Dante AlmansiDante Almansi (Parma, 15 settembre 1877 – Parma, 4 gennaio 1949) è stato un funzionario italiano, ebreo, dal 1939 tra i fondatori della DELASEM e presidente dell'UCEI, attiva anche in clandestinità nei mesi di occupazione tedesca, dopo l'8 settembre 1943 e nei territori controllati dal governo della Repubblica Sociale Italiana (RSI). BiografiaFiglio di Abramo e di Gemma Formiggini, si laureò in giurisprudenza (1900) presso l'università di Parma[1]. Nel 1901 entrò al Ministero dell'interno per concorso nell'amministrazione provinciale presso le prefetture di Mantova, di Parma e poi di Livorno. Fece parte dell'amministrazione centrale come Capo sezione a Roma (1929)[1], quindi fu promosso consigliere. Ottenne la nomina di Prefetto di 2 classe (gennaio 1923)[1], assegnato a Caltanissetta. L'anno successivo, collocato a disposizione del Ministero dell'interno, fu incaricato di coadiuvare ed occorrendo supplire il Capo della Polizia[1][2] – carica all'epoca retta da Emilio De Bono – e governando l'Ufficio Affari generali e riservati della Direzione generale di Pubblica Sicurezza. Nel 1930 diventò, fra l'altro, consigliere della Corte dei Conti[1]. Collocato fuori ruolo dal personale dei consiglieri (settembre 1932)[1], fu nominato capo di gabinetto del Ministero delle finanze – presieduto da Guido Jung –, incarico che ricoprì fino al gennaio 1935[1]: si dedicò, tra l'altro, alla questione dei risarcimenti dei danni di guerra. Nel febbraio 1935 riprese la funzione di Magistrato alla corte dei Conti: tra le varie mansioni, nel 1936 fu sindaco del collegio dei sindaci dell'Azienda minerali italiani e nel 1937 sindaco nel Banco di Roma[1]. A seguito della promulgazione delle leggi razziali, in quanto di origine ebraica, fu posto a riposo il 30 gennaio 1939[1]. Dal 1939 al 1944, negli anni della persecuzione antisemita da parte del regime fascista, ricoprì il ruolo di Presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI) e fu tra i fondatori della Delasem[1], la Delegazione per l'Assistenza degli emigranti ebrei, sia a supporto degli ebrei perseguitati, sia stranieri in fuga che italiani. Dopo la liberazione di Roma, Almansi venne riammesso in servizio (ottobre 1944) e collocato a riposo dal ruolo di consigliere della Corte dei Conti con decreto presidenziale del 29 gennaio 1945[1], per anzianità di servizio. Nell'immediato dopoguerra si dovette difendere da un tentativo di processo di epurazione, in quanto accusato di essere stato, fino al 1939, attivamente partecipe del governo fascista[3], malgrado la persecuzione subita e la sua opera di sostegno a favore degli ebrei[4][5][6][7]. La testimonianza nel processo a Herbert Kappler (1948) fece emergere la vicenda del 26 settembre 1943, quando venne richiesta da parte di Herbert Kappler alla comunità ebraica di Roma di raccogliere e consegnare entro 36 ore un corrispettivo di 50 chilogrammi d'oro sotto la minaccia, in caso di rifiuto, della deportazione di 200 ebrei[5][7]. Almansi fu inoltre nominato regio commissario del comune di Carrara (dicembre 1913 - luglio 1914), sottoprefetto ad Ariano di Puglia e a Terni (dal 1915), prefetto ad Avellino, a Reggio Emilia e a Macerata (ottobre 1924 - 1927), regio commissario di Napoli (dicembre 1927 - gennaio 1930). OnorificenzeAlmansi fu insignito di numerose onorificenze[1]: Note
Bibliografia
Voci correlate
Collegamenti esterni
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