sangue nobile”, in contrasto con gli Arabi, i Turchi e Bizantini. Secondo alcune fonti, incluso Neẓāmī ʿArūzī, anche il poeta nazionale persiano Ferdowsi discendeva da dehqān.[6] Un altro poeta che definisce se stesso un dehqān è Qatrān-i Tabrīzī, esperto dell'antica poesia persiana. La sua poesia non manca di riferimenti alle caratteristiche del tradizionale dehqān.[6] Note
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