Cucina toscanaLa cucina toscana è costituita, principalmente, di piatti e dolci tradizionali che mantengono inalterata la loro preparazione da molti anni. Il pane senza sale è un'usanza che poche altre regioni hanno adottato (come l'Umbria). Pare che l'usanza risalga al XII secolo quando, al culmine della rivalità fra Pisa e Firenze, i pisani misero in pratica prezzi elevatissimi al prezioso cloruro di sodio. Esiste poi anche un'ipotesi che dice fossero gli stessi signori di Firenze ad imporre tasse particolarmente esose per l'uso del sale.[1] In Toscana la necessità di utilizzare il pane anche quando è raffermo ha prodotto una lunga serie di antiche ricette ancora molto diffuse: la panzanella, la panata, la ribollita, l'acquacotta, la pappa al pomodoro, la fettunta, la zuppa di verdura, la farinata, la minestra di cavolo nero o il Pan co' santi.
Tra i formaggi prevale il pecorino toscano, come prodotto da conservare: i più famosi quello di Pienza e quello maremmano; mentre troviamo il raveggiolo tra i formaggi molli. Fra i dolci spiccano il panforte, i ricciarelli, i cavallucci, la zuppa del duca, il berlingozzo, la torta di cecco, i migliacci, i cantuccini di Prato. Nell'ottobre 2008, per promuovere la tradizione toscana, la Regione ha pubblicato la piramide alimentare toscana[2]. PanePiatti tipici
Dolci tipici
Le cucine toscaneLa cucina toscana è contraddistinta dall'evidente disomogeneità e dalla radicale divergenza di ricette e tradizioni culinarie, soprattutto rispetto al territorio d'appartenenza e alla tradizione familiare, tanto che alcune famiglie conoscono paradossalmente più piatti non toscani, che piatti di province diverse: nel centro-sud della Toscana, ad esempio, in pochi conoscono la farinata di cavolo nero tipica del nord-est e della costa, dove però viene chiamata "Bordatino"; allo stesso tempo, sebbene molti fiorentini si rechino tradizionalmente in villeggiatura nelle zone di Viareggio e dell'Elba, spesso ignorano l'esistenza di piatti come il Cacciucco alla viareggina o il Gurguglione. Per questo molti autori propongono la locuzione "cucine toscane" per illustrare al meglio questa realtà. La cucina toscana nel tempoLa cucina toscana presenta una radicale dicotomia tra piatti di tradizione popolare e di creazione cortigiana: mentre i primi si sono mantenuti, pur variandosi, nel tempo, gli altri sono per lo più scomparsi o trovano debolissima eco; tra queste due tradizioni, solo negli ultimi secoli ha trovato spazio la cucina della classe media, che si distingue per l'utilizzo di carni avicunicole o selvaggina, confondendosi con quella nobiliare. Dirette conseguenze di ciò sono l'indiscussa "toscanicità" attribuita a piatti poveri (spesso costituiti di sole verdure) toscani (come la ribollita) o anche solo centro-italiani (come la panzanella), oltre che il sistematico utilizzo del pan bagnato come surrogato della carne; la sparizione di piatti nobili come il cibreo o la Ginestrata[6](sorta di zuppa di tuorli d’uovo mescolati con lo zucchero, albumi montati a neve, vin santo secco, cannella, noce moscata e brodo di pollo, considerata tonico, afrodisiaco e ricostituente) e la diffusione fuori dall'ambito locale d'origine di piatti come il paté di fegatini (invenzione di Caterina de' Medici); infine il sempre più rilevante impiego nelle zone paesane o rurali di carni bianche, tipico di una borghesia agiata, senza un apposito bagaglio di ricette, presente in altre regioni (coniglio alla ligure, abbacchio, pajata...) contrapposto al sistematico e isolato impiego di carne nelle zone cittadine, dove la classe media si era da tempo sviluppata (esempi sono la trippa alla fiorentina o il lampredotto venduto per strada quasi esclusivamente a Firenze[7]). Il consumo di selvaggina rimane tipico di zone rurali e/o montane, dove i toscani si recano appositamente. La cucina toscana nello spazioCome già detto, la cucina si differenzia notevolmente dalla costa all'interno: infatti, piatti come caldaro o cacciucco sono solo sporadicamente cucinati nell'interno, mentre la selvaggina viene impiegata nelle zone rurali della provincia senese, della Maremma, dell'alta val d'Arno, nell'Aretino, e in secondo luogo in Garfagnana e Lunigiana; l'eccezionale crescita della popolazione di cinghiali ha permesso che tutte le sue preparazioni siano usate un po' ovunque. D'altro canto, i pesci d'acqua dolce si trovano nella stessa sopracitata paradossale situazione del pollame: presenti negli ultimi secoli nelle tavole delle zone più povere e meno sviluppate, non hanno una tradizione culinaria propria: la Valdelsa ha, ad esempio, un'approfondita tradizione di pesca di fiume, ma non un'altrettanto approfondita cucina,e la zona del lago di Chiusi è famosa per il brustico). Consumati dagli strati più poveri della popolazione, specialmente da ebrei, devono a loro il quasi onnipresente metodo di cottura alla mosaica (stufati in salsa di pomodoro con soffritto d'aglio; oggi si tende a chiamarli alla pizzaiola con aggiunta di capperi e origano, per non confonderli con un'altra ricetta ebraica, che prevede pinoli e uvetta)[8]; una variante aretina è costituita dalle anguille alla giovese (ossia intinte in un sugo di pomodoro su un soffritto di odori, ricetta tipica di Giovi). Stranamente, è riguardo alle verdure che le differenze si accentuano: la farina di ceci viene quasi esclusivamente utilizzata sulla costa (cecìna, farinata, torta di ceci...) mentre, inspiegabilmente, la farina di castagno è utilizzata anche al di fuori delle zone montane (il castagnaccio è infatti diffuso in tutta la regione). Il farro, principale e onnipresente alimento etrusco, è da vari secoli coltivato solamente nel nord (varietà lucchese del farro dicocco) e risulta in piatti tipici come la minestra di farro (e fagioli). Il granturco era fino a pochi decenni fa massicciamente presente al centro della Toscana, nelle zone intorno alla confluenza dell'Arno con l'Elsa, dove non pativa il freddo delle Apuane, né il clima arido delle crete; la polenta veniva al contrario consumata sui monti a causa della sua economicità, insieme alla polenta dolce (di castagne). A causa della tarda introduzione, sono anche in questo caso contemplate poche ricette: essa veniva fatta in enorme quantità al mattino, e innaffiata con latte, in seguito con olio e formaggio, se avanzata veniva fritta, e se avanzava pure quest'ultima veniva rifatta alla giovese. La zona di produzione dei formaggi spazia in tutto il centro-sud (in cui spicca però solo Pienza) mentre in Garfagnana e Lunigiana venivano un tempo prodotti formaggi di latte vario utilizzando i cardi come caglio. La carneMaialeLe famiglie dei ceti medio e basso, anche se vivono in città, verso la fine di novembre e i primi di dicembre si recano presso contadini, conoscenti o parenti per ravversare il maiale secondo la tradizione. Il maiale, un castrone dai 180 ai 220 chili, viene macellato per avere una scorta di viveri per tutto l'inverno e parte della primavera. Questo perché in Toscana, come in molte altre parti del paese, le carni selezionate e trattate con sale pepe e altre spezie vengono conservate appese ad un gancio in ambienti freschi e asciutti. In questo modo vengono stagionati:
Come costume si cerca di utilizzare il massimo senza buttare via niente del maiale, le budella per esempio venivano rovesciate e pulite per metterci gli insaccati, oggi vengono utilizzate per gli insaccati pellicole per alimenti così come le troviamo comunemente in commercio. Non tutte le parti però possono essere conservate e quindi devono essere mangiate subito nei primi giorni dopo aver ravversato il maiale. Alcune di queste costituiscono per gli appassionati, delle vere e proprie ghiottonerie come: Eccellenza gastronomica è considerata la carne ottenuta da suini di razza cinta senese.[9] È una razza suina allevata allo stato brado e semibrado su gran parte del territorio della provincia di Siena, nella parte meridionale della provincia di Firenze e in quella settentrionale della provincia di Grosseto. La razza è riconoscibile dalla caratteristica banda attorno al collo che contraddistingue gli animali, differenziandosi nettamente dal restante colore.[9] Sul finire del '900 questa razza ha rischiato l'estinzione evitata grazie a progetti di rilancio e tutela e all'assegnazione nel 2012 della DOP.[9] ManzoChianina e MaremmanaLa chianina e la maremmana sono tipi di carne bovina ottenuti dai rispettivi capi che vengono allevati allo stato brado o semibrado, rispettivamente nella Val di Chiana, Valtiberina, Casentino e nella Maremma. Considerate entrambe di eccellente qualità, pur con caratteristiche diverse dovute ai distinti territori in cui pascolano, si prestano bene per la bistecca alla fiorentina, ove però viene percepita la maggiore sapidità naturale della carne maremmana rispetto alla chianina: per questa ragione, mentre la chianina viene preferita per la classica bistecca, la maremmana viene maggiormente utilizzata nella preparazione di spezzatini e brasati. Trippa e lampredottoUna ricetta, la trippa alla fiorentina, vede l'utilizzo delle interiora di bovino adulto nella preparazione di uno dei più noti secondi piatti tipici di Firenze. La trippa viene usata anche nella preparazione di altre ricette che si differenziano a livello locale. Altrettanto conosciute sono la specialità fiorentina del lampredotto o quella di Pistoia del Carcerato entrambe gustose elaborazioni di interiora bovine. Fegato, lingua e cervelloSeppur prive di ricette famose, anche il fegato, la lingua e il cervello sono sempre stati alla base di secondi piatti di carne bovina. Mentre il fegato è tuttora relativamente utilizzato, lingua e cervello hanno riscontrato il loro maggiore successo nei decenni passati, con il secondo che veniva cotto principalmente mediante la frittura. Uno dei piatti tipici è sicuramente il cervello alla fiorentina. CacciagioneLa cacciagione è molto apprezzata nella cucina toscana: quasi sempre presente in osterie e ristorazioni tradizionali dell'interno, è onnipresente nell'aretino e nel grossetano orientale a causa dell'elevata presenza di cinghiali. In contesti familiari viene riservata ad occasioni importanti, solitamente procurata da parenti cacciatori, e viene utilizzata nella preparazione di primi (pappardelle al cinghiale, o al ragù di selvaggina mista) secondi (cinghiale e lepre in umido, in forno o al tegame) e piatti unici (spezzatino, di solito "alla cacciatora": in umido con pomodoro e peperoncino). Piatti tipici da ristorante sono invece bistecche di cinghiale, e cinghiale in dolceforte (con cioccolato fondente) oltre ai relativi salumi; fagiano (che ormai viene più allevato che cacciato) di solito arrosto; i vari ragù di lepre, daino, e capriolo. Il piccione o il colombo sono consumati sempre più raramente, e così l'istrice. Note
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